di Marta Tomasi*
Il Vaccination Act del Regno Unito, uno dei primi provvedimenti adottati da uno Stato nazionale per imporre una profilassi vaccinale obbligatoria, contro il quale si sono levate le voci dei primi antivaccinisti, risale al 1853. La storia della medicina ha portato a un incremento della conoscenza dei meccanismi di funzionamento di questi trattamenti e ad un loro miglioramento, ma i termini del dibattito sono rimasti sostanzialmente invariati. Si contrappongono la maggioranza della comunità scientifica, sino ad ora coesa nel sostenere la netta prevalenza dei benefici prodotti dai vaccini rispetto ai rischi – pur esistenti – ad essi connessi a coloro che, a vario titolo, sollevano dubbi e perplessità.
È su questo terreno, fra allarmismi e scetticismi, che si è di recente inserito il decreto legge n. 73/2017 che, rispondendo al calo della copertura in Italia, ha portato a dodici il numero delle vaccinazioni obbligatorie per i minori da 0 a 16 anni.
Il fenomeno dell’obiezione, variamente argomentata, è in effetti andato espandendosi nel corso degli anni, mettendo a rischio la c.d community immunity. Questa soglia di sicurezza costituisce un meccanismo in base alla quale, raggiunta una copertura della popolazione che si attesti al di sopra del 95%, si garantisce che le malattie non si diffondano nemmeno fra i soggetti che, per volontà o per forza (per esempio bambini immunodepressi), non sono vaccinati.
I vaccini, nel tempo, hanno finito per essere vittime del loro stesso successo, determinandosi una situazione nella quale la percezione del rischio derivante dal non sottoporsi alle profilassi di immunizzazione risulta spesso meno elevata rispetto a quella relativa ai possibili effetti collaterali dei vaccini stessi.
È molto complesso ridurre l’argomento a unità, in particolare se si considera che, per ogni malattia, potrebbero valere discorsi epidemiologici in parte differenti. Inoltre, ogni obiezione – sollevata spesso non contro i vaccini tout court, ma avverso un calendario vaccinale troppo fitto o contro l’impiego di adiuvanti potenzialmente dannosi per la salute e strategie di farmacovigilanza poco efficaci e attente – trova risposte specifiche a seconda dei contesti.
Al di là degli aspetti di dettaglio, dei quali sarebbe comunque opportuno discutere a fronte di informazioni e dati precisi e puntuali, la questione giuridica di fondo, sottesa a tutte queste discussioni, riguarda la capacità del sistema di sostenere concezioni individuali di salute che si sottraggono alle attuali determinazioni condivise dalla maggior parte della comunità scientifica. Lo scontro, dunque, si gioca sul terreno dei principi costituzionali: la salute nelle sue dimensioni individuale e collettiva, la responsabilità dei genitori nell’effettuare scelte nell’interesse dei figli minori, la libera manifestazione del pensiero e il diritto all’istruzione, tornato all’attenzione proprio a seguito dell’approvazione del decreto.
All’interno di un variegato panorama comparato, che vede affiancarsi ordinamenti favorevoli all’introduzione di obblighi vaccinali più o meno ampi, corredati di sanzioni dirette o indirette, e ordinamenti più orientati alla facoltatività di tali trattamenti, l’Italia rivestiva, sino a prima dell’ultimo intervento normativo, una posizione piuttosto atipica. La natura ibrida del modello costruitosi in Italia derivava non solo dal fatto di prevedere alcune ipotesi di vaccinazioni obbligatorie (come noto, difterite, tetano, poliomelite, epatite B) e di raccomandarne molte altre, ma anche dalla curiosa struttura delle fonti che, nel corso degli anni, si era andata definendo.
Il quadro obbligatorio inizialmente creato, che si completava con sanzioni dirette (penali prima, amministrative poi) e indirette (la mancata ammissione agli istituti scolastici), ha perso di concretezza nel tempo, tramutandosi in un obbligo dichiaratamente non coercibile che ha progressivamente lasciato spazio a un percorso di apertura verso forme di adesione spontanea e consapevole.
Della possibilità di sospendere in via sperimentale le vaccinazioni obbligatorie a livello nazionale, aperta a chiare lettere dal Piano Nazionale Vaccini 2005-2007, si è avvalsa, per esempio, la Regione Veneto con legge n. 7 del 23 marzo 2007.
La situazione di costante calo delle coperture ha portato, più di recente, a una inversione di tendenza, concretizzatasi dapprima in interventi locali (legge dell’Emilia Romagna n. 19/2016 e delibera del Comune Trieste n. 72/2016) volti a limitare l’accesso ad asili nido e scuole dell’infanzia ai bambini non vaccinati contro le quattro malattie allora imposte e, da ultimo, nel nuovo decreto n. 73/2017.
Questo, in particolare, impone 12 vaccinazioni come requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole dell’infanzia, incluse quelle private non paritarie, ed estende l’adempimento di questo obbligo vaccinale anche agli altri minori, fino a 16 anni, in base alle specifiche indicazioni del Calendario Vaccinale Nazionale relativo a ciascuna coorte di nascita.
Se inadempienti i genitori saranno convocati per un colloquio informativo e, in caso di mancata presentazione o protratto inadempimento, saranno segnalati all’ASL di riferimento, sarà comminata loro una sanzione amministrativa pecuniaria per ogni anno di mancata vaccinazione (da 500 a 7500€) e saranno segnalati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni per valutare provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale.
Al netto di considerazioni scientifiche che non competono al giurista, si possono rilevare almeno due profili di criticità del recente provvedimento che dovrebbe avere il merito di promuovere “uno dei più grandi risultati delle politiche pubbliche globali in materia di salute”.
1) Il mosaico della storia contemporanea dell’Italia, raffigurante un Parlamento che rinuncia alla discussione e fatica ad esercitare in maniera proattiva il proprio ruolo normativo, pare essersi arricchito di una nuova tessera. Il quadro derivante dall’esistenza di quattro obblighi vaccinali, molto risalenti nel tempo, svuotati di sanzioni e incentivi in virtù di provvedimenti di diversa natura (legislativi, governativi, regionali, locali…) non era evidentemente di facile lettura e interpretazione.
Su questo disegno abborracciato è intervenuto un provvedimento adottato dal Governo che:
– dovrebbe trovare la propria giustificazione in una situazione straordinaria, e dunque imprevedibile, di urgenza e necessità, pur essendosi rilevato, negli ultimi anni, un costante calo nei dati relativi alla copertura vaccinale;
– sposta la collocazione dell’Italia in maniera netta nel panorama comparato, portandola a superare, oggi, per quanto riguarda il numero di vaccinazioni obbligatorie, le legislazioni più impositive che in Bulgaria, Lettonia, Polonia, Repubblica Slovacca, Romania e Ungheria prescrivono fino a 9 vaccinazioni obbligatorie;
– incide in maniera rilevante sui rapporti fra potere pubblico e libertà individuale e sul bilanciamento di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione (in particolare tra diritto alla salute e diritto all’istruzione), prevedendo sanzioni pecuniarie (che possono essere particolarmente elevate, anche rispetto a quelle previste per la violazione dell’obbligo di istruzione, solo elementare) e possibili segnalazioni all’autorità giudiziaria minorile per eventuali provvedimenti in punto di responsabilità genitoriale.
2) In termini più generali, di opportunità politica dell’intervento adottato, il decreto consolida la strada della coercizione, portando con sé l’inevitabile conseguenza di inasprire un dibattito incancrenito all’interno di una società sempre più dominata dall’ideale della disobbedienza e da un diffuso atteggiamento di sfiducia nei confronti delle istituzioni sanitarie.
Se dal punto di vista scientifico non sono in dubbio validità ed efficacia dei trattamenti di cui si discute, il diritto non può rinunciare ad interrogarsi e a riflettere sulle modalità più opportune di intervento, nonché sul proprio ruolo e sulla propria funzione nella costruzione di un consenso anche intorno a ciò che, più o meno irrazionalmente, può fare paura.
* Università di Trento – Progetto biodiritto