Giustizia e tutela della salute: il caso del bambino autistico e “metodo ABA”

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di Patrizio Ivo D’Andrea

Non è agevole per il giudice ordinario misurarsi con le azioni giudiziarie con cui una singola persona richieda in via immediata la tutela del diritto alla salute, sotto forma di rivendicazione della libertà di cura e/o di erogazione di trattamenti terapeutici a carico dello Stato.

Sono ancora fresche nella memoria le note vicende relative al c.d. “Caso Stamina”. Professionisti che offrono alle famiglie di pazienti affetti da malattie allo stato non curabili un trattamento dall’efficacia indimostrata. L’Amministrazione sanitaria deputata alla farmaco-vigilanza che interviene per bloccare la linea di produzione del preparato a base di cellule staminali, constatata la violazione delle norme di buona prassi per la fabbricazione dei medicinali. L’industria della comunicazione di massa fiuta che la vicenda è destinata a diventare “virale” e non perde l’occasione per fare spettacolo sul dolore dei pazienti e delle loro famiglie. Lo Stato che interviene per ordinare l’avvio di una fase di sperimentazione del preparato, affinché siano dissipate le incertezze sulla reale efficacia del metodo terapeutico.

Il caso, ovviamente, arriva all’interno delle aule giudiziarie. Il giudice penale viene interessato delle accuse a carico dei medici che avrebbero commercializzato preparati insalubri. Il giudice amministrativo viene chiamato a scrutinare la legittimità dei provvedimenti di farmaco-vigilanza e della correttezza del procedimento di sperimentazione avviato iussu principis.

Al giudice civile, invece, le famiglie dei pazienti chiedono di ordinare l’avvio o la prosecuzione del trattamento già intrapreso nei confronti di minori che, in ogni caso, devono fronteggiare una prognosi infausta e gravissima. Tanti sono stati, in tutta Italia, i provvedimenti d’urgenza adottati dai giudici del lavoro che hanno accolto quelle domande, talvolta menzionando un nuovo diritto che sarebbe garantito dai princìpi costituzionali del nostro ordinamento: il “diritto alla speranza”.

Proprio quei provvedimenti dimostrano quanto sia difficile per l’Autorità giudiziaria imboccare la via dell’attivismo giudiziario nel campo della “tutela della salute”. L’esigenza di dare attuazione ai diritti costituzionali può facilmente trasformarsi nello strumento della loro vulnerazione. La trasformazione del sentimento di pietà e del desiderio di aiutare una persona in grave disagio nel riconoscimento del “diritto alla speranza” non fa che tradire i princìpi costituzionali. Come osservava Bobbio, la “speranza” è un concetto necessariamente intriso di religiosità, che non può trovare spazio (e forza argomentativa) in un sistema politico e giuridico laico, nel quale il realismo può essere tutt’al più temperato da una (progressiva) aspettativa da riporre nel (duro) lavoro e nei (sovente magri e lenti) risultati che questo produce.

Purtuttavia, non mancano i casi in cui l’Autorità giudiziaria riesce a dare una risposta valida e nel campo del diritto alla salute, garantendo prestazioni che rientrano nel nucleo essenziale del diritto tutelato dalla Costituzione e riuscendo effettivamente a supplire alle mancanze dell’Amministrazione sanitaria e del Sistema sanitario nazionale, senza disarticolare il sistema.

Ne è testimonianza un recente provvedimento cautelare adottato dal Tribunale di Velletri (RM) in funzione di Giudice del Lavoro con ord. 11 gennaio 2018.

Il Giudice era chiamato a scrutinare il ricorso cautelare ante causam con il quale una coppia di genitori di un bambino affetto da disturbo generalizzato dello sviluppo di tipo autistico hanno chiedevano di dichiarare il diritto del medesimo minore di ricevere a carico del Sistema Sanitario regionale l’erogazione del trattamento riabilitativo secondo la c.d. “modalità ABA”. Il metodo ABA consiste nell’intervenire sui soggetti affetti da autismo e da disabilità dello sviluppo attraverso un sostegno riabilitativo che impiega i princìpi della scienza del comportamento e dell’analisi applicata del comportamento (“Applied Behavior Analysis”). Sin dalla metà degli anni ’80 la letteratura medico-scientifica ha accumulato studi e risultati con i quali è stato dimostrato che l’intervento secondo tale metodologia conduce a significativi effetti positivi nei bambini con autismo, in termini di sviluppo intellettuale e del linguaggio e di acquisizione di abilità socio-relazionali e di vita quotidiana.

Nel caso di specie, questo tipo di intervento riabilitativo era stato costantemente prescritto ai genitori del piccolo paziente nel corso degli anni dallo specialista di fiducia. Dovendo farsi carico autonomamente del costo di questa terapia riabilitativa, che non è erogata dal SSN, la famiglia non ha potuto offrire al minore il numero di ore d’intervento prescritto dal medico. Scontato il rifiuto della ASL competente di provvedere, la famiglia si è infine risolta a tentare la via giudiziaria.

In sede cautelare, il Tribunale di Velletri ha accolto la domanda, accertando il diritto del minore a ricevere, “in via diretta ovvero mediante rimborso delle ore di terapia ricevute da terzi, a carico del Sistema Sanitario regionale l’erogazione del trattamento riabilitativo mediante la metodologia ABA”.

La decisione è stata accolta con particolare favore dalle famiglie delle persone che hanno disturbi dello spettro autistico, anche perché, a quanto consta, solo in due precedenti casi (uno a Teramo nel 2017, l’altro a Bologna nel 2013) un giudice aveva ordinato a una ASL di erogare il trattamento secondo questo metodo. Mancava, dunque, un saldo orientamento al quale il Giudice poteva fare riferimento.

Dell’ordinanza in commento colpisce la solida struttura argomentativa.

Premesse considerazioni sul fatto che la tutela costituzionale del diritto alla salute “non può essere sacrificata o compromessa dalla discrezionalità amministrativa”, il Tribunale di Velletri ha valutato la domanda alla luce degli artt. 1 del d. gls. n. 502 del 1992 e 1 e 2 della l. n. 833 del 1978, osservando che “Requisito imprescindibile dell’erogazione da parte del Servizio Sanitario della prestazione sanitaria richiesta è che la stessa offra evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute”.

Con speciale riferimento al trattamento delle persone con disturbi dello spettro autistico, il Tribunale ha osservato che la recente l. n. 134 del 2015 ha previsto che l’Istituto Superiore di Sanità aggiorni le Linee guida sul trattamento di quei disturbi e che, di conseguenza, sia aggiornato l’elenco delle prestazioni incluse nei LEA, includendo la diagnosi precoce, la cura e il trattamento individualizzato “mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili”.

Ciò detto, il Giudice ha fatto appello proprio alle Linee guida ministeriali sull’autismo adottate dal Ministero della Salute e dall’ISS nel 2011 e aggiornate nel 2015, nelle quali si raccomanda l’utilizzo del metodo ABA “nel trattamento dei bambini con disturbi dello spettro autistico”.

A questo punto, il Tribunale ha potuto riconoscere al minore il diritto di ricevere a carico della ASL lo stesso numero di ore di terapia settimanale del quale la famiglia aveva potuto farsi carico sino a quel momento, rinviando di fatto ogni altra decisione all’eventuale esito della fase di merito del giudizio.

L’elemento di particolare rilievo nella decisione in esame sta proprio nella capacità del giudice di accogliere la domanda proposta dal privato impiegando le indicazioni contenute nelle Linee guida medico-scientifiche.

Le linee guida sono uno strumento di lavoro del medico, non del giurista. In un volume di centinaia di pagine contengono indicazioni di natura medica, lontane nella forma e nella sostanza dal tipico precetto giuridico (nono solo nella parte descrittiva, ma anche in quella delle raccomandazioni). Nel caso di specie, però, il Tribunale ha saputo fare buon uso di questo strumento, distillando dalle indicazioni delle Linee guida la prestazione che costituisce l’effettiva concretizzazione delle generali prescrizioni della legge sul diritto al trattamento del disturbo dello spettro autistico e verificandone la congruenza con le prescrizioni già effettuate dal medico specialista di fiducia.

Si è così determinata una sorta di “leale collaborazione” tra la volontà del legislatore, la comunità scientifica (grazie alla quale sono redatte le Linee Guida) e l’Autorità giurisdizionale, con la quale è stato possibile tutelare il diritto alla salute del minore di fronte al rifiuto della ASL di erogare il trattamento richiesto.

Proprio questo tipo di approccio al tema ha consentito al Giudice di adottare un provvedimento di portata particolarmente innovativa e di sicuro rilievo per la comunità dei soggetti affetti da questo tipo di disturbi, ma senza cadere nel vizio dello “sperimentalismo” che aveva caratterizzato gran parte della giurisprudenza civile maturata sul “caso Stamina”.

 

Ecco il testo dell’ordinanza del giudice di Velletri

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI

Il giudice designato, dr.ssa Beatrice MARRANI
sul ricorso ex art.700 c.p.c. nel procedimento n. 4640 del Ruolo affari contenziosi civili dell’anno 2017, vertente
TRA M. M. e A. M. quali genitori esercenti la potesta’ genitoriale del minore D. M. e ASL ROMA 6 – ALBANO LAZIALE
sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 19.12.2017 ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Con ricorso cautelare depositato in data 13 ottobre 2017 i ricorrenti in epigrafe chiedevano accertarsi il diritto del proprio figlio minore a ricevere a carico del Sistema Sanitario regionale l’erogazione del trattamento riabilitativo di 40 ore settimanali per sei giorni a settimana, con l’obiettivo di migliorare le abilità comunicativo-relazionali e ridurre il disturbo comportamentale, mediante la metodologia ABA, indicata dalle “Linee guida per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti” pubblicate nell’ottobre 2011 e aggiornate nell’ottobre 2015, inserite nel sistema nazionale delle Linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute e condannarsi la ASL Rm H a prendere in carico il minore in via diretta o indiretta per l’esecuzione dei suddetti trattamenti.
La ASL, nonostante la regolarità della notifica, non si costituiva in giudizio.
La domanda cautelare deve trovare accoglimento nei limiti della presente motivazione.
E’ necessario ripercorrere brevemente il quadro normativo generale in tema di tutela del diritto alla salute, per poi affrontare le problematiche specifiche del caso in esame.
È costante affermazione giurisprudenziale (si veda Cass. n. 17541/11; Cass. n. 24033/13) quella secondo cui la dimensione primaria e costituzionalmente garantita del diritto alla salute non può essere sacrificata o compromessa dalla discrezionalità amministrativa, dovendosi escludere la configurabilità di atti amministrativi (comunque disapplicabili ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E), condizionanti in tal senso il diritto all’assistenza (cfr. per tutte Cass., Sez. Un. 24 giugno 2005 n. 13548; Cass., Sez. Un. 30 maggio 2005 n. 11334).
Ciò premesso, la sussistenza o meno del diritto all’erogazione di una prestazione sanitaria richiesta al Servizio Sanitario Nazionale deve essere accertata in relazione ai presupposti stabiliti dalla disciplina dettata in materia sanitaria dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (“Tutela del diritto alla salute, programmazione sanitaria e definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza”) art. 1. Al secondo comma del suddetto articolo si legge che “il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 1 e 2, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonchè dell’economicità nell’impiego delle risorse”. Il comma 7 dello stesso articolo così dispone: “Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che:

a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2;

b) non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate;

c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza.

Requisito imprescindibile dell’erogazione da parte del Servizio Sanitario della prestazione sanitaria richiesta è che la stessa offra evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute. Prima di passare ad analizzare la ricorrenza, nel caso di specie, delle necessarie evidenze scientifiche di efficacia del metodo ABA, occorre premettere, in via generale, che la giurisprudenza (si veda Cassazione, con la sentenza n. 7279 del 10 aprile 2015) ha anche recentemente chiarito le coordinate del principio di efficacia ed appropriatezza della terapia di cui al suddetto comma 7 dell’art. 1 della legge n.502 /1992, affermando che tale principio non può essere eluso dalla mera carenza di «evidenze scientifiche disponibili», posto che le evidenze scientifiche possono venire in rilievo allorquando sia stato scientificamente provata l’inefficacia della cura in questione e non già quando, come nella specie, essa sia solo dubbia. Per chiarezza espositiva è opportuno ripercorrere il percorso argomentativo della S.C. che così si esprime: “In base al principio di efficacia enunciato da tale normativa, i benefici conseguibili con la prestazione richiesta devono essere posti a confronto con l’incidenza della pratica terapeutica sulle condizioni di vita del paziente, dovendosi considerare in particolare – in relazione ai limiti temporali del recupero delle capacità funzionali – la compromissione degli interessi di socializzazione della persona derivante dalla durata e gravosità dell’impegno terapeutico. Alla luce dei rilievi fin qui esposti deve concludersi, tenendo conto del diritto primario e costituzionalmente tutelato alla salute, che il principio di efficacia ed appropriatezza della terapia (previsto dal D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 7, comma 1, lett. b), indubbiamente accertato nella specie, non può essere eluso dalla mera carenza di “evidenze scientifiche disponibili” e ciò sia per l’equivalenza, nella stessa lettera della legge dei due precetti, disgiunti infatti dalla locuzione “ovvero”, sia in quanto le evidenze scientifiche possono venire in rilievo allorquando sia stato scientificamente provata l’inefficacia della cura in questione, e non già quando, come nella specie, essa sia solo dubbia”.
Così’ delineato il quadro normativo generale in tema di tutela del diritto alla salute, occorre aver riguardo alla peculiarità del caso di specie e ricordare che la legge del 18/08/2015, n.134 (“Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”) ha previsto in primo luogo, all’art. 2, che l’Istituto superiore di sanita’ aggiorni “le Linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico in tutte le eta’ della vita sulla base dell’evoluzione delle conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche derivanti dalla letteratura scientifica e dalle buone pratiche nazionali ed internazionali”.

Con riferimento alle politiche regionali in materia di disturbi dello spettro autistico, l’art. 3 prevede che “nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica e tenuto conto del nuovo Patto per la salute 2014-2016, con la procedura di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, si provvede all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, con l’inserimento, per quanto attiene ai disturbi dello spettro autistico, delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle piu’ avanzate evidenze scientifiche disponibili. 2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano …, stabiliscono percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali per la presa in carico di minori, adolescenti e adulti con disturbi dello spettro autistico, verificandone l’evoluzione, e adottano misure idonee al conseguimento dei seguenti obiettivi:

a) la qualificazione dei servizi di cui al presente comma costituiti da unita’ funzionali multidisciplinari per la cura e l’abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico;

b) la formazione degli operatori sanitari di neuropsichiatria infantile, di abilitazione funzionale e di psichiatria sugli strumenti di valutazione e sui percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali basati sulle migliori evidenze scientifiche disponibili;

c) la definizione di equipe territoriali dedicate, nell’ambito dei servizi di neuropsichiatria dell’eta’ evolutiva e dei servizi per l’eta’ adulta, che partecipino alla definizione del piano di assistenza, ne valutino l’andamento e svolgano attivita’ di consulenza anche in sinergia con le altre attivita’ dei servizi stessi;

d) la promozione dell’informazione e l’introduzione di un coordinatore degli interventi multidisciplinari;

e) la promozione del coordinamento degli interventi e dei servizi di cui al presente comma per assicurare la continuita’ dei percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali nel corso della vita della persona….”.

E’ altresì previsto che entro centoventi giorni dall’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza previsto dall’articolo 3, comma 1, il Ministero della salute provvede, in applicazione dei livelli essenziali di assistenza medesimi, all’aggiornamento delle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualita’ e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico. Tali Linee di indirizzo venivano adottate in data 22.11.2012.
Ebbene, venendo al caso di specie, che concerne il diritto del minore affetto da autismo all’erogazione a carico del Servizio sanitario di una specifica modalità di intervento terapeutico comportamentale, questo Giudice ritiene che l’analisi comportamentale applicata (Applied behaviour intervention, ABA) richiesta dai ricorrenti sia conforme alla fondamentale previsione, da principio analizzata, di cui all’art. 1 comma 7 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 in quanto prestazione sanitaria per la quale sussistono evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute.

A tal fine non puo’ che aversi riguardo allo strumento previsto dallo stesso art. 2 della legge del 18/08/2015, n.134 ossia alle Linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico che l’Istituto superiore di sanita’ ha provveduto ad aggiornare nell’ottobre 2015. In relazione all’efficacia dei programmi intensivi comportamentali le linee guida si diffondono nell’analizzare le prove scientifiche raggiunte, secondo diverse metodologie di revisioni, “inclusive” o “restrittive” rispetto alle quali si può affermare, per sintesi, che nel primo caso, ossia il gruppo delle inclusive sono state fornite prove coerenti nel sostenere l’efficacia del modello dell’analisi comportamentale applicata su tutte le misure di esito valutate ossia QI, linguaggio, comportamenti adattativi, se paragonati ad un gruppo eterogeneo di interventi non altrettanto strutturati, quali il trattamento standard, la combinazione di interventi educativi terapeutici senza strutturazione, e lo stesso ABA ma ad intensità ridotta o con distinte modalità di erogazione, centrata sulla clinica o sui genitori. Quanto al gruppo delle revisioni restrittive vengono forniti risultati non univocamente favorevoli all’intervento sperimentale delle misure di esito valutate.

La conclusione cui giungono le linee guida è emblematicamente espressa nelle “raccomandazioni” laddove si legge che “con riferimento all’analisi comportamentale applicata gli studi sostengono una sua efficacia nel migliorare le abilità intellettive, il linguaggio e i comportamenti adattativi e bambini con disturbi dello spettro autistico. Le prove a disposizione, anche se non definitive, consentono di consigliare l’utilizzo del metodo ABA nel trattamento dei bambini con disturbi dello spettro autistico”.

Ciò posto questo giudicante è chiamato a valutare anche due fondamentali profili, quello della intensità e della durata del trattamento di cui si chiede il riconoscimento, in forma diretta o indiretta, da parte del Servizio sanitario nazionale, nella consapevolezza che le stesse Linee Guida sottolineano in piu’ punti l’esigenza di assicurare un trattamento il piu’ possibile intensivo, strutturato, continuativo e individualizzato. Nel documento si sottolinea altresì che incidono sulla efficacia del metodo rispetto al trattamento tradizionale, comunque riconosciuta dalle suddette Linee guida, alcune variabili legate al singolo soggetto che riceve l’intervento, quanto all’età o alle abilità intellettive dello stesso ma evidenzia altresì che al momento non ci sono dati sufficienti a stabilire in misura precisa l’effetto di tali variabili sull’efficacia dell’intervento. Le linee guida sul punto così concludono: “a fronte di un’ampia variabilità negli esiti ottenuti dai programmi intensivi comportamentali, i dati disponibili sostengono il ruolo delle variabili durata e intensità dell’intervento quali modificatori di effetto, tuttavia non ci sono dati per stimare quantitativamente questo rapporto di influenza e rimane ancora non è chiaro il ruolo delle altre variabili, quelle legate al soggetto e le altre sconosciute, potenzialmente in grado di modificarne l’esito ottenuto dall’intervento”.

Ciò posto, alla luce della documentazione in atti e vista la sommarietà del rito che non ha consentito approfondimenti peritali, appare corretto condannare la ASL all’erogazione (in via diretta o mediante copertura dei relativi costi di terapia) di un numero di ore settimanali pari a quello attualmente in godimento, ossia 6 ore settimanali. Il numero di ore a carico del Servizio sanitario appare così quantificabile pur nella consapevolezza che, stando alle stesse Linee Guida, il trattamento di cui si discute è un trattamento intensivo visto che proprio l’elemento della intensità incide direttamente sull’efficacia della terapia (si veda pag 51 delle linee guida) e che quindi il massimo delle ore raccomandate, ossia 40 ore settimanali, a rigor di logica dovrebbe comportare un proporzionale incremento di efficacia del metodo rispetto alle sole 6 ore settimanali. Tuttavia occorre tener conto di quanto si afferma nelle stesse linee guida in tema di necessaria personalizzazione del trattamento terapeutico (in relazione all’età ma anche al contesto nel quale la terapia è svolto, ossia se domiciliare o scolastico) e soprattutto del fatto che non si rinviene in atti documentazione sanitaria sufficiente a chiarire il livello di miglioramenti comunque ottenuti dal minore ricorrente, sottoposto negli ultimi 4 anni a 6 ore settimanali di trattamento. Si consideri inoltre che proprio dalla lettura delle suddette linee guida si desume che mentre per i bambini di età inferiore ai sette anni vi è una relazione lineare tra l’incremento dell’intensità del trattamento e l’incremento proporzionale nell’outcome raggiunto, per i bambini di età superiore l’incremento dell’intensità dell’intervento non determina un incremento nell’ outcome raggiunto in quanto i soggetti in questa fascia d’età raggiungono una media di 17 obiettivi comportamentali al mese indipendentemente dall’intensità dell’intervento ricevuto.

Nel pieno rispetto del principio di continuità appare pertanto corretto stabilire in 6 ore il numero delle ore complessive settimanali rimborsabili dalla ASL, da attuarsi, se possibile, in ambito misto, domiciliare e scolastico.

Con riferimento alla durata si legge a pagina 52 delle linee guida: “l’intervento ABA sembra ottenere un effetto maggiore nel medio termine, ossia 12 mesi, non confermato negli studi di lungo termine, 3 o 9 anni”. Appare pertanto corretto, nella presente fase cautelare riconoscere il diritto all’erogazione, in via diretta o salvo rimborso delle spese sostenute per tali ore di trattamento, del suddetto intervento terapeutico nel limite temporale di un anno, a decorrere dalla data di notifica della presente ordinanza.

La domanda deve quindi trovare un parziale accoglimento.
Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Visti gli artt. 669 ter, 669 septies e 700 c.p.c., il Tribunale così provvede:
in parziale accoglimento del ricorso accerta il diritto del minore D.M. a ricevere, in via diretta ovvero mediante rimborso delle ore di terapia ricevute da terzi, a carico del Sistema Sanitario regionale l’erogazione del trattamento riabilitativo di sei ore settimanali, per 12 mesi – a decorrere dall’inizio della terapia o, in mancanza di prestazione resa in via diretta dalla ASL, dalla notifica della presente ordinanza – mediante la metodologia ABA indicata dalle linee guida per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti;
condanna la ASL convenuta al rimborso delle spese di lite che liquida in € 1.600,00 oltre iva e cpa come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori antistatarii di parte ricorrente. Si comunichi.

Velletri, 11.1.2018

Il Giudice del lavoro
Beatrice Marrani

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