di Giovanni De Plato
L’unità delle sinistre è durata meno di un giorno. E’ davvero sconcertante vedere come i suoi dirigenti subito dopo la grande e bella manifestazione antifascista di Como siano riusciti a bruciare sui fuochi della polemica quell’iniziativa politica unitaria a forte partecipazione di giovani. Che senso ha paragonare Grasso e Boldrini a Fini, come ha fatto Renzi, segretario del Pd? Che senso ha riproporre il dialogo politico con i 5 Stelle, come va facendo Bersani di Liberi e uguali? Ho l’impressione che le sinistre, riformista e radicale, non si rendano conto che esiste una minaccia eversiva, rappresentata in Italia da Salvini, Meloni, Berlusconi, Di Maio. Non dimentichiamoci che il leader resuscitato di Forza Italia affermò che chi fa il giudice deve essere un malato mentale. Chissà cosa dirà ora per la mancata scarcerazione del suo amico dell’Utri. La sinistra non ha memoria di se stessa e quello che è peggio non ha memoria di quel che hanno fatto e detto le forze della destra.
Stiamo assistendo alla indecorosa fine di una idea di sinistra, o meglio alla disfatta del Pd e della galassia sinistrorsa. Per queste ragioni si sta favorendo irresponsabilmente l’allontanamento dalla politica della maggioranza delle persone sia da quella nazionale che da quella locale. Monta il discredito verso i dirigenti dei partiti che non perdono occasione per auto celebrarsi anche quando accumulano sconfitte. Si accaniscono a voler annientare i critici interni o esterni, che a loro volta sono spesso solo rancorosi o velleitari. La sinistra purtroppo dopo Romano Prodi non ha un leader, uno statista, un premier all’altezza delle sfide poste dalla globalizzazione. Forse siamo alla fine della fine di quella gloriosa storia avviata agli inizi del Novecento e divenuta subito dopo ingloriosa con gli anni del terrore stalinista. Queste brevi considerazioni potrebbero essere respinte dicendo siamo al solito disfattismo catastrofista. Provo a dire che così non è.
Prendo il filo del ragionamento da un altro lato, partendo dalle domande: esiste oggi una sinistra di Governo? E se sì è in grado di avere un programma per lo sviluppo del Paese; è capace di formare una grande alleanza per essere vincente nella prossima competizione elettorale? Sul primo interrogativo ho l’impressione che la sinistra galleggi sulla mancanza di una visione di cosa sta succedendo tra i continenti, sull’ignoranza dei processi che stanno trasformando i poteri tra le grandi potenze mondiali, sulla sottovalutazione del dominio dei centri finanziari che determinano anche la politica a livello locale. In questo scenario l’Unione europea sta subendo un attacco concentrico (Usa-Russia-Cina) al suo sistema democratico, alla sua economia competitiva, alla sua inclusione sociale e alla tutela del Welfare State. Un governo di centrosinistra dovrebbe avere la forza e l’intelligenza di essere protagonista di questa guerra politica che si sta giocando nel mondo.
La sinistra italiana riuscirà a svegliarsi dal suo torpore provinciale e dotarsi di una visione globale del fare politica? Riuscirà a considerare una priorità la difesa dell’Unione europea e la proposta di una Federazione degli Stati aderenti? Sul secondo interrogativo, purtroppo, lo slogan che anima le varie forze della sinistra continua ad essere “dividersi per dividere”, condannandosi così ad essere solo una sterile forza di opposizione. Su queste basi è difficile elaborare un programma di governo di un Paese che tende alla Federazione dell’Europa. Solo all’interno del contesto dell’Unione la sinistra italiana potrebbe caratterizzarsi per un programma che riconosca fondamentale la lotta ai populismi, alle diseguaglianze, alla disoccupazione giovanile e alle vecchie e nuove povertà. Come dovrebbe farsi carico di sostenere lo sviluppo di quella economia che oltre al profitto si fa carico anche della crescita del territorio e del progresso sociale.
Ci sarà un simile programma che possa candidare la sinistra a governare con un consenso maggioritario? Ho il timore di no. Il suo interlocutore sociale privilegiato dovrebbe essere chi è nato nel 1996 e voterà per la prima volta. Il ventenne di oggi inizia, se fortunato, a lavorare nel 2016 e andrà in pensione a 71 anni e due mesi. Cosa ha da proporre la sinistra a questo suo potenziale e sfortunato elettore? Nulla di nulla. Il giovane ventenne, però, non deve attendere una politica che non c’è. Più che lamentarsi o indignarsi deve attivarsi, deve cercare con altri giovani e persone di fare una massa critica, capace di elaborare proposte, di scegliere una rappresentanza credibile, di sbarazzarsi di un ceto politico indecente, di battersi per una politica nobile, sapendo creare una comunità ricca di risorse e inclusiva di persone.