di Andrea Pisaneschi *
In un Italia tutta presa dalle elezioni politiche e dai problemi post-elettorali, è passato quasi inosservato un documento del gennaio di questo anno, sulla riforma dell’Eurozona, denominato Reconciling risk sharing with market approach: a constructive approach to euro area reform.
Il documento potrebbe essere tranquillamente liquidato come uno dei tanti studi che in questo momento vengono prodotti sul tema della riforma della governance europea, se non fosse per un punto particolarmente qualificante. È stato scritto da 14 economisti franco-tedeschi e tra questi vi è pure Jean Pisani-Ferry, responsabile per il programma nella campagna presidenziale di Emmanuel Macron. Posto che i tedeschi ed i francesi sono soliti preparare il “terreno” prima di mandare avanti la politica, e normalmente lo fanno proprio con studi delle loro migliori università o delle loro forti fondazioni (nel caso tedesco), è pensabile che il documento non sia solo un esercizio accademico, ma possa rappresentare una linea di sviluppo concreta, dato anche che la Commissione ha già avanzato la propria proposta di riforma della governance finanziaria europea.
La riforma della governance finanziaria, peraltro, costituisce il primo passo verso una reale stabilizzazione della zona euro e indirettamente dell’Europa che ha aderito alla moneta unica. L’Europa dei diritti – da molti giustamente sognata – rischia di rimanere un sogno lasciato alle tante carte più o meno ripetitive di generici principi internazionali, se prima non si interviene seriamente sulla governance finanziaria, per bilanciare correttamente responsabilità nazionali e vincoli sovranazionali secondo un modello che spinga verso la crescita economica. La crescita economica, del resto, è fondamentale per garantire la mobilità sociale e l’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale. Forse può dispiacere dirlo, ma guardando con gli occhi di oggi – e dei risultati elettorali di oggi – la stessa tenuta sociale del paese è probabilmente dipesa più dal boom economico degli anni ’60 e poi dal boom del debito degli anni ’70-’80 (che ha supplito alla fine della crescita economica) che non dai principi costituzionali.
La premessa del documento, dunque, si basa proprio sul fatto che una gestione economica prociclica dell’eurozona ha spinto – in tutta Europa – verso la crescita di movimenti populistici, sovranistici, tendenzialmente antieuropeisti. E tiene conto del fatto che la situazione di stallo che si è verificata dopo la creazione dell’ European Stability Mechanism (ESM) nel 2014, pericolosa, tra l’altro, se una nuova crisi dovesse verificarsi, dipende dal contrasto tra due visioni: la visione tedesca e dei paesi nordici, che pretenderebbe prima di attivare meccanismi solidaristici comuni che i paesi con debiti eccessivi avessero fatto “i compiti a casa”, e la visione più mediterranea, che sostiene che senza la previsione di meccanismi solidaristici è estremamente difficile, politicamente, far passare proprio quei “compiti a casa.”
Il documento tratta sia l’architettura fiscale dell’Europa che l’architettura finanziaria e delle banche, e si basa sull’idea degli incentivi e dei disincentivi. Da tempo gli incentivi e i disincentivi sono visti come strumento alternativo alle condizionalità, specialmente nella letteratura che si è occupata degli interventi del Fondo Monetario Internazionale nei c.d. paesi in via di sviluppo.
In genere, in effetti, le condizionalità non hanno dato buoni risultati. Le condizionalità imposte da organi tecnici esterni schiacciano i governi e le forze politiche, generano movimenti nazionalisti e populisti che si ritrovano sotto bandiere povere di contenuti ma forti nel brandire e rivendicare la sovranità popolare. Da un punto di vista economico, inoltre, gli effetti delle condizionalità sono difficilmente calcolabili: esse liberano denaro, che essendo però un bene fungibile può essere impiegato in maniera difficilmente prevedibile. Gli incentivi e i disincentivi, invece, lasciano le forze politiche libere di scegliere se beneficiare dell’incentivo o se subire gli effetti negativi del disincentivo. In definitiva non schiacciano la sovranità popolare perché non impediscono la scelta, mentre responsabilizzano la politica.
Lasciando da parte le soluzioni indicate per il sistema bancario, e limitandoci alla struttura fiscale, è da rilevare che il documento compie un grande grande mutamento di impostazione sulla questione – da sempre molto problematica – del disavanzo. Gli economisti franco-tedeschi, infatti, si propongono di sostituire al limite del disavanzo un tetto alla crescita della spesa pubblica, proprio per evitare gli effetti prociclici delle regole sulla riduzione del disavanzo.
In sostanza la spesa pubblica non dovrebbe aumentare più rapidamente del tasso di crescita di lungo periodo del reddito, mentre per i paesi che devono ridurre lo stock di debito, la spesa pubblica dovrebbe rimanere al di sotto della crescita del reddito. Se viceversa i paesi intendono spendere di più – ed ecco il disincentivo – l’eccesso di spesa potrà essere finanziato con junior bond (che verranno ristrutturati prima nel caso di insolvenza) e che pertanto potranno essere collocati sui mercati con tassi di interesse più elevati (dato il maggior rischio). Alla politica interna la scelta sulla convenienza di questa operazione.
Gli obbiettivi di riduzione del debito a medio e lungo termine dovrebbero essere determinati da un organo indipendente in ciascun paese, che ne verifica la fattibilità sulla base di valutazioni prospettiche macroeconomiche.
L’incentivo ad accogliere questo modello deriva dalla parallela previsione di un meccanismo di riassicurazione tra gli Stati aderenti attraverso la creazione di un fondo di riassicurazione (che dovrebbe superare i limiti di utilizzazione dell’ESM). L’idea è quella di prevedere una linea nel bilancio UE che consenta trasferimenti straordinari nel caso che una recessione colpisca un paese dell’eurozona. Gli indicatori di recessione sono legati al livello di disoccupazione, e il fondo opera attraverso il trasferimento automatico di una percentuale del reddito nazionale per ogni punto di aumento del tasso di disoccupazione. Il finanziamento del fondo dovrebbe derivare da contributi di ciascun paese in proporzione al PIL, in misura differente a seconda del rischio che il paese corre di dover ricorrere a trasferimenti del fondo (ancora incentivi-disincentivi).
Evidentemente questa riforma si legherebbe alla proposta della Commissione sulla istituzione di un Ministro delle Finanze europeo, che presieda l’eurogruppo e che dovrebbe sovraintendere all’applicazione di questo complesso sistema di regole.
E’ difficile dire se una riforma di questa imponenza abbia qualche possibilità di essere concretamente attuata. Quello che si nota, però, al di là di un evidente tentativo di alleanza franco-tedesca, è lo sforzo di superare la condizionalità “punitiva” sostituendola in grande parte con incentivi e disincentivi, assai più di quanto la proposta della Commissione abbia già tentato di fare con la “trasformazione” dell’ESM in fondo monetario. Il che appare già un grande passo in avanti.
Inoltre, dietro a questo proposta pare esservi l’idea – per vero non espressa – che si possa anche convivere con un debito pubblico molto elevato (come purtroppo dovremo rassegnarci a fare) purchè gli shock economici che possono verificarsi non si scarichino sui tassi di interesse del debito pubblico dei grandi debitori della zona euro. Per impedire che questo si verifichi, dato che i mercati sono sì composti da spietati speculatori come da populistica visione, ma anche da fondi pensioni, assicurazioni ecc., che principalmente non vogliono perdere i loro investimenti, occorre mostrare rispetto delle regole e l’esistenza di ragionevoli strumenti di correzione ed aiuto. Il sentiero di crescita della spesa in parallelo alla crescita del reddito sembra avere la funzione di tranquillizzare i mercati su di una politica prudente di bilancio, mentre il fondo di riassicurazione costituisce un tipo di intervento ad un tempo più efficace e meno emergenziale e traumatico dell’ESM.
In definitiva ben venga un dibattito su questi temi concreti: spiace solo che l’Italia, forse proprio per la concretezza dei temi, ne sia completamente fuori.
*0rdinario di Diritto costituzionale, Università di Siena