Restare in carcere causa sciopero degli avvocati penalisti? Urge una pronuncia della Corte Costituzionale

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di Sandro De Nardi*

 Nei giorni scorsi sono state pronunciate, da parte di organi giudicanti, due ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale perché valuti, sotto distinti profili, se la vigente disciplina normativa che regolamenta l’astensione dalle udienze degli avvocati è conforme oppure no alla Carta fondamentale della Repubblica.In entrambi i casi, i “portieri” dei giudizi di costituzionalità erano chiamati a decidere in ordine alla richiesta di ottenere l’ennesimo rinvio d’udienza che era stata formulata dai difensori degli imputati stante la loro adesione ad un’iniziativa collettiva di astensione dalle udienze regolarmente proclamata: e proprio al fine di liberarsi dal vincolo della soggezione ad una legge reputata contra Constitutionem (la cui acritica applicazione avrebbe loro imposto di limitarsi a disporre sic et simpliciter un ulteriore rinvio dell’udienza), hanno instaurato – d’ufficio – due interessanti giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale che investono problematiche di primario rilievo pubblicistico.

In particolare, con il primo provvedimento – che è stato deliberato il 23 maggio 2017 dalla sezione penale del Tribunale di Reggio Emilia – il giudice procedente, davanti al quale si sta celebrando un ‘maxi’ processo che vede imputate più di 150 persone per una molteplicità di reati (ivi compresa l’associazione a delinquere), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 bis della legge n. 146/1990 nella parte in cui consente che il prescritto Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati stabilisca che – nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione – si possa procedere  nel giudizio, malgrado l’astensione del difensore, solo se l’imputato lo consenta. Ebbene, in considerazione della complessità argomentativa che caratterizza l’ordinanza in parola (tramite la quale si ipotizza che il quadro normativo vivente leda gli artt. 1, 3, 13, 24, 27, 70, 97 e 111 della Costituzione), in questa sede non è certo possibile esaminarla neppure per meri cenni: ciò che comunque colpisce il lettore – a prescindere dalla condivisibilità o meno di ogni singola doglianza – è lo sforzo argomentativo meritoriamente compiuto dal Tribunale per far comprendere ai giudici della Corte che, se si attribuisce “alla manifestazione di protesta e alla rivendicazione di categoria un peso abnorme e sproporzionato”, rischiano di essere gravemente compromessi (se non addirittura vanificati) alcuni diritti fondamentali dell’imputato detenuto (a cominciare dal bene supremo che è rappresentato dalla libertà personale); inoltre merita poi di essere segnalato che, sempre al predetto fine, il giudice a quo si premura di richiamare l’attenzione su un elemento fattuale che non può essere trascurato allorquando si sia chiamati a valutare la compatibilità costituzionale dei combinati disposti normativi attualmente in vigore nella materia de qua: vale  a dire, l’asimmetricità della relazione che, in concreto, si instaura tra avvocato difensore ed imputato detenuto, allorquando a quest’ultimo viene chiesto di accettare l’adesione del proprio difensore allo “sciopero” indetto dalla categoria forense (imponendogli “un’opzione e un atto di volontà che non sono e non possono essere libere”).

Con il secondo provvedimento – che è stato deliberato il 24 maggio 2017 dalla seconda sezione penale della Corte d’appello di Venezia – il collegio giudicante ha invece sollevato una questione di legittimità costituzionale di portata ben più generale (posto che nel caso di specie l’imputato si trovava sì in vinculis ma per altra causa): puntando questa volta l’indice contro l’art. 2, commi 1, 2 e 5 della vigente legge n. 146/1990 “nella parte in cui non prevede che l’obbligo di congruo preavviso e di ragionevole durata delle astensioni degli avvocati difensori si applichino anche alle iniziative di astensioni dalle udienze, successive e coordinate per essere determinate dalle medesime ragioni e pertanto da doversi considerare unitariamente”. Anche in tale evenienza il giudice a quo sviluppa una serie di articolate considerazioni che sono volte a prospettare dubbi di legittimità (non certo sull’an, quanto piuttosto) sul quomodo e sul quando delle numerose astensioni già deliberate (nonché, verosimilmente, deliberande) dall’Unione delle Camere Penali Italiane (UCPI) nel corso del 2017, che sono formalmente e temporalmente distinte ma originate dal medesimo obiettivo (id est contrastare la definitiva approvazione parlamentare della c.d. riforma del processo penale). Tra gli altri, degno di peculiare riflessione appare il passaggio motivazionale con il quale la Corte veneta pone in evidenza che il Codice di autoregolamentazione – atto normativo secondario che in base all’autorevole interpretazione delle sezioni unite penali della Corte di cassazione vincola il giudice procedente (cfr. sent. n. 40187 del 29 settembre 2014, Lattanzio) – finisce per considerare legittima l’astensione degli avvocati per ben 88 giorni lavorativi all’anno su un totale di 235 giorni teoricamente disponibili (perlomeno nel 2017): impedendo dunque (ragionevolmente?) che il 35% del tempo annuo ipoteticamente a disposizione per amministrare giustizia possa essere utilizzato per definire – in modo giusto ed in tempi ragionevoli, così come impone la Costituzione – l’abnorme numero di processi pendenti (pure) di fronte alla Corte lagunare. Anche per tale ragione il giudice a quo si domanda se l’attuale regolamentazione delle modalità di esercizio del diritto di “sciopero” da parte degli avvocati (diritto costituzionalmente loro garantito, secondo la pronuncia n. 171/1996 a suo tempo resa dal Giudice delle leggi), sia rispettoso – in principalità – dei principi dell’efficacia e dell’efficienza della giurisdizione, del buon andamento dell’amministrazione della giustizia, della ragionevole durata del processo di cui agli articoli 3, 24, 97 e 111 della Costituzione.

Ora, dato che la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane ha già deliberato un’ulteriore astensione dalle udienze (dal 12 al 16 giugno 2017) è molto probabile che la Corte costituzionale venga sollecitata a pronunciarsi in materia pure da altri magistrati ordinari (per i medesimi motivi o anche, sulla scorta delle peculiarità dei casi concreti di volta in volta sub iudice, per altre ed ulteriori ragioni): tuttavia, nel frattempo, qualche significativa novità potrebbe forse sopraggiungere grazie all’intervento della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Quest’ultima, infatti, é stata espressamente sollecitata – ancora una volta dal Tribunale di Reggio Emilia – a rivedere il giudizio di idoneità che a suo tempo (il 13.12.2007) aveva espresso proprio sul Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze: ed il relativo procedimento sembra essere in corso (si vedano, in proposito, le note appositamente depositate dall’UCPI, reperibili al seguente indirizzo: http://www.camerepenali.it). Allo stato, ovviamente, non è dato sapere se siffatto tentativo volto a stimolare la Commissione di garanzia affinché giunga a rimettere in discussione, in parte qua, il contenuto del Codice di autoregolamentazione sortirà gli esiti auspicati, anzitutto, dal Collegio giudicante che l’ha appositamente incalzata: ad ogni buon conto sarebbe senz’altro opportuno che, perlomeno in prima battuta, le complesse problematiche che sono state poste sul tappeto – ivi comprese quelle sollevate dalla Corte veneta – venissero seriamente affrontate, in tutto o almeno in parte, proprio in quella sede istituzionale al fine di garantire il doveroso bilanciamento tra diversi diritti e principi tutelati dalla Costituzione, cercando di perseguire “il pieno e ordinato esercizio di funzioni, come quella giurisdizionale, che assumono un rilievo fondamentale nell’ordinamento” (così Corte cost. sent. n. 171/1996).

Del resto, e a ben vedere, da una prima lettura dei due provvedimenti di rimessione si matura l’impressione che gli stessi giudici remittenti abbiano voluto parlare a nuora (la Corte costituzionale), affinché suocera (la Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali) intenda: possibilmente alla svelta.

 

* Associato di Istituzioni di diritto pubblico nella Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Padova

 

 

 

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