di Giovanni De Plato
Prestare l’attenzione all’altro, al semplice cittadino per il politico, il parlamentare o l’amministratore dovrebbe essere un dovere, in particolare se si richiama ai valori democratici e di sinistra. L’ascolto, però, non è un sentire occasionale, un percepire e basta. E’ una cultura che porta a fare del dialogo un incontro tra chi ha le leve del potere e chi è portatore di bisogni e aspettative. In questo senso ascoltare è uno scambio con l’altro, implica per chi governa una partecipazione e riflessione da cui dovrebbe far scaturire una proposta per arrivare ad una mediazione necessaria a realizzare un obiettivo condiviso.
La mancanza della cultura dell’ascolto e del dialogo tra i potenti della terra, secondo Papa Francesco, genera solo guerre e conflitti. Parafrasando il suo ammonimento a livello locale si potrebbe dire che la stessa mancanza tra governanti e cittadini genera ostilità e scontri. E’ quello che è successo in questo torrido agosto a Bologna, quando la polizia antisommossa è intervenuta per sgomberare il centro sociale del collettivo Labàs in via Orfeo. Quando il sindaco ha dichiarato prima “non avevo titolo per interferire” e poi “l’alternativa c’è, proporremo una sede provvisoria nell’area Staveco”. Quando il presidente dell’Ordine degli avvocati, il Presidente e il Procuratore generale della corte d’appello dichiarano le loro perplessità per la soluzione individuata dall’amministrazione comunale. Quando non pochi dirigenti politici, consiglieri regionali e comunali della stessa maggioranza di centrosinistra, lamentano frettolosità e mancanza di una strategia.
In realtà quello che balza evidente è che tra tutti questi diversi soggetti istituzionali e sociali manca una cultura di reciproco ascolto, dialogo e confronto. La grande assente è, dunque, quella cultura che permette in anticipo di individuare le possibili e fattibili soluzioni all’interno di un contesto generale, dove altri soggetti sociali, meno rumorosi e invadenti, attendono risposte alle loro altrettanto legittime esigenze. Una buona parte della sinistra più che ascoltare l’altro ascolta se stessa, ha un ego devastante. Non ha la cultura per fare del semplice cittadino un soggetto degno di attenzione per le sue idee e un protagonista da gratificare nella ricerca di un bene legale davvero collettivo. Cosa fare per tanta mancanza?. Intanto, non stancarsi di proporre il dialogo e di attivare la società civile.
E se fosse invece la mancanza di una cultura della verità, e di coraggio di difenderla, che mancasse? Senza volontà sincera di cercare e di rispettare la verità dei fatti (quello in economia è la correttezza dei dati e in diritto la coerenza delle ragioni), non ci può essere né giustizia né riforma sociale. In questo paese non solo è possibile dire tutto e il contrario di tutto, ma l’azione pubblica è (spesso) fondata su un discorso non veritiero (falso, fasullo, fuorviante, o ‘fake’ come si dice adesso, le parole non mancano). Invece della ricerca di una verità condivisa, si seguono le ‘verità’ degli interessi costituiti, del potere, della forza e dell’intimidazione. Questo spiega gran parte dei vizi atavici del Bel Paese.