Casa: chi la cerca, chi la occupa, chi la sgombera

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di Nicola Pignatelli

Minniti, occupazioni, sgomberi, abitazioni, politiche sociali, sicurezza urbana, immigrazione. Queste parole si sovrappongono e si confondono, in questi giorni, in cui il Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno ha adottato una circolare sulla problematica inestricabile delle “occupazioni arbitrarie di immobili”.

Le immagini di Roma sono ancora negli occhi, per quanto la questione abitativa in Italia arrivi da lontano. Partiamo dalla abitazione. La casa è il luogo edilizio dei sogni, è dimensione intima, è lo spazio più vero in cui si sviluppa la personalità (art. 2 Cost.), è il luogo del domicilio (art. 14 Cost.), della famiglia (art. 29 Cost.) o della convivenza; è il presupposto fisico di molti diritti costituzionali, in sintesi “è il vostro corpo più vasto”, scriveva Gibran. La Corte costituzionale da tempo afferma che è doveroso da parte della collettività “impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione” (sent. n. 49/1987). Eppure la Costituzione non riconosce un diritto (alla proprietà) “della abitazione”; non lo riconosce né ai cittadini italiani né agli stranieri. Nel nostro ordinamento vive un diritto costituzionale diverso, un diritto “alla abitazione”, ossia una pretesa legittima ad accedere ad una casa; tale pretesa è connessa in modo speculare ad un dovere dello Stato di promuovere l’accesso alla casa, ossia ad un obbligo per il legislatore statale (e per quelli regionali, nei limiti delle proprie competenze) di prevedere una molteplicità di misure (si pensi, in ordine sparso, alla edilizia economica popolare, alle misure di riqualificazione urbana, alle agevolazioni fiscali). In altre parole non esiste un diritto assoluto ma un interesse costituzionalmente legittimo a veder esercitati i poteri pubblici finalizzati a garantire il possesso di una abitazione.

In questo quadro emerge quindi la continua esigenza di un bilanciamento tra l’esigenza abitativa ed una molteplicità di ulteriori valori costituzionali. Tuttavia questo quadro, in cui molte famiglie italiane sono prive di un’abitazione e spesso di un’abitazione adeguata, è stato drammaticamente complicato dal fatto ineludibile della immigrazione. Abbiamo così assistito alla proliferazione di occupazioni abusive di immobili pubblici (come le stesse case di edilizia popolare) e finanche di immobili privati non utilizzati (in danno dei proprietari). Inutile ricordare che la occupazione abusiva di un immobile costituisce un reato (art. 633 c.p.), peraltro neppure scriminato, generalmente dallo stato di necessità e di bisogno degli occupanti, del quale la Cassazione fornisce una interpretazione assai restrittiva (limitata ad un pericolo attuale e transitorio), affermando che con l’occupazione abusiva non può essere risolto un problema permanente in modo surrettizio. Più generalmente quel problema è della Politica, che deve dare risposte, anticipandolo e prevenendolo.

Negli ultimi anni, si è tentato di affrontarlo in modo troppo disorganico e prevalentemente in una logica emergenziale. Il Piano Casa Lupi (d.l. 47/2014) ha previsto, da una parte, alcune ragionevoli misure per la alienazione del patrimonio residenziale pubblico, un accenno di programma di recupero per gli alloggi di edilizia popolare, da un’altra però, in modo abnorme, ha previsto che chiunque occupi abusivamente un immobile non potrà più chiedere la residenza né partecipare alle procedure di assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica per i 5 anni successivi; quest’ultima previsione è senza dubbio incostituzionale, incidendo in modo irragionevole sull’esercizio di altri diritti costituzionali (si pensi che la residenza è requisito per la iscrizione al servizio sanitario o per l’inserimento nelle graduatorie per gli asili nido) e comunque tende a rafforzare la esclusione sociale dei soggetti deboli.

Più di recente il d.l. “sicurezza” (d.l. n. 14/2017) è tornato ad affrontare la problematica, prevedendo che i Prefetti, in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali relativi ad occupazioni abusive, adottino disposizioni per prevenire il pericolo per la sicurezza pubblica, e che tali disposizioni tengano conto della tutela dei nuclei familiari deboli e dei livelli assistenziali che devono essere garantiti alle persone e soprattutto ai minori. Tuttavia anche questa previsione presuppone che il problema esista già. La stessa recente circolare del Ministero dell’Interno appare certamente sopravvalutata dalla stampa, visto che si tratta pur sempre di un mero atto amministrativo, di poche pagine, che si pone in scia all’insufficiente quadro normativo di cui dicevo, pur istituendo operativamente una cabina di regia interna al Ministero e pur ribandendo il ruolo centrale del Comitato metropolitano, quale luogo di leale collaborazione locale tra istituzioni e associazionismo.

Non può negarsi però come la circolare c.d. Minniti abbia assunto un’intensa forza politica, aprendo un virtuoso dibattito pubblico sulla questione abitativa in Italia. Probabilmente bisogna ripartire da una nuova politica sulla casa, da un nuovo disegno normativo complessivo, da un’intesa forte tra Stato e Regioni (competenti a valle in materia di edilizia popolare), qualcosa di molto più forte dell’ultimo Piano Casa. È necessario perseguire una sintesi di due anime, quella della eliminazione preventiva dei fattori di marginalità sociale e quella della legalità all’occupazione arbitraria di immobili. Tuttavia questo deve avvenire tutelando i proprietari privati degli immobili. La circolare, infatti, pur avendo un senso nella parte in cui evoca una ricognizione programmatica dei beni immobili pubblici inutilizzati, sequestrati e confiscati alle mafie, appare illegittima, nella parte in cui prevede una minacciosa ricognizione dei beni privati inutilizzati, strumentale ad una ipotetica requisizione (temporanea) per esigenze abitative; questa requisizione non è prevista da alcuna norma del nostro ordinamento né può ritenersi che possa poggiarsi su una antichissima disposizione (art. 7 All. E l. n. 2248/1865), del tutto generica, non specificando l’organo competente, i presupposti della requisizione ed i limiti di essa.

Una ragione in più per non lasciare la questione abitativa alla gestione emergenziale. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di una visione politica.

 

 

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