di Roberto Bin
Il c.d. Rosatellum è ormai in fase di promulgazione. La legge approvata dalle Camere non è un testo semplice, a causa della pessima tecnica legislativa che è ormai prassi italiana (approvazione non di una nuova disciplina, ma di emendamenti alle leggi precedenti, cioè il Porcellum, come corretto dalla sent. 1/2014 della Corte costituzionale, per il Senato e l’Italicum, come corretto dalla sent. 35/2017 per la Camera), che rende le leggi incomprensibili e crea grande difficoltà (e perciò troppa incertezza e conseguente discrezionalità) nella loro applicazione.
Chi si vuole cimentare può consultare il dossier preparato dagli uffici del Senato, sulla base del testo licenziato dalla Camera e passato senza emendamenti (grazie ai voto di fiducia) al Senato stesso. Qualche giornale ha cercato di spiegare il nuovo sistema: le schede che seguono utilizzano come base un articolo comparso su il Corriere della Sera, con diverse modifiche e integrazioni. Chi vuole perdere del tempo può ascoltare una mia lezione in cui (nella seconda parte) illustro il senso della riforma agli studenti. Ovviamente schede e spiegazioni tracciano le linee generali e non entrano nei particolari tecnici della riforma elettorale; e possono contenere anche degli errori, per i quali mi scuso in anticipo.
La nuova legge elettorale
- Sistema misto (36,8% maggioritario)
Con il Rosatellum si torna a un sistema elettorale misto maggioritario-proporzionale, già sperimentato tra il 1993 e il 2005 con la legge Mattarella: esso prevede per la Camera 232 seggi uninominali (compresivi di un seggio per la Val d’Aosta e 6 collegi in Trentino Alto Adige), 386 seggi assegnati nei collegi plurinominali e 12 seggi della circoscrizione estero. Al Senato, i collegi uninominali sono 116, quelli plurinominali 193 e 6 quelli assegnati all’estero. Nei collegi uninominali è eletto il candidato più votato, in quelli plurinominali l’assegnazione dei seggi avviene con metodo proporzionale tra le liste e le coalizioni che hanno superato le soglie di sbarramento.
- Parità di genere (e tutela dei «trombati»)
Nei listini dei collegi plurinominali, i candidati (minimo 2, massimo 4) devono essere alternati per genere. Nel complesso delle candidature uninominali presentate da un singolo partito, poi, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60%. Inoltre, né gli uomini né le donne possono essere rappresentati nella posizione di capolista in misura superiore al 60%.
Un candidato può presentarsi in un solo collegio uninominale ma può beneficiare di un «paracadute» presentandosi anche in (non più di) 5 listini plurinominali. Tradotto: i «bocciati» nei collegi poi possono essere recuperati nella quota proporzionale, e sono eletti nel collegio ove la propria lista ha ottenuto la percentuale minore di voti.
- Soglie di sbarramento
Bisogna distinguere tra lista (singola formazione politica) e coalizione (formata da più liste); formare una coalizione non è obbligatorio. La soglia di sbarramento per l’ingresso in Parlamento è del 3% dei voti validi a livello nazionale per le liste che si presentano da sole. Mentre le coalizioni, per essere considerate tali, devono superare il 10%. Al Senato, comunque, sono ammesse anche le liste che in una sola regione superano il 20% dei voti in quel territorio.
I voti dei partitini coalizzati che non superano l’1% sono dispersi. Invece, i voti dei «cespugli» (piccole liste comprese in una coalizione) che si piazzano tra l’1 e il 3% sono distribuiti tra tutti i partiti della coalizione che hanno superato la soglia del 3%.
- Un’unica scheda
Non si può praticare il voto disgiunto, perché c’è un’unica scheda.
Ci saranno tre possibilità:
1) se l’elettore barra solo il nome del candidato uninominale il suo voto è trasferito anche al partito collegato o, in caso sia appoggiato da una colazione, attribuito «pro quota» alle liste alleate;
2) se si tracciano due «X», sul simbolo della lista e sul simbolo della lista collegata, il voto va al partito prescelto e non agli alleati;
3) Se si traccia una X sulla lista, il voto va anche al candidato «uninominale»
- Collegi plurinominali piccoli, liste brevi, niente preferenze
I collegi plurinominali sono molto piccoli. Per la Camera, in ognuno di essi si possono eleggere al minimo 3 e al massimo 8 deputati. Al Senato, in ognuno di essi si possono eleggere al minimo 2 e al massimo 8 senatori.
Norme particolari per la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige e il Molise. Delega al Governo per la definizione «tecnica» dei collegi (entro 30 giorni).
In più ci sono i 6 senatori e i 12 deputati eletti nei «collegi esteri», come previsto dalla (sciagurata) riforma costituzionale del 2001.
I listini dei candidati (ogni lista può indicare non meno di due e non più di 4 candidati) sono «bloccati», cioè l’elettore non può esprimere preferenze.
Mi potrebbe spiegare meglio la seguente opzione che riporto testualmente dal punto 4 del suo scritto:
2) se si tracciano due «X», sul simbolo della lista e sul simbolo della lista collegata, il voto va al partito prescelto e non agli alleati;
Da altri commenti avevo compreso che questa possibilità non è data all’elettore: nel caso sopra riportato il voto va alla lista collegata prescelta, ma anche al candidato uninominale e quindi “pro quota” alle altre liste che lo sostengono.
Grazie
Direi di no: se si vota solo il candidato uninominale, il voto va pro quota a tutti i partiti collegati, ma se si vota un partito (e il candidato uninominale) il voto va a questo partito soltanto. Ecco comunque la norma specifica (la lettura è sconsigliata ai deboli di cuore!):
«Art. 77. – 1. L’Ufficio centrale circoscrizionale….
c) determina la cifra elettorale di collegio uninominale di
ciascuna lista. Tale cifra e’ data dalla somma dei voti validi
conseguiti dalla lista stessa nelle singole sezioni elettorali del
collegio uninominale e dei voti espressi a favore dei soli candidati
nei collegi uninominali collegati a più liste in coalizione di cui
all’articolo 58, terzo comma, ultimo periodo, attribuiti alla lista a
seguito delle seguenti operazioni: l’Ufficio divide il totale dei
voti validi conseguiti da tutte le liste della coalizione nel
collegio uninominale per il numero dei voti espressi a favore dei
soli candidati nei collegi uninominali, ottenendo il quoziente di
ripartizione. Divide poi il totale dei voti validi conseguiti da
ciascuna lista per tale quoziente. La parte intera del quoziente
cosi’ ottenuto rappresenta il numero dei voti da assegnare a ciascuna
lista; i voti che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente
assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni abbiano
dato i maggiori resti, secondo l’ordine decrescente dei resti
medesimi.
Grazie Professore. Se ho ben compreso l’elettore che desidera che il proprio voto sia utilizzato per l’assegnazione dei seggi nel collegio plurinominale solo a favore di una lista della coalizione e non a favore degli alleati, dovrà tracciare il proprio segno sulla lista prescelta, nel riquadro sottostante al nome del candidato del collegio uninominale, senza la necessità di apporre un doppio segno. Il doppio segno (uno sulla lista prescelta, l’altro sul nome del candidato nel collegio uninominale sostenuto dalla lista prescelta), ove apposto, non dovrebbe invalidare il voto, ma sortire il medesimo effetto.
Resta ovviamente la forzatura rappresentata dal fatto che il voto vale anche per il candidato nel collegio uninominale che potrebbe essere espressione di un partito alleato, diverso da quello prescelto e magari non particolarmente gradito sotto il profilo del personale appeal.
Trovo anche singolare che il “peso” che ciascuna lista potrà far valere nel riparto dei seggi nel collegio plurinominale sia affidato alla scelta di quegli elettori consapevoli che esprimeranno il proprio voto tracciando il segno sulla lista preferita, in appoggio al candidato nel collegio uninominale. In altre parole mi chiedo quanti elettori sono consapevoli del fatto che votando il candidato nel collegio uninominale avvantaggino la lista alleata che ha conseguito il maggior numero di voti “diretti”.