Sistemi elettorali e rappresentatività

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di Glauco Nori*

Le sentenze della Corte Costituzionale in materia di legge elettorale registrano qualche vuoto di motivazione, come per esempio la sentenza n. 35/2017, perché su questioni di principio una motivazione troppo dettagliata può complicare le cose più che semplificarle. Ma a complicare le cose in tema di leggi elettorali e rappresentatività è la crescente astensione al voto. Vediamo perché.

1 –La Corte costituzionale con la sentenza n.1/2014 ha dichiarato la illegittimità costituzionale del premio di maggioranza, come allora era articolato, perché “dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo di rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art.1, secondo comma Cost.”. Ha, di conseguenza, dichiarato la illegittimità costituzionale delle nome impugnate perché “consentono una illimitata compressione della rappresentatività della assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della ‘rappresentanza politica nazionale’ (art.67 cost.)”.

Secondo la Corte alla rappresentatività si può portare un correttivo ma non rovesciare “la ratio della formula elettorale prescelta”. Adottato il criterio proporzionale, si dovrebbe essere coerenti e non si potrebbe neutralizzarlo oltre i limiti della ragionevolezza. Diverso è il caso, e la Corte ha tenuto a precisarlo, quando si ricorre al collegio uninominale, non fondato sulla proporzionalità.

2 – Da questa premessa è partita la Corte con la sentenza n.35/2017 con la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale del ballottaggio, introdotto con la legge n.52 del 2015: “ben può il legislatore innestare un premio di maggioranza in un sistema elettorale ispirato al criterio proporzionale dei seggi, purché tale meccanismo premiale non sia foriero di un’eccessiva sovrarappresentazione della lista di maggioranza relativa”.

Per la specifica funzione e posizione costituzionale della Camera dei Deputati, che concede la fiducia al Governo ed è titolare di funzioni di indirizzo politico e di quella legislativa, “in una forma di governo parlamentare, ogni sistema elettorale… non può che essere primariamente destinato ad assicurare il valore costituzionale della rappresentatività”.

C’è una certa risonanza della proposta fatta in Assemblea Costituente di aggiungere “secondo il sistema proporzionale” al primo comma dell’art. 56 Cost., non accolta e tradotta poi in un ordine del giorno: “L’Assemblea Costituente ritiene che l’elezione dei membri della Camera dei deputati debba avvenire secondo il sistema proporzionale”.  Non fu considerato opportuno il richiamo nella Costituzione per evitare che, se si fosse voluto dottare un criterio diverso, si dovesse modificare la norma costituzionale.

In vista della stabilità di governo si possono, dunque, adottare correttivi, ma nei limiti giustificati dalla proporzionalità e ragionevolezza, che non pregiudichino il bilanciamento dei due interessi, rappresentatività e funzione di governo, tutelati entrambi dalla Costituzione.

3 – La Corte ha concluso con la verifica, resa necessaria dalla funzione della legge, che la normativa di risulta consentisse in ogni momento il rinnovo dell’organo elettivo.

Dopo avere rilevato che una “sproporzionata divaricazione” tra la composizione della Camera dei Deputati e la volontà dei cittadini, espressa con il voto (“che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo l’articolo 1 della Costituzione”), finiva con l’incidere sulla sovranità popolare, garantita dal principio della rappresentatività. Sarebbe stato il caso di non trascurare un altro effetto prodotto dalla sentenza: si è arrivati ad una legge proporzionale pura non sorretta da una volontà sovrana, anzi non voluta dal Parlamento. Si ricava dal fatto che il ballottaggio sia stato previsto come correttivo di secondo grado per il caso che non si arrivasse al premio di maggioranza. I correttivi apportati sono risultati eccessivi: però, malgrado dovesse essere evidente che il Parlamento non volesse un sistema proporzionale puro, è proprio questo che è diventato applicabile.

Apportare al ballottaggio i correttivi del caso “spetta all’ampia discrezionalità del legislatore…. , al quale il giudice costituzionale, nel rigoroso rispetto dei propri limiti d’intervento, non può sostituirsi”.

Dovrebbe essere questa la ragione per la quale la Corte si è fermata alla verifica funzionale, che “la normativa che resta in vigore… è idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo”, senza domandarsi se quella normativa trovasse il suo fondamento in una volontà legislativa corrispondente.

La singolarità del risultato avrebbe richiesto la spiegazione di come si accordasse con la Costituzione.

4 – Quando si affrontano questioni di principio può succedere che si incorra in qualche vuoto di motivazione anche perché una motivazione troppo dettagliata talvolta può complicare la situazione, invece di semplificarla.

La sentenza n.35/2017 ne è un esempio.

Secondo la Corte il principio di proporzionalità e di ragionevolezza “impone di verificare… che il bilanciamento dei principi e degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno dei due in maniera eccessiva”. Il ballottaggio tra le liste più votate provoca “uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta”.

La Corte non si è domandata se, per tutelare la rappresentatività, la normativa di risulta non provocasse la compressione eccessiva per l’altro dei due interessi costituzionalmente rilevanti. Per la stabilità di Governo la proporzionalità è la meno adatta, in particolare quando la situazione elettorale è come quella italiana attuale.

Secondo la Corte ogni sistema elettorale non può che essere primariamente destinato ad assicurare il valore costituzionale della rappresentatività. È dal principio proporzionale che si dovrebbe, quindi, sempre partire. Se poi i correttivi per la stabilità del Governo sono eliminati perché eccessivi, anche in mancanza di una volontà corrispondente dell’elettorato, la rappresentatività si espanderebbe in tutta la sua portata indipendentemente dalla entità del pregiudizio alla funzione di Governo. Se sorge conflitto, dunque, la rappresentatività deve essere garantita a qualunque costo.

5 – Dopo quanto si è sentito e letto negli ultimi tempi a proposito delle elezioni, sarebbe il caso che qualche approfondimento venisse da parte degli esperti a proposito del significato dell’astensione elettorale. Col cambiare delle situazioni politiche e delle sensibilità elettorali anche le astensioni potrebbero avere assunto un significato diverso. Non è detto che sia così, ma non si dovrebbe dare per scontato il contrario.

Dal punto di vista terminologico l’astensione ha un significato soltanto negativo: sta ad indicare che ci si astiene dal fare qualche cosa; sul perché è neutra. Per questa neutralità si presta ad assumere significati diversi, secondo l’orientamento dell’interprete.

In Italia, come nei Paesi c.d. più evoluti, l’astensione elettorale risulta in aumento.  Qualcuno non partecipa perché non interessato alla politica o per difficoltà di ordine pratico. Secondo quanto si sa, il numero sarebbe esiguo. Per il resto sulle ragioni si possono fare solo ipotesi. Chi, distratto da altri interessi, resta disorientato, può scegliere di rimettersi a quello che decide la maggioranza, fidando sul metodo elettorale.  Così si potrebbe spiegare perché l’astensione aumenti nei Paese con livello economico e culturale più elevato.  Ma ci può essere anche chi preferisce non assumere responsabilità per quanto prevede che possano fare i partiti concorrenti sui quali non ha fiducia.

Sono solo ipotesi di fronte all’unico dato sicuro del valore soltanto negativo dell’astensione. Soprattutto per la misura assunta negli ultimi tempi, è stata sostenuta qualche tesi che presupporrebbe che le astensioni costituiscano una autonoma maggioranza elettorale.

Nelle elezioni protagonisti sono i partiti o movimenti (come si definiscono da soli) che, secondo l’art.49 Cost., “concorrono a determinare la politica nazionale”. Per concorrere debbono essere in grado di fare una proposta da mettere a confronto con le altre. Una vera proposta non può ridursi a dire no a quello che propongono gli altri, ma deve avere un contenuto positivo, per quanto evanescente e indeterminato possa essere, dal quale desumere come la politica dovrebbe essere orientata.

Nessun contenuto positivo comune può essere desunto dalle astensioni che, anche se interpretate come un no ai programmi degli altri, lo sarebbero per ragioni diverse e talvolta incompatibili. Se gli astenuti non vogliono o non sono interessati ad essere rappresentati dai partiti in concorso, il loro numero non dovrebbe incidere sulla rappresentatività. Per il contrario, la rappresentatività andrebbe rapportata a tutto il corpo elettorale e non soltanto a chi vota; sarebbe come dire che la funzione rappresentativa sarebbe indipendente dalla volontà del rappresentato. Si potrebbe anche andare incontro al rischio di vedere nell’astensione una sorta di rappresentanza implicita data a chi riporterà la maggioranza.  Il risultato sarebbe che il partito vincente, in genere definito come rappresentante di una minoranza, sia pure maggiore della altre, finirebbe con l’essere espressione di una maggioranza schiacciante.

Per questo non sarebbe male che gli specialisti dessero qualche chiarimento. Come può l’astensione influire sulla valutazione della maggioranza?

Le astensioni non possono essere riportate in una specie di partito atipico, a formazione spontanea, perché senza un programma, richiesto dall’art.46 Cost. Quello che sembra difficile è ricavare il valore di proposta da una posizione solo negativa.

Secondo alcune argomentazioni ricorrenti le astensioni farebbero perdere di rappresentatività ai partiti e ai movimenti votati. La rappresentatività sarebbe coinvolta anche quando gli elettori dimostrano il loro disinteresse a vedersi rappresentati. Questo non significa che non abbia un suo valore perché sta a dimostrare che le proposte politiche del momento non convincono una parte dell’elettorato.

Se si arrivasse ad un maggiore chiarimento, potrebbero fose semplificarsi anche alcune questioni di costituzionalità.

* Già avvocato dello Stato

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1 commento su “Sistemi elettorali e rappresentatività”

  1. Il dibattito sulla normativa elettorale è estremamente confuso. Su un punto l’autore e i giudici nella sentenza 35-2017 hanno ragione: la rappresentatività va messa davanti alla governabilità. Ma la caratteristica più importante della normativa elettorale è il rispetto dei diritti individuali sanciti dagli art. 48, 49, 51, 56, 58 e 67. La ‘rappresentatività’, ‘l’uguaglianza in uscita’ non non sono principi costituzionali, ma obiettivi politici contingenti ; non sono fondamentali, ma derivati; possono diventare diritto attraverso una legge elettorale che crea certe garanzie a favore dei partiti (o alcuni di loro?) o più precisamente a favore delle liste elettorali, e attraverso la legge sul finanziamento pubblico, ma a favore di chi: deputati, gruppi parlamentari, liste elettorali o partiti? I costituenti non hanno inteso proteggere tali diritti come fondamentali. Certe clausole (quali il riconoscimento di “attribuzioni di carattere costituzionale” ai partiti, “l’elezione dei membri della Camera dei deputati (deve) avvenire secondo il sistema proporzionale”) sono state espressamente respinte. I costituenti hanno definito i partiti come associazioni private (cf. Temistocle Martines, Diritto costituzionale, 7° 1992, Giuffré Milano, parte 3, capitolo 2, § 6: I partiti politici, 753-765.), che dipendono dall’iniziativa dei cittadini, non dall’ordinamento della repubblica. L’art. 49 è stato inserito nella parte I sui diritti e doveri dei cittadini, non nella parte II sull’ordinamento della repubblica. Il soggetto dell’art. sono i cittadini; sono loro, non i partiti come erroneamente affermava l’illustre autore, che concorrono attraverso i partiti alla determinazione della politica nazionale. La differenza è abissale, fra supremazia dei partiti quali istituzioni pubbliche che non solo selezionano i candidati ma nominano pure loro gli eletti, e supremazia degli individui su tutte le strutture, a parte quelle democraticamente legittimate, o in altre parole fra liberal-democrazia e partitocrazia (il Parteienstaat di Leibholz). Difendo questa tesi da anni; per ultimo in un articolo critico sia delle ultime leggi vigenti, sia delle sentenze 1-2014 e 35-2017, sia della dottrina dominante (p. es. Ilena Massa Pinto, http://www.costituzionalismo.it/download/Costituzionalismo_201701_612.pdf). Il mio articolo è disponibile su: https://www.academia.edu/33331644/La_garanzia_dei_diritti_elettorali_fondamentali.

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