di Antonio Ramenghi
Sono 154, da inizio anno a oggi 5 aprile, i morti sul lavoro in Italia. Lo scorso anno, nello stesso periodo, furono 113. Da qualche anno le cosiddette “morti bianche” sono in crescita. Ben più del pil… Ma poco se ne parla: qualche titolo sui Tg e sui giornali, raramente in apertura, qualche intervista a colleghi, parenti delle vittime, qualche voce di sindacalisti locali. E amen, rip, e si passa ad altro.
Rarissimo ascoltare la voce di un politico che prenda magari qualche impegno preciso per combattere seriamente contro questa strage che ogni anno, più o meno, colpisce oltre mille lavoratori mentre stanno compiendo il proprio lavoro che deve dare dignità, reddito e serenità alle famiglie e che invece si trasforma in tragedia.
La sacra scrittura quando parla di Adamo cacciato dal paradiso terrestre per il suo peccato, e avviato a una vita di lavoro “guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte” (Libro della Genesi 3, 14-19) mica dice che con il sudore della tua fronte guadagnerai un loculo al cimitero.
Eppure questo epilogo per tanti lavoratori sta passando nella coscienza collettiva (?) come un inevitabile prezzo da pagare, non stupisce quasi più, non indigna più. Dopo la svalutazione del lavoro, che vale sempre meno, sembra che anche la vita di chi quel lavoro svolge valga ancora meno. E quegli applausi (!!) fuori dalla chiesa all’uscita del feretro suonano più come uno scongiuro per se stessi che un tributo all’ultimo caduto.