di Roberto Bin
Settant’anni di pace non sono pochi, almeno non lo sono in quel continente europeo che è stato lacerato da guerre cicliche e devastanti, sommate a tumulti rivoluzioni e guerre civili. Da quando? Praticamente da sempre. Il merito di una pace lunga e – almeno sino a poco tempo fa – ben radicata nei paesi dell’Europa occidentale (perché in quella orientale ci si è massacrati nella ex-Jugoslavia e ancora lo si fa nel Donbass) sembrava un dato acquisito per sempre. E invece qualcosa si sta incrinando.
La causa non è soltanto la crisi dell’Unione europea, che male ha assorbito i colpi della crisi economica, della crisi greca e della Brexit. L’Unione europea ne ha superate diverse di crisi: ogni volta sembrava spacciata e invece ha trovato le forze e le vie per modificare la propria organizzazione e rilanciare il suo significato. Quello che fa preoccupare non è quindi che l’Unione europea sia sottoposta a critica e a richieste di riforme profonde: queste sono necessarie, nessuno può dubitarne.
È stato spettacolare il modo in cui sempre le istituzioni europee hanno saputo evolvere senza troppi strappi, non inseguendo precisi programmi, ma adattandosi alle possibilità che emergevano nei fatti. Non è stata la progettualità a guidare l’evoluzione istituzionale europea, perché nessun progetto ha preso la guida del processo. Ma forse, se questa è stata la forza e la prova di vitalità dell’Unione, ha però consentito ai “poteri forti”, cioè ai centri di potere economico e finanziario, di porsi come i punti fermi di coagulazione del sistema di governo europeo, sempre più appoggiato sugli interessi capitalistici. E questo è senz’altro il vero motivo di crisi dell’Unione europea, nelle cui politiche strati sempre più vasti di popolazione non riescono più a riconoscersi. La assoluta, incontrastabile libertà di circolazione di tutto ciò che interessa alle imprese ha progressivamente distrutto la base sociale e impedito la convergenza tra i lavoratori dei diversi comparti e dei diversi paesi. E l’immigrazione ha fatto il resto. “Proletari di tutto il mondo, unitevi” è lo slogan del Manifesto di Marx e Engels che compie quest’anno 170 anni, e mostra di aver perso ormai qualsiasi significato nell’Europa in cui è nato.
Ma neppure questo basterebbe a mettere in crisi irreversibile l’Europa. Il vero problema è invece il risorgente nazionalismo, è la “filosofia” di coloro che seguono lo slogan di Trump – “America first” – e lo coniugano con gli interessi del proprio paese. Provincialismo, rifiuto per la cultura e per il “diverso”, l’egoismo trionfante e l’arroganza di chi disprezza tutto ciò che si allontana dal proprio ombelico e dalla sottostante pancia. Sono i Salvini e i suoi “alleati” dell’Europa dell’Est: il “Gruppo di Visegrad” (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) e poi l’Austria, e poi le Repubbliche baltiche e quelle balcaniche. Ed ora anche la CSU.
L’Unione Cristiano-sociale è da sempre la consorella della CDU, il partito democristiano di Adenauer, Kohl e Merkel. L’unione tra i due partiti è stato l’asse portante della politica tedesca, ma anche il motore unitario dell’Europa. Ora la CSU ha messo in crisi l’alleanza politica minacciando di far saltare la maggioranza su cui si basa il Governo Merkel. Sta perciò ingrippando il motore europeo e forse anche spezzando l’Europa. La svolta è segnata a colpi di tweet, strumento apprezzatissimo dei nuovi barbari. Il nuovo premier della Baviera, Markus Söder, ha twittato che “la Germania non deve aspettare per sempre l’Europa ma deve agire indipendentemente”. In che senso? Nel senso di rafforzare i confine e espellere un po’ di immigrati. L’Asyltourismus deve finire: non ha la volgarità della “pacchia” di Salvini, ma il senso è quello. E già il collega di Salvini, il Ministro Seehofer, anch’egli della CSU, avanza proposte di espulsioni di massa. Ma in Germania, beati loro, c’è un Capo del Governo serio, che ha subito messo in riga Seehofer, opponendogli i limiti della sua competenza su decisioni di indirizzo politico. Beati loro che hanno un Presidente del Consiglio!
A nessuno interessa quanto il nuovo mood della destra europea mi disgusti, sono fatti miei. Ma il problema generale, che riguarda tutti, è che i vari Salvini europei, con i loro tweet e l’appello continuo alla pancia dei loro elettori, minacciano di distruggere l’Europa. Ne impediscono una riforma seria, estremamente necessaria, e ne nutrono l’implosione. In nome di cosa? Di un nazionalismo reazionario che, oggi come ieri, minaccia di far disperdere il principale risultato del processo d’integrazione europea: la pace.
Libero mercato e sistema bancario erano sufficienti ed economicamente efficienti – i trattati europei parlano tanto di libero mercato e poco di occupazione (che dovrebbe automaticamente derivare dai benefici del primo) ed un pesante welfare pareva un carrozzone da smantellare. Quando il libero mercato s’è inciampato, lui e la finanza, il welfare era ormai insostenibile. Testa neoliberismo vince, croce, socialdemocrazia perde (C. Crouch). Chiaramente poi per il 99% è più facile vedere il nero che non lavora o il nordafricano che spaccia, piuttosto che scavare con lo strumento ‘ragione’, si accende il tasto pancia. Ampiamente responsabili di ciò le sinistre stesse, o no?