di Roberto Bin
La Corte costituzionale emana con moderata frequenza comunicati stampa, di solito per anticipare il dispositivo di sentenze molto attese o per dare notizia della visita dei giudici a qualche scuola di periferia. Per cui ha colpito l’attenzione un comunicato del 28 aprile dal titolo “Comunicato stampa su articolo de La Verità”. Il comunicato stampa contiene una dura e secca smentita di “titoli e contenuto” dell’articolo che il giornale dedica all’editoriale della Vicepresidente Marta Cartabia, pubblicato su Italian Journal of Public Law, perché “costituiscono un grave travisamento della sua analisi e gettano discredito sull’istituzione.”
Il tono è così perentorio e il tema così delicato – censura alla stampa! – che la sorpresa è giustificata. Ma che cosa dice l’editoriale di Cartabia – che riproduce una relazione fatta in una pericolosa riunione sovversiva, l’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte europea dei diritti dell’uomo – di così sovversivo da meritare un titolo di prima pagina come “La vicepresidente della Consulta vuole vedere la politica in ginocchio” e “auspica che i giudici sostituiscano gli eletti”? L’ “editoriale choc” non esprime proprio nulla di particolarmente nuovo, se non la preoccupazione per il dilagare in Europa della tendenza a minare le basi dell’indipendenza dei giudici, rimettendo in discussione le garanzie conquistate in secoli di lotta per lo Stato di diritto e per la divisione dei poteri, garanzie che vogliono tenere separati e distinti il potere politico che fa le leggi e gli organi giudiziari che le applicano.
Poi c’è un accenno al ruolo che hanno acquisito le corti costituzionali nel controllo della legittimità costituzionale delle leggi, sottolineando come i principi costituzionali abbiano consentito ai giudici, in assenza di una legislazione adeguata, di “creare diritto”, rispondendo alla domanda della gente in settori, come il cosiddetto biodiritto, in cui le tecnologie si sviluppano con una velocità che il legislatore non riesce a reggere; e indicando con preoccupazione la tentazione del legislatore di alcuni paesi di rispondere, non migliorando la qualità delle leggi, ma minando l’autonomia dei giudici.
Sono cose che vengono ripetute ogni giorno nelle aule universitarie, nelle riviste giuridiche, nei convegni scientifici, senza suscitare reazioni di sorpresa o di disappunto. Che il giornalista che ha dedicato ben sei colonne, e un titolo in prima pagina, allo scoop lo ignorasse sarebbe sorprendente: l’ignoranza basterebbe a giustificare la fake news? No, ma il giornale si chiama La Verità ed evoca il paradosso del mentitore: come potrebbe chiamarsi il quotidiano dell’ipotetico paese in cui tutti mentono?