REGNO UNITO
La Brexit di fronte
alla Corte Suprema

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di Francesca Rosa *

Decidendo sul caso Miller la Corte Suprema del Regno Unito ha definitivamente chiarito che l’avvio del recesso dall’Unione europea deve essere preceduto da una legge del Parlamento.

Ha pure stabilito che le Assemblee rappresentative di Scozia, Galles e Irlanda del Nord non hanno alcun diritto di veto nel procedimento legislativo che si svolgerà a Westminster.

L’antefatto è noto. Il 23 giugno scorso nel Regno Unito si è svolto un referendum popolare sulla permanenza del Paese nell’Unione europea: a fronte di una significativa affluenza alle urne (72,2% degli aventi diritto), il 51,9% degli elettori si è espresso a favore del “leave” e il 48,1% a favore del “remain”. Un risultato elettorale netto e politicamente dirompente ma inidoneo a produrre effetti giuridici: la consultazione è stata infatti disciplinata dallo European Union Referendum Act 2015 [http://www.legislation.gov.uk/ukpga/2015/36/contents/enacted], che nulla prevede sulle conseguenze del voto, contribuendo a qualificarlo come meramente consultivo.

Anche per questa ragione all’indomani del referendum si è aperto il problema di definire il ruolo di Governo e Parlamento nel processo di recesso – oggi regolato dall’art. 50 del TUE – a partire dalla sua attivazione, cioè dalla notifica dell’intenzione di recedere al Consiglio europeo. Due cittadini hanno adito l’autorità giudiziaria per chiarire se il Governo avesse il potere di notificare l’intenzione di recedere in forza della sola prerogativa regia, nella quale abitualmente si radica l’azione dell’esecutivo in politica estera. L’Alta Corte [https://www.judiciary.gov.uk/judgments/r-miller-v-secretary-of-state-for-exiting-the-european-union/] ha negato tale possibilità, poiché in ossequio al principio della sovranità del Parlamento l’esercizio della prerogativa regia non può violare il diritto vigente sia esso giurisprudenziale (common law) o legislativo (statute law). Nel caso di specie, dopo due anni dalla notifica, in assenza di un accordo tra le parti, il recesso sarebbe efficace e l’azione unilaterale del Governo revocherebbe in dubbio i diritti dei cittadini britannici derivanti dall’appartenenza all’Unione, primo fra tutti il diritto di voto (attivo e passivo) per il Parlamento europeo. Tale appartenenza si radica nello European Communities Act 1972 (ECA) [http://www.legislation.gov.uk/ukpga/1972/68/contents], una legge che ha incorporato al diritto interno il diritto comunitario allora vigente, introducendo pro futuro un meccanismo di adeguamento (automatico e non) del diritto interno a quello (prima) comunitario e (poi) euro-unitario.

Il Governo ha impugnato la decisione dell’Alta Corte di fronte alla Corte Suprema, sostenendo che ancora oggi la prerogativa regia “copre” le relazioni internazionali, e con esse anche il recesso dall’Unione Europea, perché la legislazione del 1972 e quella successiva non l’hanno né limitata né abrogata. Con una decisione assunta a maggioranza (8 a 3) la Corte Suprema ha rigettato il ricorso dell’esecutivo e confermato la conclusione dell’Alta Corte. Al cuore dell’argomentazione ci sono l’analisi della legge del 1972 e la ricostruzione dei rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo. In una prospettiva che può definirsi monista, la Corte ritiene che tramite lo ECA il Legislatore abbia introdotto il diritto europeo tra le fonti del diritto interno. Il radicale cambiamento costituzionale derivante dall’adesione alla CEE non attiene alla sola sfera delle relazioni internazionali e non può pertanto lasciato all’esercizio della prerogativa regia da parte del Governo, ma necessita una legge del Parlamento che sancisca l’inversione costituzionale in corso.

Tra le opinioni dei giudici di minoranza merita di essere segnalata quella più compiuta e approfondita, scritta da Lord Reed, il quale legge in termini del tutto alternativi (dualistici) il rapporto tra ordinamento interno ed europeo. Egli afferma che il diritto europeo deve essere considerato un sistema normativo distinto e autonomo da quello interno che ha effetto entro i confini del Paese in forza della legge del 1972. In questa prospettiva lo ECA consegue ad un obbligo pattizio, che viene meno quando muta l’assetto della relazione del Paese con l’Unione europea. Il recesso dall’Unione, determinando il venir meno di quell’obbligo, neutralizza la ratio della legge del 1972.

La Corte ha invece deciso all’unanimità la questione relativa al ruolo delle regioni nel processo di recesso, negando l’esistenza di un diritto di veto delle Assemblee rappresentative regionali nel procedimento legislativo nazionale. Nel riparto di competenze legislative tra i livelli di governo, la politica estera è materia riservata allo Stato e il consenso che le Assemblee legislative regionali esprimono quando il Parlamento di Westminster legifera (per esse) modificando poteri e competenze delle regioni si radica in una regola convenzionale (Sewel convention). Le convenzioni costituzionali non sono regole giuridiche e non sono suscettibili di essere invocate di fronte ad un giudice per chiederne l’applicazione, le Regioni non possono pertanto chiamare in causa la Corte Suprema per veder riconosciuto un ruolo nel procedimento legislativo che precederà la notifica dell’intenzione di recedere.

Chiusa la partita giudiziaria, si apre quella parlamentare, e per quanto il Governo sia forte della propria maggioranza, per quanto sia difficile per i rappresentanti del popolo “negare” il voto dei propri elettori, non escludiamo che qualche colpo di scena possa sorprenderci.

*Professore associato in Diritto pubblico comparato all’Università degli studi di Foggia

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