Le polemiche che da giorni stanno investendo il così detto “decreto dignità” in ordine al presunto sabotaggio della relazione tecnica, ma anche in relazione all’efficacia o meno delle disposizioni ivi inserite al fine di una maggior tutela dei lavoratori, hanno avuto l’effetto di relegare in un cono d’ombra l’articolo 13 del medesimo decreto, che dispone in materia di società sportive dilettantistiche.
Questo articolo merita invece di essere attentamente analizzato perché consente almeno tre ordini di riflessioni di estremo interesse.
La prima di queste riguarda la sua attinenza al provvedimento “necessario e urgente” all’interno del quale il legislatore governativo ha ritenuto di doverlo inserire a norma dell’articolo 77, comma secondo, della Costituzione. Nel corso della XVII legislatura il Movimento 5 Stelle ha condotto una (condivisibile) battaglia sulla omogeneità dei decreti legge, contestando con vigore i tanti, troppi, provvedimenti “omnibus”.
Il decreto legge 87/2018 nel suo titolo dichiara di recare disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese. Da questo punto di vista sono da considerarsi pienamente attinenti all’oggetto del provvedimento gli articoli da 1 a 3 come pure gli articoli del capo II da 5 a 8. Per quanto riguarda gli articoli contenuti nel capo IV in materia di semplificazione fiscale, guardando ai molteplici precedenti in tal senso, si possono considerare teleologicamente orientati al perseguimento della finalità del decreto, in particolare per quanto riguarda le imprese.
Anche l’articolo 4, che in realtà è un classico differimento di termini in cui il legislatore si rifugia davanti ad una decisione spinosa, con un po’ di benevolenza lo si può considerare ricompreso nella materia del lavoro, anche se in questo caso bisognerebbe chiedersi se la dignità tutelata sia delle maestre e dei maestri con il diploma o di quelli con la laurea.
Quanto sopra non può essere fatto valere per l’articolo 13 perché la materia delle società sportive dilettantistiche ha poco o nulla a che vedere con il lavoro e le imprese. Il dubbio deve essere venuto anche agli estensori del decreto che infatti hanno inserito l’articolo in un capo, il V, dedicato alle disposizioni finali e di coordinamento (anche se non è ben chiaro il coordinamento con cosa per quanto riguarda le società sportive).
Anche nella relazione introduttiva in un primo momento si prova a far rientrare la disposizione inserita nella tutela della dignità del lavoro collegandola con l’abrogazione della norma che consentiva alle società sportive dilettantistiche con scopo di lucro di ricorrere ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Salvo poi, ritendo forse troppo labile tale argomentazione, inserire il seguente passaggio “Va aggiunto che la norma risulta omogenea con la disposizione sulla lotta contro le ludopatie che interessano il settore delle scommesse sportive”. Premesso che il collegamento tra le due norme è tutto da dimostrare c’è un ulteriore però. Se la mano caritatevole del Relatore, nel corso dell’esame alla Camera, non vergherà un emendamento modificativo del titolo del decreto, anche l’articolo 9 (quello sul divieto di pubblicità per le scommesse e i giochi) sconfina palesemente da quelle che sono le finalità del decreto legge.
L’altra considerazione interessante che sollecita l’articolo 13 riguarda la totale instabilità del nostro ordinamento prodotta da un legislatore quanto mai incoerente. I commi da uno a tre vanno infatti ad eliminare una mini-riforma nell’ambito dell’associazionismo sportivo introdotta con la legge di bilancio 2018 ed entrata in vigore soltanto il 1 gennaio 2018.
La nuova normativa aveva sicuramente delle criticità e la società sportiva dilettantistica ma con scopo di lucro può ben essere considerata una sorta di “ircocervo”. Ciò detto, però, le disposizioni introdotte in legge di bilancio avevano previsto una serie di interventi in campo fiscale, nonché in quello di natura previdenziale che a soli sei mesi di distanza sono stati azzerati con un tratto di penna. E’ certamente vero che in questi sei mesi vi sono state le elezioni politiche e la nascita di un governo di colore completamente diverso dal precedente . E’ vero che un nuovo governo può legittimamente intervenire su riforme che politicamente non condivide, ci sarebbe da domandarsi, però, che tutela avrebbe un ipotetico soggetto che dal 1 gennaio avesse fatto investimenti sulla base di leggi vigenti dello stato.
In tal senso ci sia consentito citare lo scoramento messo a verbale dal Comitato per la legislazione della Camera nel recente parere vergato in ordine al decreto legge in materia di interventi a sostegno delle popolazioni terremotate. Commentando una disposizione inserita nel corso dell’esame presso il Senato che derogava la nuova disposizione sulla durata degli stati di emergenza entrata in vigore con il codice della protezione civile il 6 febbraio 2018, scrive “Sebbene dal punto di vista della tecnica legislativa la disposizione risulti ben formulata… occorre interrogarsi in merito all’impatto sulla coerenza complessiva dell’ordinamento di un simile modo di procedere”.
L’ultima considerazione riguarda il comma 5 dell’articolo 13 che istituisce un fondo pluriennale da destinarsi ad attività a sostegno delle società sportive dilettantistiche. Se dal punto di vista politico questa norma è quanto mai chiara ed ha le impronte digitali della Lega poiché mette a disposizione del sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega allo sport un tesoretto di una quarantina di milioni dal 2018 al 2022 (il fondo è finanziato comunque fino al 2024), sorprende la genericità che la contraddistingue e la libertà totale di manovra che è lasciata nelle gestione delle risorse.
In ordine alla destinazione delle risorse non si riviene alcun criterio cui attenersi (fatto salvo che i destinatari debbano essere associazioni sportive dilettantische), né per l’individuazione di criteri e modalità con cui si dovrà procedere al riparto si rinvia ad un provvedimento di natura regolamentare. Non vi è alcun cenno alla necessità di ricorre ad un bando pubblico che preveda la possibilità di inviare progetti che siano sottoposti ad una determinata valutazione.
L’assenza di questi elementi lascia conseguentemente campo libero alla discrezionalità, in questo caso pienamente legittimata dalla norma, del decisore politico che sarà chiamato a destinare le risorse.
Se ci è consentito chiudere con una battuta si potrebbe dire che il governo del cambiamento applica il cambiamento ad iniziare dal suo presidente. Se con il governo Renzi sono state varate molteplici disposizioni che hanno portato in capo alla presidenza del consiglio funzioni, competenze e fondi da ripartire con Dpcm, il governo Conte inaugura, con il comma 5 dell’articolo 13, una nuova via in cui il Presidente del consiglio non mette mano in ordine al riparto di risorse poste in capo alla Presidenza del consiglio.