di Fulvio Cortese
Fissato per il 22 ottobre di quest’anno, il referendum consultivo per la maggiore autonomia del Veneto approda ora al giudice amministrativo. Due elettori veneti, infatti, hanno promosso un ricorso dinanzi al Tar lagunare per chiedere l’annullamento del decreto di indizione firmato dal Presidente della Regione e della delibera con cui la Giunta regionale aveva precedentemente avviato il negoziato con il Governo.
La storia di questa consultazione referendaria – che è lunga e che ha già attirato l’attenzione di questa rivista in altre occasioni – si arricchisce, dunque, di una nuova puntata.
Su che cosa si fonda il ricorso? I ricorrenti, elettori iscritti nelle liste elettorali di due comuni del territorio regionale, lamentano diverse violazioni di legge: in primo luogo dello Statuto della Regione; quindi della legge regionale che ha previsto il referendum stesso (l.r. Veneto, n. 15/2014), della quale viene anche argomentata la parziale illegittimità costituzionale.
In estrema sintesi, le questioni poste all’attenzione del giudice sono quattro:
A) La scorretta formulazione del quesito: la domanda posta agli elettori veneti (“Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”) sarebbe disomogenea e poco chiara, in aperta violazione dei criteri di ammissibilità previsti sul punto dallo Statuto della Regione e dalla consolidata e nota giurisprudenza costituzionale sul referendum abrogativo previsto dall’art. 75 Cost.; in sostanza, gli elettori sarebbero costretti ad una soluzione “o bianco o nero”, senza alcuna possibilità di distinguere tra le diverse materie (giustizia di pace, tutela della salute, norme generali sull’istruzione, produzione e trasporto dell’energia…) su cui la Regione potrebbe ottenere dallo Stato una maggiore autonomia in base all’art. 116 Cost.
B) La carenza dei presupposti previsti dalla legge per l’indizione del referendum: la legge regionale che ha indetto il referendum prevede che ad esso si possa procedere soltanto dopo aver constatato il fallimento delle trattative tra gli Esecutivi, regionale e statale; in realtà, tale fallimento non vi sarebbe stato, dal momento che le trattative sarebbero state, anzi, interrotte prematuramente e unilateralmente proprio dalla Regione del Veneto.
C) L’impossibilità di indire un referendum consultivo in assenza degli istituti e degli organismi che sono indispensabili per la verifica della sua effettiva ammissibilità: il referendum è stato indetto senza che ne sia stata verificata l’ammissibilità da parte della Commissione di garanzia statutaria, organismo previsto dallo Statuto della Regione, ma mai concretamente istituito.
D) La violazione delle disposizioni concernenti lo svolgimento della propaganda elettorale: la legge regionale che ha previsto il referendum affida alla Giunta regionale – ossia al medesimo organo che lo ha concretamente indetto… – il ruolo di unico attore della campagna di informazione; non solo, quindi, vengono violate le pertinenti disposizioni statali (della legge n. 352/1970 come della legge n. 28/2000) poste a tutela della par condicio elettorale, ma si viene anche a configurare una lesione del principio costituzionale di eguaglianza, poiché tutti gli attori politici dovrebbero poter accedere alla possibilità di fare propaganda, per il si come per il no; proprio per tale ragione la legge regionale dovrebbe anche dichiararsi costituzionalmente illegittima.
Come si può constatare, si tratta di questioni complesse, sulle quali non è facile elaborare soluzioni univoche o pacifiche. Del resto, sulla prima e sulla terza potrebbero esserci interpretazioni divergenti, e sulla seconda si potrebbe anche dubitare circa la possibilità che siano gli elettori a poter veicolare il relativo vizio. Per non dire del fatto che il Tar potrebbe evitare ogni imbarazzo, negando la propria giurisdizione.
Il punto è che il ricorso affronta comunque un profilo molto delicato, in particolare quello che emerge nell’ultima questione. Essa, infatti, mette effettivamente il dito, per così dire, sull’originario fattore di ambiguità del referendum in esame, ossia sul suo carattere intrinsecamente – e quindi inopportunamente… – sospeso: tra la chance (in astratto) tipica di ogni ipotesi di democrazia diretta, vale a dire il configurarsi come la sede nobile per l’affermazione matura e consapevole di una volontà politica e amministrativa ipoteticamente diffusa e condivisa dalla cittadinanza; e il rischio (in concreto) altrettanto classico di trasformarsi in facile traino politico ed elettorale a favore della maggioranza di governo e dei suoi obiettivi (nel caso di specie non esclusivamente regionali, come è di per sé dimostrato dall’abbinamento con l’analogo referendum lombardo, promosso dalla stessa compagine politica e simbolicamente destinato a svolgersi contestualmente a quello veneto).
La parola passa, in definitiva, al Tar del Veneto, che dovrà decidere. E dovrà farlo presto, visto che i ricorrenti hanno anche formulato un’istanza cautelare, per fare in modo che il giudice si pronunci prima dello svolgimento del referendum.
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