Magistratura e Resistenza

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di Sandro De Nardi *

Il 22 aprile 1975, nell’ambito delle celebrazioni dedicate al trentesimo anniversario della Liberazione, si è tenuta a Palazzo dei Marescialli un’apposita seduta plenaria dell’organo di governo autonomo della magistratura ordinaria per rendere omaggio al contributo che anche numerosi esponenti dell’Ordine giudiziario offrirono alla Resistenza.

Nella solenne occasione sono stati pronunciati due discorsi ufficiali, il cui contenuto appare meritevole di essere qui di seguito succintamente rammentato anche perché tuttora straordinariamente attuale (per ulteriori approfondimenti sul tema sia concesso il rinvio alla pregevole pubblicazione – a suo tempo curata dal medesimo organo di rilevanza costituzionale – intitolata La Magistratura nella lotta di Liberazione: i caduti, Roma, 1976).

Nel dettaglio, per primo prese la parola l’allora Vicepresidente del C.S.M., Giacinto Bosco, che proferì un intervento con cui, anzitutto, volle ringraziare quei “combattenti per la libertà” che erano entrati a far parte proprio di quel consesso; dopodiché rievocò sia i nomi dei magistrati ordinari che persero addirittura la vita durante (e per) la Resistenza (testimoniando così, in massimo grado, “la propria fedeltà agli ideali di giustizia e libertà”), sia i nomi di alcune personalità che fecero parte del «Comitato Nazionale di Liberazione» costituitosi in seno alla magistratura durante il periodo dell’occupazione tedesca, sia – e più in generale – tutti quei magistrati che comunque parteciparono alla lotta per la Liberazione dal nazifascismo: esprimendo nei loro confronti sentimenti di “perenne gratitudine”.

Nel contempo, ebbe a rimarcare con forza che i predetti giudici e pubblici ministeri con le loro condotte – spesso poco note “anche per il riserbo mantenuto da molti dei partecipanti” – contribuirono grandemente a preparare il terreno a quel particolare status che la Costituzione repubblicana ha voluto, non a caso, assicurare alla magistratura ordinaria; inoltre, non mancò di sottolineare che la peculiare situazione di prestigio riconosciuta ai magistrati dalla Carta fondamentale impone loro “speciali doveri […] di imparzialità assoluta nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, di piena dedizione al lavoro di ufficio, di impegno oltre ogni limite per superare le gravi deficienze di mezzi e di personale e per resistere alle suggestioni ideologiche che talora ostacolano il cammino della giustizia”: e concluse il suo intervento formulando l’auspicio che proprio “il ricordo dei caduti della Resistenza, che si immolarono per instaurare una pacifica e democratica convivenza in seno alla comunità nazionale, così come essa risulta ordinata dalla Carta costituzionale”, potesse rivelarsi utile per ciascun esponente dell’Ordine giudiziario al fine di “sostenere il peso della grande responsabilità” che (anche) in quel periodo gravava sui magistrati italiani.

Successivamente prese la parola il Presidente del C.S.M., Giovanni Leone: il quale ebbe a rimarcare, in primo luogo, l’atteggiamento di sostanziale indipendenza ed imparzialità che la magistratura ordinaria seppe tenere, in grande maggioranza, “nei confronti della dittatura, con una costante opera, silenziosa, ed anche talora coraggiosa, per impedire che sull’amministrazione della giustizia prevalessero direttive o sollecitazioni politiche”; in secondo luogo, dopo aver sottolineato anche da par suo che gli esponenti dell’Ordine giudiziario che parteciparono alla Resistenza con impegno ed entusiasmo “obbedirono ad un costume di grande riservatezza e di rifiuto di qualsiasi forma di personale esaltazione”, espresse pieno riconoscimento “ed attestazione di gratitudine ai magistrati che lasciarono le aule di giustizia, la tormentata opera di ricerca della verità nella singola vicenda giudiziaria, per partecipare alla lotta di Liberazione”; in terzo luogo, approfittò della circostanza per rammentare che i valori di democrazia, di giustizia, di concordia e di fraternità che sono stati posti alla base della Costituzione repubblicana possono affermarsi solo “in un ordinamento libero qual è il nostro e con una magistratura imparziale e indipendente non solo nella sostanza, ma anche nel costume”; infine, muovendo dalla consapevolezza che una commemorazione non può limitarsi a rievocare il passato, “non è soltanto un atto di esaltazione, né solo una riviviscenza di ricordi, o un doveroso atto di omaggio verso coloro che operarono, e alla memoria di quelli che caddero”, ma deve giocoforza avere anche “una proiezione nella vita attuale e nell’avvenire”, sottolineò che, a suo avviso, non bisognava scordare che “condizione essenziale perché i valori di libertà e di giustizia, i principi democratici, le istituzioni dello Stato repubblicano possano sopravvivere e consolidarsi è che la magistratura, completando l’opera degli altri poteri pubblici (…) si ispiri ad imparzialità, a senso di giustizia, alla deferenza non solo alla lettera, ma anche allo spirito della legge, in un sano procedimento evolutivo di interpretazione di essa”: perché senza di ciò “quei valori sarebbero destinati a fallire”.

Orbene, nell’approssimarsi della ricorrenza della festa della Liberazione sarebbe senz’altro opportuno che sulle affermazioni appena ricordate si rimeditasse a lungo: non soltanto da parte di coloro che oggi sono chiamati ad esercitare la professione del magistrato, ma anche (e soprattutto) da parte degli esponenti delle forze politiche che compongono il nuovo Parlamento per l’eventualità che – in attuazione dei rispettivi programmi elettorali – comincino a mettere in calendario anche talune riforme in materia di “giustizia”; difatti, né gli uni né gli altri (ovviamente per quanto di rispettiva competenza) dovrebbero giammai scordare le (condivisibili) parole pronunciate da Piero Calamandrei allorquando sottolineò che “I caduti saranno veramente morti solo il giorno in cui non sapremo più portar avanti il senso della loro immolazione”.

* Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nella Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova (sandro.denardi@unipd.it)

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