di Gabriele Maestri
Ho letto con interesse l’articolo di Roberto Bin sul problema delle firme e delle candidature sollevato da Emma Bonino e dalla lista +Europa, tema di cui qui mi ero già occupato sotto Natale.
Le riflessioni che contiene colgono indubbiamente nel segno, soprattutto quando mettono in luce la correlazione – viziosa, purtroppo – tra formule normative confuse e aumento esponenziale del potere (che va ben oltre la semplice interpretazione) di burocrati e giudici chiamati ad applicare disposizioni spesso concepite in fretta e scritte (e, peggio ancora, discusse) ancora più in fretta.
Ha di nuovo ragione Bin quando scrive che il testo vigente della disposizione in materia di raccolta delle firme consente qualcosa di assurdo nel momento in cui “chi presenta la lista dovrebbe indicare i candidati di ogni collegio uninominale prima che la stessa coalizione decida, dopo sanguinosa lotta, quale esso sarà!” .
Il problema esiste ed è concreto, però più che della legge la colpa è, di nuovo, del vulnus creato con l’esenzione dalla raccolta firme. +Europa è la lista più nota a dover raccogliere le firme, ma non è certo l’unica ad averne bisogno in quanto priva di gruppo parlamentare (saranno impegnate con tavolini e banchetti, per dire, tanto l’estrema sinistra di Potere al Popolo!, quanto Forza Nuova e Fiamma tricolore, unite nel cartello di destra “Italia agli Italiani”); di certo però Bonino e gli altri sono i più interessati dall’altro lato della questione, cioè l’obbligo di individuare i candidati prima della raccolta firme, scrivendo i loro nomi sui moduli da far sottoscrivere.
Attenzione, la norma in sé non è affatto irragionevole (e, dunque, non la è nemmeno l’interpretazione data dal Ministero dell’interno). Se lo scopo della raccolta firme è dimostrare che l’iniziativa della lista ha un minimo di seguito (e dunque un minimo di serietà), è del tutto sensato che chi accetta di sostenere una candidatura non lo faccia firmando “in bianco”, senza sapere a quali candidati permette di presentarsi. Un elettore, ad esempio, potrebbe voler firmare per +Europa sapendo che sosterrà solo propri candidati nei collegi uninominali; potrebbe non volerlo fare ove quella lista si coalizzasse.
Sarebbe naturale raccogliere le firme solo dopo aver deciso i candidati di ogni lista e quelli dei collegi uninominali da sostenere insieme: questo, se tutti avessero l’obbligo di far sottoscrivere le liste. Il problema è che i partiti maggiori delle coalizioni (e molti di quelli minori) sono stati sollevati dalla raccolta di firme avendo un gruppo parlamentare: non dovendo dannarsi l’anima per settimane a raccogliere sottoscrizioni al freddo di gennaio (chiedendo la cortesia ai consiglieri comunali amici di fare da autenticatori, oppure pagando notai e cancellieri se per sventura in un territorio non c’è nessuno a disposizione), queste forze politiche potrebbero decidere chi mettere in lista e quali candidati comuni sostenere nei collegi uninominali – dunque anche come ripartirli tra i vari attori della coalizione – al limite anche poche ore prima che scada il termine di presentazione delle liste.
In queste condizioni, chi deve raccogliere le firme – la lista +Europa, ma il discorso non sarebbe cambiato se nel centrodestra, per dire, Clemente Mastella avesse voluto rimettere in pista l’Udeur appena risvegliata – dovrebbe mettere una fretta dannata ai partiti maggiori per decidere chi candidare (sia che si vogliano mettere nei collegi uninominali candidati della lista che ha bisogno di firme, sia che non lo si voglia fare). I partiti maggiori, però, forti dei loro numeri, di fretta non sembrano averne e, peggio, pare non capiscano il problema: è inutile promettere alla lista +Europa il sostegno nella raccolta firme, se non si decide in fretta chi candidare.
Una via d’uscita, a dire il vero, era stata tentata e ne avevo fatto cenno qualche giorno fa. Il Pd aveva presentato un emendamento alla legge di bilancio per ridurre le firme necessarie a un quarto del numero previsto di norma e – ecco il punto – precisare che “l’indicazione dei candidati nei collegi uninominali è presentata separatamente dalla lista dei candidati nel collegio plurinominale”: in pratica, si sarebbe potuta iniziare subito la raccolta firme decidendo solo i candidati delle liste, rinviando le scelte per i collegi uninominali all’ultimo minuto.
Da un comunicato di +Europa si apprende che l’escamotage dell’emendamento alla legge di bilancio sarebbe stato “impropriamente suggerito” addirittura dal Viminale (e, se fosse vero, ci sarebbe da restare sorpresi a scoprire che proprio un ministero abbia suggerito di inserire nella legge di bilancio una norma che, per la parte relativa a firme e candidature, era del tutto estranea all’oggetto della legge); la “separazione delle candidature”, però, è saltata per l’opposizione di Forza Italia che non avrebbe accettato “sottoscrizioni senza contenuto” e, sempre secondo +Europa, aveva minacciato “di far saltare il bilancio dello Stato”.
Dell’inopportunità di quell’emendamento non economico alla legge di bilancio, ho già scritto. Per i promotori della lista l’emendamento non era necessario perché sarebbe bastato interpretare diversamente la disposizione, ma non è così: non si può proprio chiedere a un elettore di sostenere la presentazione di una lista e di una candidatura uninominale collegata, senza dirgli chi sta aiutando a candidarsi; permettere questo poi renderebbe difficile prendersela con chi raccoglie le firme e poi, poco prima di depositare le liste, cambia i nomi dei candidati. Detto questo, l’irragionevolezza c’è tutta, ma per evitarla bastava una cosa molto semplice: obbligare tutti a raccogliere le firme e a muoversi per tempo per decidere chi candidare e dove.
Esattamente quello che i partiti – tutti – non volevano fare.