di Ilenia Alagna *
Il diritto all’oblio, ovvero il diritto di un individuo a non essere più ricordato per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca, è anche l’esigenza al proprio anonimato, ove l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto ricompreso nello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, si affievolisce fino a scomparire.
A seguito della pronuncia della Corte di Giustizia europea (sentenza del 13 maggio 2014, causa C-131/12), si è avvertita la necessità di dettare delle linee guida per un’interpretazione conforme del diritto all’oblio in tutti i paesi dell’Unione. Difatti tale diritto è stato recepito nel Regolamento europeo sulla protezione dei dati n.679/2016 (GDPR) ove all’art.17 è titolato “diritto alla cancellazione”. In particolare l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo, se viene meno la necessità che ne rendeva lecito il trattamento, se l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento e se non sussiste altro motivo legittimo per procedere allo stesso ecc.
Il Garante per la privacy si è trovato ad affrontare il caso di un cittadino italiano residente negli Stati Uniti che ha richiesto al motore di ricerca Google di deindicizzare numerosi url che rimandavano a messaggi pubblicati su blog e forum lesivi della sua responsabilità.
Il Garante Privacy riconoscendo una tutela effettiva al ricorrente, ha ordinato a Google di deindicizzare gli url a questo relativi da tutti i risultati della ricerca, sia nelle versioni europee del motore, sia in quelle extraeuropee. Google dovrà inoltre estendere l’attività di rimozione anche agli url già deindicizzati nella versione europea.
Il cittadino italiano chiedeva la deindicizzazione di numerosi url che rimandavano a messaggi o brevi articoli anonimi pubblicati su forum o siti amatoriali giudicati gravemente offensivi della propria reputazione. In tali scritti erano riportate informazioni ritenute false sul suo stato di salute e su gravi reati connessi alla sua attività di professore universitario. Il ricorrente auspicava una deindicizzazione del suo nominativo da tutti i siti, anche extraeuropei, in cui era presente, lamentando peraltro la circostanza che, non appena un url veniva rimosso, subito dopo ne venivano generati altri con contenuti simili.
Nel decidere a favore della deindicizzazione il Garante ha ritenuto che la “perdurante reperibilità” sul web di contenuti non corretti e inesatti avesse un impatto “sproporzionatamente negativo” sulla sfera privata del ricorrente. Un effetto dovuto anche alla diffusione di dati sulla salute non in linea con quanto disposto dal Codice privacy e dalle Linee guida dei Garanti europei sull’attuazione della sentenza Google Spain. Nelle Linee guida i Garanti europei individuano in particolare proprio nel trattamento dei dati sulla salute uno dei criteri da tenere in considerazione per un corretto bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto/dovere all’informazione a causa del suo maggiore impatto sulla vita privata, rispetto ai dati personali “comuni”.
Ai fini del bilanciamento, inoltre, i Garanti Ue ritengono che debba essere presa in considerazione anche la natura dei contenuti di cui si chiede la rimozione precisando che nel caso in cui si tratti di “informazioni che sono parte di campagne personali contro un determinato soggetto, sotto forma di rant (esternazioni negative a ruota) o commenti personali spiacevoli”, la deindicizzazione deve essere giudicata con maggiore favore in presenza di “risultati contenenti dati che sembrano avere natura oggettiva ma che sono, in realtà, inesatti, in termini reali”, soprattutto “se ciò genera un’impressione inesatta, inadeguata o fuorviante rispetto alla persona interessata.”
Garante Privacy:
http://garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/7570001
* Cultrice della materia in Informatica giuridica- Università di Milano