SPAGNA-CATALOGNA
L’avventurismo catalano e le rigidità spagnole. La via giudiziaria alla soluzione (a breve termine)

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di Giovanni Poggeschi

Era da un po’ di tempo che non si sentiva parlare della situazione catalana. Nell’autunno caldo del 2017 spesso le prime pagine dei quotidiani e le notizie più in vista dei siti online avevano come argomento principale qualche avvenimento relativo al tira e molla fra Barcellona e Madrid. Avevamo imparato a riconoscere la frangetta alla Beatles di Puigdemont, presidente della Generalitat, ed il cipiglio orgoglioso, fintamente bonario, del Primo ministro spagnolo Rajoy.

Il referendum illegale del primo ottobre 2017, con i due milioni e passa di partecipanti e non pochi episodi di repressione violenta da parte delle forze dell’ordine spagnole, la strampalata Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza del 27 ottobre ed il fulminante ricorso, poche ore dopo, all’art. 155 che sospende l’autonomia della Catalogna, la fuga in Belgio di Puigdemont e l’arresto, pochi giorni dopo, di alcuni leader indipendentisti fra i quali il vice-presidente della Generalitat Junqueras, le manifestazioni di massa degli indipendentisti e degli unitaristi a Barcellona ed in tutte le città catalane, le elezioni del 21 dicembre che, come era da prevedere, non hanno cambiato di una virgola il quadro esistente, con una stretta maggioranza di seggi per gli indipendentisti, tutto questo è stato ampiamente trattato, anche in Italia, di solito con prese di posizioni acriticamente favorevoli alle ragioni di Madrid, che esistono senz’altro, ma che sono state esercitate in modo spesso sproporzionato.

Poi, come capita nel mondo dell’informazione, fuori della Spagna la questione catalana ha cessato di essere una notizia su cui concentrare l’attenzione, se non per sottolineare ogni tanto l’impasse istituzionale, con la mancata investitura da parte del Parlament catalano del presidente, dato che la maggioranza indipendentista si era intestardita a voler puntare, per un principio di continuità nelle scelte di fondo del procés indipendentista, sulla figura dell’esule Puigdemont.

Domenica 25 marzo si è tornato a parlare di Catalogna a causa dell’arresto, avvenuto in Germania, ai confini con la Danimarca, di Puigdemont, di ritorno da un suo viaggio di propaganda per la causa indipendentista catalana in Finlandia. La giurisdizionalizzazione che aveva caratterizzato la vicenda catalana, con ancora i processi ai capi indipendentisti aperti e la carcerazione preventiva di molti di essi, si è adesso estesa fino alla Germania, che ha eseguito il mandato d’arresto europeo richiesto dal governo spagnolo. Adesso saranno le autorità tedesche a decidere o meno dell’estradizione dell’ex presidente della Generalitat, e non sembra, dalle prime dichiarazioni, che sarà una decisione semplice, anche se non è ipotizzabile un’esplicita presa di posizione del governo di Berlino a favore dell’indipendenza catalana.

Il nazionalismo catalano è sempre esistito, soprattutto dalla seconda metà dell’ottocento, ma è in questo decennio che si è trasformato da autonomista a palesemente indipendentista. Il rapporto con la Spagna è sempre stato complicato, ma profondo (più della metà dei catalani hanno origini nel resto della Spagna), positivo nei momenti in cui le battaglie per la democrazia e lo sviluppo economico sono state condotte insieme, negative quando alla Catalogna non è stato riconosciuto quello status speciale che le spetta per la sua peculiare storia, e per il suo “fatto differenziale”, che si basa sulla lingua, su un diritto civile distinto e più in genere su un’identità nazionale molto radicata.

Il virage dall’autonomismo all’indipendentismo si fa coincidere con la sentenza del Tribunale costituzionale n. 31, del 28 giugno 2010, che abbassò di molto l’intensità dell’autonomia prevista dallo Statuto della Catalogna del 2006, non tanto con la dichiarata incostituzionalità di alcuni (14) articoli, ma soprattutto con l’interpretazione conforme. Da quel momento vi è stata una escalation di rivendicazioni, a partire da quella per un trattamento fiscale diverso, più simile a quello dei Paesi Baschi e della Navarra che a quello “ordinario”, per poi assumere un’aperta sfida nel 2017, con leggi del settembre 2017 sulla transitorietà giuridica della Catalogna e sulla convocazione del referendum sull’indipendenza.

Le reazioni del Tribunale costituzionale sono state sempre, come è ovvio, fermamente contrarie a queste norme, tranne che nella sentenza 42/2014 sul “diritto a decidere” (la versione ancora edulcorata allora usata per il referendum), che, pur nella chiusura ad ogni soluzione secessionista unilaterale, lascia aperta la strada ad una soluzione negoziata. Ma le successive sentenze non lasciano spazi ad alcuna secessione unilaterale. I fautori dell’indipendenza insistono sul carattere democratico delle loro scelte, mentre il governo di Madrid, ed i tanti (anche catalani) contrari fanno valere l’indivisibilità della Spagna, sancita dall’art. 2.

È ovvio che democrazia e primato della Costituzione non dovrebbero essere antitetiche, ed è certo che far coincidere la democrazia con il principio maggioritario, e dunque il referendum, è perlomeno semplicistico.  Il carattere di “istantanea” di un referendum mal si adatta a soluzioni a lungo termine, specialmente quando l’elettorato è sostanzialmente diviso a metà, come nel caso catalano, fra favorevoli e non all’indipendenza. Ma, detto questo, accettare da parte di Madrid un referendum consultivo, sul cui risultato basare i negoziati con la Catalogna, sarebbe una mossa saggia.

La strada intrapresa da Madrid è quella della repressione giudiziale dell’indipendentismo e quella dei secessionisti è stata un certo qual “avventurismo”, nel perseguire un sogno voluto dalla metà degli abitanti della Catalogna, e che ha avuto risultati economici disastrosi, come si è visto durante la fase calda del procés, quando migliaia di società catalane, comprese alcuni giganti come Caixabank ed il Banc de Sabadell, hanno spostato la sede in altre Comunità autonome.

Per uscire dal vicolo cieco ci vorrebbe una riforma federale se non confederale, che riconosca la peculiarità storica ed istituzionale della Catalogna; per adesso sembra prevalere la soluzione contraria, quella di una stretta centralista che può essere risolutiva solo nel breve periodo.

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