di Roberto Bin
Ne Il Foglio di ieri, 14 maggio, l’Elefantino – cioè il direttore, pardon il fondatore, Giuliano Ferrara – ci offre un bel saggio di come si possa torcere la Costituzione al servizio della disinformazione. Commento durissimo sul presidente Mattarella: «È in corso una evidente violazione della Costituzione», esordisce Ferrara. Chi ne è il responsabile? Il capo dello Stato, che avrebbe violato «il compito di custodire la regola di base della Repubblica». Quale? «il diritto e dovere del Quirinale (di) nominare il capo del governo e, su sua proposta, i ministri».
Effettivamente questa è la funzione che l’art. 92.2 Cost. assegna al Presidente. Come debba svolgerlo però la Costituzione non lo dice (e per ciò va lodata, a mio avviso). Ma ce lo dicono i commentatori e la prassi seguita da sempre: il Presidente non è totalmente libero di nominare chi vuole (checché sembri credere Ferrara), perché la sua discrezionalità è vincolata ad un fine preciso, nominare un Governo che entro 10 giorni sia in grado di chiedere e ottenere la fiducia delle Camere. Per fare questo si è sempre seguita la prassi delle consultazioni. I soggetti consultati – è bene sottolinearlo, come poi vedremo – sono i gruppi parlamentari, non direttamente i partiti, che sono semplici associazioni private; la loro «emersione istituzionale» sono appunto i gruppi, gli unici soggetti che possono essere consultati dall’Istituzione–Presidente della Repubblica per decidere chi debba creare l’altra Istituzione–Governo; sono i gruppi a portare la voce della terza Istituzione–Parlamento nella quale si auspica si formi una maggioranza politica che guiderà la scelta del capo dello Stato. Le forme sono sostanza. I segretari dei partiti non sono gli invitati, ma semplicemente completano (e “guidano” come riferisce la stampa) la “delegazione” dei partiti.
Allora qual è il torto di Sergio Mattarella? Sarebbe quello di non assolvere correttamente il compito, ma assumere un atteggiamento «dilatorio e neghittoso», dando spazio a «negoziati basso-partitici», destinati a culminare con un «pronunciamento paragolpista di una società di marketing politico privato intitolata a Rousseau». Non mi pare che Ferrara avesse usato gli stessi toni quando Berlusconi, ai suoi esordi, affidò alla rete di vendita della sua ditta il compito di organizzare il partito sul territorio e di selezionare i candidati. No, anzi accettò di buon grado di fare il ministro nel suo primo Governo. Ma non è questo il punto.
Secondo Ferrara, Mattarella non solo potrebbe dare l’incarico a chiunque gli piaccia, ma ha il dovere di farlo: «non può assentarsi nella dilazione», lasciando che i due (presunti) vincitori delle elezioni «facciano come gli piace, a scorno e al di fuori delle norme costituzionali, concordando direttamente e senza la sua capacità di decisione il nome di un Presidente del Consiglio». Ma davvero altre sono le modalità con cui deve svolgersi la procedura di designazione della persona da proporre a Mattarella per l’incarico di formare il Governo? Cioè, pur essendoci una maggioranza politica che si è formata (in ipotesi, è ovvio) in sede di trattativa politica (e dove se no?), il Presidente della Repubblica dovrebbe e potrebbe decidere lui a chi affidare l’incarico, disinteressandosi di ciò che stanno negoziando i partiti che rappresentano la (possibile) maggioranza? Sarebbe questo – cito sempre Ferrara – il «potere giuridicamente fondato nella Carta, decisivo agli effetti del funzionamento della Repubblica e di preservazione del suo carattere democratico»?
No, non è di questo che ci parla l’Elefantino. L’idea è un’altra e ben precisa. Eccola qui: anche se ci fosse un sistema maggioritario – capace di indicare, il giorno dopo le elezioni, chi ha vinto – anche in questo caso solo l’incarico da parte del Presidente della Repubblica conferirebbe «legittimità politica piena a operare per la formazione di un esecutivo». Non il voto degli elettori, ma l’atto presidenziale che conferisce l’incarico legittimerebbe dunque il prescelto a proporre il governo. Ciò varrebbe ancor di più con il sistema elettorale attuale – e con i risultati delle votazioni che si sono avuti – perché non si può «lasciare che a decidere del governo, in assenza di una scelta politica del capo dello stato» siano i leader delle forze politiche. Chi allora? Semplice, lo stesso capo dello stato!
Capisco, la situazione è difficile: abbiamo un partito – e un gruppo parlamentare – che ha la maggioranza relativa in entrambe le Camere, e una coalizione – che però si divide equamente tra due gruppi parlamentari – che ha conquistato la maggioranza dei seggi. Non solo per tradizione, ma per rispetto dei risultati delle elezioni è a chi detiene la maggioranza relativa che va formulato per primo l’invito a formare il Governo, sia esso un gruppo parlamentare oppure una coalizione. La formazione di una maggioranza può comportare una lunga trattativa, è ovvio; ma può consigliare, anzi, imporre al Presidente della Repubblica di ignorare l’uno e l’altra (il gruppo e la coalizione maggioritari) anche se essi dichiarano che stanno saldando un patto di maggioranza? e potrebbe, anzi dovrebbe, spingerlo ad agire lui direttamente, interrompendo «una trattativa integralmente extracostituzionale» tra i partiti, che rappresenta una sua «rinuncia alla funzione di guida istituzionale che tradisce, dico tradisce, lo spirito e la lettera della Carta»?
«Questa, caro presidente, non è più una Repubblica bene ordinata, non è più una democrazia guidata da norme», conclude Ferrara. Non sembra un po’ l’invito ad una svolta autoritaria? No, non c’è da temerlo, perché per fortuna non va più di moda. E poi, per fortuna, abbiamo nel Presidente della Repubblica un buon presidio contro la minaccia di un attacco degli elefantini.
Forse non vale la pena correggere e quindi prendere sul serio sparate polemiche di un giornalista fazioso. Sarebbe più opportuno analizzare come e perché la retorica politica e il diritto positivo, in particolare la legge elettorale, si sono ineluttabilmente allontanati dal modello, davvero eccellente, almeno nella forma, ideato dai costituenti. Al più tardi dal 2005 le successive procedure elettorali, tutte censurate (benché solo mollemente) dal giudice della legge, e i tentativi abortiti di revisione costituzionale, hanno – in nome della governabilità – negato o limitato i principi originali, le libertà elettorali attive e passive, il libero mandato, la responsabilità individuale dei rappresentanti. La maggioranza ormai deve essere sigillata, le liste sono diventate bloccate, i capipartito comandano i loro nominati, i rappresentanti sono ostaggi dei capi, i diktat dei capi si sono sostituiti al dibattito, i capipartito acclamati con procedure dubbiose dalla loro base decidono per i gruppi parlamentari. La parola d’ordine è la governabilità e il parlamento è degradato a cassa acustica di chi comanda, ma incapace di formare una maggioranza e/o di mantenerla nel tempo, e il governo è più debole che mai. Rimane l’autorità del Presidente della Repubblica e la sua prerogativa di ultima istanza di nominare il Primo Ministro il quale, distrutta l’autonomia decisionale della rappresentanza nazionale, rischia di chiedere la fiducia ad un’assemblea incapacitata dai veti incrociati dei capi eventualmente esterni al Parlamento. E non è finita perché non c’è limite alla degenerazione. La colpa principale non è dei giornalisti, nemmeno dei più mediocri e più cinici. Nonostante la pletora di costituzionalisti, l’abbondanza delle pubblicazioni di solito a spese delle casse pubbliche, l’autoreferenzialità degli ipse dixit incrociati, manca una dottrina e una teoria costituzionale all’altezza degli ideali e delle ambizioni dei fondatori.
ha proprio ragione Dott. Schmit. A me torna in mente il titolo di un bel romanzo di Moravia – Le ambizioni sbagliate. Tutti i leader politici sembrano operare, con strumenti diversi, un’appiattimento all’interno dei propri schieramenti. E il divieto di mandato imperativo ? Personalizzazione della politica mascherata da afflato di “governabilità”a tutti i costi. Se mi permette vorrei però sottolineare che i giornalisti non sono tutti innocenti, e anche il modo che hanno di raccontare i fatti, l’accento che continuamente mettono sul tempo che passa, utilizzando la retorica del buon “elefantino” di famiglia ( editoriale ) non aiuta e crea un clima insopportabile. La leggo sempre con attenzione.
Grazie. Dico solo che il problema non è la rissa faziosa fra giornalisti più o meno credibili, ma l’inquinamento dell ‘analisi accademica e giurisprudenziale con le forzature – che almeno potenzialmente sono violazioni dei principi fondanti – portate avanti a suon di tromba mediatica dai nuovi protagonisti politici, dal 2005 al 2017, quelli che erano al governo e quelli che stanno per sostituirli. Piuttosto che inseguire, per interesse e con vanità, il corso preoccupante degli eventi, bisogna ripensare l’ideologia della democrazia rappresentativa che governa il nostro mondo da secoli.