di Stefano Rossi
Scienza e politica sono ineluttabilmente intrecciate nelle scelte relative ai programmi sanitari. Il ruolo trainante che la scienza ha assunto rispetto allo sviluppo economico e sociale ha fatto sì che politica e diritto abbiano dovuto dedicare un’attenzione particolare alla regolazione di ambiti connessi alla tecnoscienza.
E al tempo stesso siano stati pervasi e colonizzati dal sapere scientifico, capillarmente presente nella vita stessa delle istituzioni giuridiche e politiche.
In questi mesi, nel dibattito pubblico, la polemica sul tema delle campagne vaccinali è stata particolarmente accesa. Era inevitabile se si pensa che la commistione tra scienza e società, tra scienza e istituzioni politiche e giuridiche è infatti ormai tale da incidere profondamente sulle strutture e sulle dinamiche istituzionali, sul ruolo dei gruppi che rappresentano categorie di soggetti e di interessi, sulle posizioni dei cittadini: le possibilità offerte dalla scienza infatti hanno ricondotto nel dominio della volontà decisioni che prima non vi appartenevano, collegando perciò le conseguenze di quella scelta ad un atto umano e dunque ad una responsabilità individuale.
Se infatti il mutamento incessante di cui è portatrice la scienza è oggetto di difficile metabolizzazione sociale soprattutto in conseguenza delle novità che arreca, mettendo in discussione dati antropologici e certezze consolidate, ciò si riflette sull’atteggiamento dei cittadini che sono in balia dell’alluvione di informazioni più o meno credibili sul tema e sono conseguentemente intimoriti dai rischi connessi alle reazioni avverse.
Ciò ha determinato l’espansione del fenomeno del vaccine hesitancy (cd. “esitazione vaccinale”) che però non è prevalentemente il frutto della mancanza di conoscenza specifica del problema, dato che – come emerge dai dati delle ricerche svolte – la maggior parte dei soggetti che rifiutano l’offerta vaccinale appartengono a classi culturalmente evolute, con livello medio-elevato di istruzione. Tale fenomeno è legato al ruolo attivo e consapevole del paziente, sempre meno disposto ad essere in balia dell’autorità medica e sempre più partecipativo nella costruzione del percorso e delle scelte intorno alla propria salute e nella valutazione delle organizzazioni sanitarie e dei professionisti che vi operano.
Il dibattito pubblico sui vaccini soffre quindi di una sorta di schizofrenia, essendo orientato dagli indiscutibili successi della scienza e, al contempo nella società del rischio, dall’aver fatto corrispondere al progresso materiale un incremento dei rischi che minacciano la salute.
Dopo essere stati per molti anni confinati nell’ambito medico, gli effetti indesiderati dei vaccini sono sempre più spesso portati all’attenzione dell’opinione pubblica in modo eclatante e acritico. Si tratta di campagne postmoderne che obliterano ogni confronto con il passato quando malattie come poliomielite, difterite e morbillo mietevano migliaia di vittime ed erano ben pochi a ritenere che non valesse la pena correre qualche rischio per ottenere i benefici assicurati dalle vaccinazioni.
Nell’epoca della medicalizzazione di ogni aspetto della vita, in cui molte malattie sono drasticamente diminuite, se non addirittura scomparse, il rischio che si manifestino effetti indesiderati viene percepito in una prospettiva diversa: rispetto all’incidenza delle malattie che il vaccino previene, le possibili reazioni avverse vengono infatti ad assumere un peso percentualmente trascurabile, ma socialmente avvertito come un rischio non sopportabile.
Il rapporto rischi/benefici delle vaccinazioni è rappresentato dal cd. “effetto piramide”, ove la base della piramide è costituita dal beneficio che deriva alla gran parte della popolazione dall’uso di un vaccino, mentre l’apice si rinviene nell’evento avverso che riguarda un numero marginale di casi rispetto alla maggioranza degli individui che ne trae vantaggio. A differenza di questi ultimi, chi subisce un danno lo vive però in prima persona, divenendo paradigma di una condizione esistenziale diffusive anche se eccezionale.
Come è noto, le malattie infettive possono essere controllate solo se una percentuale ampia della popolazione risulta vaccinata (cd. “immunità comunitaria” o herd immunity) e, dato che i minori sono spesso più vulnerabili alle malattie, i pediatri e i funzionari della sanità pubblica mirano alla massima copertura dei vaccini nella prima infanzia in cui il vaccino è più efficace. Malauguratamente, deve essere segnalato che negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo calo delle coperture vaccinali per singola malattia prevenibile il che potrebbe quindi influire sullo scenario epidemiologico e demografico.
In questo contesto – a quanto emerge dai comunicati stampa – il Consiglio dei ministri ha approvato in data 19 maggio un decreto legge che re-introduce l’obbligatorietà dei vaccini (12 entro i 16 anni) – secondo le indicazioni del calendario allegato al vigente Piano nazionale di prevenzione vaccinale – quale condizione per l’iscrizione all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia, pubblica e privata. Tale previsione aggira il problema del conflitto tra diritto individuale all’istruzione e interesse collettivo alla salute, nella misura in cui l’obbligo scolastico inizia con l’ultimo anno della scuola dell’infanzia.
In quest’ottica si deve rammentare come, prima del 1999, le trasgressioni agli obblighi vaccinali dessero luogo a sanzioni amministrative pecuniarie, ai sensi della legislazione allora vigente, prevedendosi altresì, in virtù dell’art. 47, d.P.R. n. 1518/1967, il rifiuto dell’ammissione alla scuola dell’obbligo e agli esami nel caso di mancata certificazione della sottoposizione dell’alunno alle vaccinazioni obbligatorie. Tale soluzione era stata oggetto di critica nella misura in cui «l’obbligo della vaccinazione condiziona[va] dei diritti-doveri del cittadino, e/o l’inserimento del medesimo in collettività a loro volta obbligatorie». In proposito si faceva notare come «il margine di scelta (…) per il titolare della patria potestà (…) risulta[sse] vieppiù ridotto, poiché sottrarre il minore alle vaccinazioni significa[va] precludergli anche l’istruzione obbligatoria e gratuita (art. 34, 2° co., Cost.), ed al tempo stesso rendere operanti – oltre a quelle che direttamente conseguono alla mancata vaccinazione – le sanzioni previste per la violazione dell’obbligo scolastico». Questo combinato disposto di misure determinava una «illegittima restrizione del diritto di libertà personale» che – considerata anche l’indisponibilità del diritto allo studio – si riflettava sull’«obbligo della vaccinazione [che] sarebbe… nullo e ci si [sarebbe] pot[uti] quindi rifiutare di sottostare ad essa, pur senza rinunciare alla pretesa alla iscrizione scolastica» (Panunzio, Trattamenti sanitari obbligatori e Costituzione, in Dir. soc., 1979, 896 s.).
A tali considerazioni si potrebbe replicare rilevando come, nel bilanciamento tra le posizioni giuridiche sopra richiamate, sarebbe comunque prevalente l’interesse collettivo alla salute che, nella specie, si riflette e coincide con la tutela del diritto alla salute del minore laddove la vaccinazione costituisce esplicazione del best interests of the child. In questo senso si può sostenere che il diritto protetto dall’art. 32 Cost. gode di efficacia c.d. orizzontale, sino ad imporsi all’interno delle formazioni sociali (famiglia) entro cui il minore è inserito, il che vuol dire che l’obbligo posto a carico dei genitori è solo uno degli strumenti attraverso cui può passare la soddisfazione del diritto alla salute del minore, mentre il suo interesse sostanziale – il c.d. bene della vita – resta pur sempre quello di ricevere il trattamento.
La stessa Corte costituzionale in più di una circostanza ha avuto modo di sottolineare che la previsione degli obblighi vaccinali è disposta anche nell’interesse del minore: così, nell’ordinanza n. 262/2004 (che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità concernente l’obbligo della vaccinazione antitetanica) si è rilevato che «ai fini di apprezzare la portata e il fondamento dell’obbligatorietà della vaccinazione (…) da praticare ai nuovi nati, rispetto alla quale si manifesti un rifiuto dei genitori, non è sufficiente argomentare, come viceversa fa il remittente, in base al solo carattere non diffusivo della malattia: infatti, alla valutazione rimessa al giudice non può essere estranea la considerazione del rischio derivante allo stesso minore dall’omissione della vaccinazione, posto che, nel caso del minore, non è in gioco la sua autodeterminazione, ma il potere-dovere dei genitori di adottare le misure e le condotte idonee a evitare pregiudizi o concreti pericoli alla salute dello stesso minore, non potendosi ammettere una totale libertà dei genitori di effettuare anche scelte che potrebbero essere gravemente pregiudizievoli al figlio».
Ancora nella sentenza n. 132/1992 la Corte ha ammesso l’applicazione degli artt. 333 e 336 c.c. per attuare la vaccinazione dei bambini contro la volontà di uno o di entrambi i genitori, rilevando come il rifiuto di praticare la vaccinazione integrasse una «condotta del genitore pregiudizievole a[l] figli[o]», pregiudicando un bene fondamentale del medesimo quale la salute, il che consentirebbe al giudice di intervenire – anche d’ufficio – «affinché a tal[e] obblig[o] si provveda in sostituzione di chi non adempia». In questa prospettiva si colloca la disposizione del decreto che prevede la segnalazione all’azienda sanitaria del genitore o esercente la responsabilità genitoriale sul minore che violi l’obbligo di vaccinazione, la quale a sua volta è tenuta a farne “denuncia” al Tribunale dei minorenni per la sospensione della potestà genitoriale.
Il contenuto dei provvedimenti che il Tribunale minorile può adottare ex art. 333 e 336 c.c. non è indicato dalla legge, ma è rimesso al suo prudente apprezzamento. Si tratta, quindi, di uno strumento duttile di protezione del minore contro quelle violazioni dei genitori non così gravi da imporre la decadenza della potestà e che, a sua volta, trova un limite nel: a) perseguimento dell’interesse del minore; b) proporzione con la gravità del pregiudizio per quest’ultimo; c) limitazione al campo dei rapporti relativi alla persona; d) rispetto dell’autonomia dei genitori.
Così in più occasioni è stato imposto al genitore di sottoporre il figlio minore a vaccinazione obbligatoria (ex pluris Cass. civ., n. 1653/1996; n. 6147/1994; App. Bari, decr. 12 febbraio 2003), limitando tuttavia il provvedimento del Tribunale dei minorenni al caso in cui l’inottemperanza si accompagni ad altri comportamenti negligenti o pregiudizievoli che inducano a ritenerla frutto di trascuratezza nei confronti del minore ovvero di scelte meramente ideologiche, sintomatiche di inadeguatezza del medesimo a svolgere la funzione genitoriale (Trib. min. Bologna, decr. 19 settembre 2013; anche Cass. civ., n. 1920/2004).
Ancora, scorrendo le misure previste nel decreto, emerge che la violazione dell’obbligo vaccinale da parte dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale e dei tutori determina l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 7.500 euro che viene irrogata dalle aziende sanitarie. Il che porte a configurare l’obbligo di vaccinazione come trattamento sanitario obbligatorio (non coattivo anche in virtù di quanto stabilito dall’art. 9 del d.l. n. 273/1994), non essendo le previsioni talmente stringenti da «lasciare così poco margine di scelta all’interessato, da far pensare che essa sia tale da vanificare la sua autodeterminazione e da rendere il suo un comportamento “imposto”, anzi propriamente “coatto”», sino ad eliminare sostanzialmente «il filtro della volontà consapevole e non coercita del titolare della patria potestà» (Panunzio, cit., 894 s.).
Il decreto riconosce comunque alcune garanzie consentendo l’omissione o il differimento della vaccinazione solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate e attestate dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta.
La stessa giurisprudenza se da una parte ha riconosciuto il dovere del genitore di tutelare la salute del minore quale causa giustificatrice dell’inottemperanza all’obbligo vaccinale, dall’altra ha chiarito a più riprese come il rifiuto alle vaccinazioni può considerarsi lecito e legittimo unicamente laddove da “fatti concreti” sia desumibile un pericolo reale per il minore (Corte cost., n. 262/2004). In particolare la giurisprudenza di legittimità ha precisato come la concretezza del pericolo vada accertata caso per caso, e che la circostanza secondo cui nella famiglia d’origine si sia già verificata un’ipotesi di danno da vaccinazione non costituisce elemento idoneo a giustificare l’inottemperanza all’obbligo vaccinale (Cass. civ., n. 5877/2004).
Sul versante scolastico, in caso di omissione non giustificata, i dirigenti – nel caso di asilo nido e scuola dell’infanzia – hanno l’obbligo di segnalare, entro 5 giorni dalla richiesta di iscrizione rifiutata, all’Azienda sanitaria il nominativo del bambino affinché si adempia all’obbligo vaccinale. Tale onere di segnalazione, a pena della commissione del reato di cui all’art. 328 c.p., si estende anche al dirigente della scuola dell’obbligo. Sul punto si potrebbe segnalare come sia foriera di dubbi l’applicazione della disposizione penale al preside o coordinatore didattico della scuola paritaria o privata, al quale sarebbe difficilmente ascrivibile la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Non sono poi da trascurare i problemi organizzativi e burocratici legati a verifiche di massa che potrebbe interessare sino a 800 mila minori e le rispettive famiglie.
Il provvedimento del governo non si limita tuttavia ad imporre oneri e sanzioni, avendo compreso che non è con un atto di forza che si risolve un problema anzitutto culturale, laddove il dilemma della liceità dell’atto medico vaccinale si è arricchito di implicazioni nuove e complesse derivanti dal rapporto tra medico e cittadino/utente, investendo la moderna concezione della salute come stato di benessere. Ciò ha fatto propendere per la ricerca di soluzioni alternative, come quelle che puntano su una migliore e più efficace comunicazione sul tema: così, a decorrere dal 1° giugno 2017, il ministero della Salute dovrà avviare una campagna straordinaria di sensibilizzazione per la popolazione sull’importanza delle vaccinazioni per la tutela della salute, accompagnata da iniziative di formazione del personale docente e degli studenti sui temi della prevenzione sanitaria. Le istituzioni, in ambito vaccinale, intervenendo al fine di evitare minacce alla salute della collettività dovrebbero comunicare efficacemente con i cittadini offrendo loro un nudge ovvero un aiuto, una motivazione che li renda autonomamente consapevoli delle scelte proposte, portandoli verso una responsabile accettazione in sinergia con l’istituzione e non in contrasto con essa.
Per concludere, si prevede che le misure del decreto entrino in vigore dal prossimo anno scolastico, venendo quindi a rendere concreta la distinzione tra efficacia del provvedimento ed efficacia del provvedere. Nel caso di specie l’atto potrebbe qualificarsi inefficace, rispetto al provvedimento, in quanto, pur entrato in vigore, non è ancora in grado di produrre effetti (essendo tra l’altro l’anno scolastico al suo termine), laddove risulta invece efficace rispetto al provvedere, in quanto la relativa adozione ha posto fine ad una situazione lesiva di posizioni giuridiche tutelate dall’ordinamento. Il decreto-legge assicura in sostanza il conseguimento di un risultato immediato, rivelandosi utile ad affrontare in termini (si presume) risolutivi una situazione di necessità ed urgenza.