di Roberto Bin
È incredibile il seguito mediatico che ricevono certe “notizie”. Che un gruppetto di giovanotti e di signori attempati decida di progettare un corteo a Roma nel giorno in cui compie 95 anni la Marcia su Roma di Mussolini non mi sembra dovrebbe occupare spazio su giornali che non abbiano una spiccata funzione satirica.
Diceva Marx (ma la frase non era sua) che la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come commedia. Quindi ci siamo. Per altro, saluti romani e inni fascisti salgono ogni domenica dalle curve di molti stadi, a partire da quello di Roma (ma non solo) e nostalgici tatuaggi del fascio e del duce li ho visti con i miei occhi decorare spudoratamente la pelle di molti di quei poliziotti che dovrebbero difendere le istituzioni democratiche. Si sa, il fascismo è un brand che vende ancora bene. Quanto ai cortei, a Roma se ne tengono sempre tanti e per i motivi più vari: che sarà mai una piccola processione di pochi nostalgici. Forse sarebbe passata del tutto inosservata. E invece subito sono insorti in tanti per dare l’allarme, il pericolo per le nostre istituzioni democratiche: la sinistra, che non perde mai l’occasione di strafare, invoca a gran voce divieti e repressione, sollecita il pronto intervento del ministro degli interni. Persino il sindaco di Roma dedica alla cosa un tweet: “La Marcia su Roma non può e non deve ripetersi”. L’avessimo avuta nel ’22 al Campidoglio, la storia d’Italia sarebbe stata ben diversa!
La reazione, così vivace, puzza un po’ del solito desiderio di repressione e rivela scarsa conoscenza delle regole democratiche, di quella Costituzione che tutti vogliono però difendere strenuamente. La Repubblica, per esempio, avverte che in Questura non è ancora arrivata la “richiesta di autorizzazione”; già, spesso la stampa parla di “manifestazioni non autorizzate”, ignorando che una delle differenze che marcano il passaggio dal fascismo all’ordinamento costituzionale è che non bisogna più chiedere alcuna autorizzazione per promuovere un corteo o una riunione in piazza, ma basta “dare preavviso” all’autorità di PS, almeno tre giorni prima. Spetta poi al questore decidere se è necessario vietare la manifestazione “preavvisata”, ma lo può fare (dice sempre l’art. 17 Cost.) solo “per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Non possono essere motivi teorici, ma devono essere sostenuti da argomenti concreti e prognosi provate nei fatti: è in nome della salute delle persone, non della tenuta delle istituzioni democratiche e del loro decoro, che si può vietare l’esercizio di un diritto costituzionale già “perfetto”. Se questi elementi non ricorrono, la manifestazione non può essere vietata: e sulla valutazione di questi elementi è l’autorità locale che deve pronunciarsi, non spetta di certo al Ministro sostituire le proprie urgenze politiche alle valutazioni “tecniche” del questore. Anzi, sarebbe un’interferenza gravissima.
Altra cosa è se la manifestazione diventasse violenta o se in essa si commettessero reati. La riunione dev’essere pacifica (e senza armi): se diventa violenta va sciolta d’autorità dalla polizia. Ma i crimini che vengono commessi nel corso del suo svolgimento vanno imputati ai singoli, non alla manifestazione come evento collettivo: la responsabilità penale è personale. Ciò vale per qualsiasi crimine, anche per l’apologia di fascismo. Eventuali manifestazioni del genere non comportano scioglimento della manifestazione, ma i singoli comportamenti vanno registrati e causeranno l’avvio di una procedura d’indagine e di incriminazione delle persone che li hanno tenuti. Spetta agli agenti di polizia registrare i comportamenti che possono dar luogo alla fattispecie di apologia del fascismo: sperando che nel frattempo i loro superiori li abbiano convinti a procedere alla dolorosa cancellazione di tatuaggi evocativi dei simboli di un ventennio nefasto.