di Giovanni De Plato
A 40 anni dalla riforma sanitaria c’è poco da festeggiare e molto da rilanciare. Il direttore dell’Istituto farmacologico Mario Negri è convinto che gli interessi delle aziende farmaceutiche siano riusciti a seppellire la cultura della prevenzione e con essa il diritto alla salute degli italiani. Silvio Garattini, uno dei pochi grandi scienziati del nostro paese, ha speso la sua vita a diffondere il sapere scientifico, basato sulle evidenze della ricerca e delle sperimentazioni. Questo suo impegno sociale lo ha portato a divulgare che educazione- promozione-prevenzione sono potenti strumenti di produzione della salute. Ha cercato di incrementare la cultura scientifica delle persone ma, all’età dei suoi splendidi 90 anni, Garattini ha dovuto riconoscere che questa sfida è stata persa e che gli scienziati non sono riusciti a mettere in crisi il potere di chi sostiene che tutto si può risolvere e curare con le medicine.
Il farmaco come panacea di ogni disagio e male viene asserito, pur sapendo che così si allarga il consumo ingiustificato, si moltiplicano prestazioni non appropriate o inefficaci e si fa lievitare la spesa, rendendo insostenibile il costo della sanità pubblica. La politica del farmaco per sani e malati, per neonati e anziani, per tutti e per ogni evenienza nega di fatto il valore della prevenzione e degli stili di vita salutari. La politica che la salute è un bene comune non riducibile a merce da libero mercato, purtroppo è carente e sempre più inadeguata.
L’insostenibilità del diritto alla salute per tutti e del Ssn viene fortemente sostenuta dalla stampa padronale, che propaganda l’esistenza di una sola via di uscita dalle crescenti difficoltà di finanziamento della sanità pubblica: creare il “secondo pilastro”, non quello del non profit, del terzo settore e del volontariato. Ma quello profit composto da polizze individuali e collettive, Welfare aziendali e altro. Si ha l’impressione che anche nel fronte democratico e di sinistra ci siano politici che non dicono ciò che pensano, ovvero che occorre affiancare al servizio pubblico un secondo agente, considerato inevitabile (imprese profit e non profit).
A questo punto alla sinistra di governo va posta la domanda: l’imprenditore privato nella sanità a quali principi etici e sociali dovrebbe rispondere, a quelli aziendali del profitto o a quelli della cooperazione con il pubblico per fornire un bene comune? Se la salute è un diritto e non una merce, e in particolare se è un diritto umano, in un sistema democratico non può che essere garantito dallo Stato, come una priorità che non deve dipendere dall’andamento del Pil. Vale ricordare che secondo i dati di alcune agenzie internazionali, come Oms e Ocse, l’Italia ha uno dei migliori sistema sanitari del mondo per il minor costo e i più alti esiti di salute (bassa mortalità infantile e alta longevità), anche se non mancano le inefficienze. I Servizi sanitari e sociali pubblici sono da considerare prevalentemente fattori di crescita della ricerca, formazione, produzione di merci particolari e di beni generali. Dunque, non è giustificabile una diagnosi di insostenibilità finanziaria del Ssn, che è uno dei motori dell’economia.
Le difficoltà della sanità pubblica sono di natura politica, di quella politica che non sa programmare-controllare-accreditare-validare (mala politica). Come non sa valorizzare lo stato sociale, sanare il debito pubblico e governare l’evoluzione di un sistema virtuoso. E’ chiaro che il Welfare state non comporta che le prestazioni da fornire ai cittadini debbano essere esclusivamente pubbliche. Il concetto di Stato sociale di norma include la sussidiarietà, cioè il riconoscimento nel sistema pubblico della presenza del privato e del volontariato qualificato.
La sfida vera, dunque, non è come creare un “secondo pilastro” o un nuovo agente. E’, invece, la sfida di come nel Ssn si possa istituire un “sistema misto” sul piano organizzativo e gestionale della programmazione e produzione dei Servizi sanitari e sociali. La medicina del futuro sarà sempre più orientata alla promozione della salute, alla prevenzione delle malattie, alla diagnosi e ai trattamenti precoci. Per muoversi in questa direzione, purtroppo, manca una intelligente politica dell’attuale sinistra di governo a livello nazionale e in parte a livello regionale. Il modello universalistico della salute, aperto alla sussidiarietà, è il solo che possa permettere alla economia di mercato di crescere in uno Stato democratico senza grandi squilibri e troppi conflitti.