Il TAR della Lombardia, sez. Brescia, giudica di alcune norme comunali (Comune di Stezzano) che “declassano” il rito delle unioni civili rispetto a quello del matrimonio civile. Relegati in uno sgabuzzino, privi della presenza del Sindaco (che pare faccia “obiezione di coscienza”) gli interessati impugnano le norme comunali e provocano una sentenza molto dotta del TAR che fissa alcuni punti di diritto molto netti e importanti sia su analogie e differenze di rito sia sul preteso diritto del Sindaco a fare obiezione di coscienza. La sentenza impone anche al Comune di rifondere ai ricorrenti le spese giudiziarie pari a 4.000 euro più il 15% per spese generali. Merita leggerla.
Pubblicato il 29/12/2016
N. 01791/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01291/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1291 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimo Giavazzi, Stefano Chinotti e Vincenzo Miri, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. in Brescia, via C. Zima 3, ai sensi dell’art. 25 c.p.a.;
contro
Comune di Stezzano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Ernesto Tucci e Paolo Loda, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Brescia, via Romanino 16;
per l’annullamento
previa sospensiva, della deliberazione della giunta comunale n. 199 del 27/09/2016;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Stezzano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016 il dott. Giorgio Calderoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I. Con l’atto introduttivo del giudizio, depositato il 22 novembre 2016, i ricorrenti, Signor G. e Signor I. – che dichiarano di essere conviventi more uxorio e di risiedere da undici anni in Comune di Stezzano – espongono in fatto che il pomeriggio del giorno 4 ottobre 2016 il Signor G. (il quale si era rivolto all’ufficio servizi demografici di quel Comune onde avere delucidazioni sulla documentazione da predisporre in vista della costituzione di una unione civile con il sig. I., ai sensi della Legge 76/2016) fu informato da un’impiegata di quell’ufficio, oltre che dei documenti a ciò necessari, anche della circostanza che “con deliberazione assunta qualche giorno prima, la giunta comunale aveva disposto che le unioni civili fossero costituite in una stanza adiacente a quell’ufficio”; stanza che gli fu poi mostrata.
Il Sig. G. fece rilevare immediatamente “come la stanza mostratagli, angusta e indecorosa, non fosse affatto idonea ad accogliere la cerimonia di costituzione dell’unione quale se l’era prefigurata con il compagno, alla presenza di parenti e amici, e come essa fosse assai diversa dalla sala di rappresentanza del municipio riservata alla celebrazione dei matrimoni civili”.
Quindi, i ricorrenti chiesero e ottennero di prendere visione della delibera in questione e di ogni precedente in materia di matrimonio civile adottato dal Comune di Stezzano, tra cui:
– deliberazione di giunta 29.10.2010, n. 125, che aveva esteso la facoltà di celebrazione dei matrimoni, oltre che nella casa comunale costituita da Villa Grumelli Pedrocca, in altre due dimore storiche, Villa Caroli Zanchi e Villa Moroni, site entrambe all’interno del territorio comunale;
– deliberazione del consiglio comunale 1.06.2011, n. 29, di approvazione di un apposito regolamento per la disciplina della celebrazione del matrimonio civile, a norma del quale si destinava, per la celebrazione dei matrimoni nella casa comunale, la sala di rappresentanza del palazzo; in particolare, all’art. 7 di tale regolamento si stabiliva che “nelle celebrazioni nelle sale comunali il Comune garantisce che la sala sia allestita con un tavolo, un numero adeguato di sedie per gli sposi ed i testimoni e i divani abitualmente presenti nel locale. I richiedenti possono, a propria cura e spese, arricchire la sala con ulteriori arredi ed addobbi che, al termine della cerimonia, dovranno essere tempestivamente ed integralmente rimossi, sempre a cura dei richiedenti”;
– successiva deliberazione della giunta comunale n. 66 del 23.04.2015, con cui furono stabilite le tariffe per la celebrazione dei matrimoni civili introducendo un distinguo di costi tra persone residenti e non residenti, i primi onerati della somma di € 50 per la celebrazione a palazzo comunale ed € 100 per quelle a Villa Caroli Zanchi e Villa Moroni; i secondi, invece, rispettivamente, delle somme di € 150 ed € 250.
Infine, con l’impugnata deliberazione 27 settembre 2016, n. 199, la Giunta comunale adottò un atto di indirizzo per la “celebrazione delle unioni civili”, in cui si prevede la possibilità d’una cerimonia di costituzione delle unioni a Villa Caroli Zanchi e a Villa Moroni (al medesimo costo previsto per la celebrazione del matrimonio civile), limitando tuttavia la costituzione delle unioni civili, nel palazzo municipale, al locale sopramenzionato, adiacente all’ufficio servizi demografici: locale che, dopo alcuni articoli apparsi sulla stampa e su siti internet, è stato svuotato e modificato negli arredi.
Ritenendo, tuttavia, quest’ultimo intervento non sufficiente a emendare la stessa delibera giuntale da violazione di legge e conseguenze discriminatorie, i ricorrenti ne chiedono l’annullamento, previa sospensione, deducendo, in sintesi, le seguenti censure:
a) eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, manifesta ingiustizia del provvedimento impugnato e sua inadeguatezza a modificare una precedente deliberazione del consiglio comunale: previo richiamo all’art. 1 della legge della L. 76/2016 (secondo cui “La presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione …”) e alla sentenza 10/5/2011, in causa C-147, Römer della Corte di Giustizia – Grande Sezione, i ricorrenti sostengono:
– che sussisterebbe l’equiordinazione valoriale (nello Stato laico) del matrimonio eterosessuale all’unione omosessuale;
– che non sarebbe consentito a una pubblica amministrazione di discriminare due soggetti in ragione dei loro orientamenti sessuali;
– non vi sarebbe alcuna valida ragione organizzativa tale da giustificare la scelta di assegnare alle due (costituzionalmente equiordinate) funzioni dell’ufficio dello stato civile due differenti stanze;
– che tale scelta contrasterebbe con i canoni di “buon andamento” e “imparzialità” dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost.; con il combinato disposto degli artt. 8 (“diritto al rispetto della vita privata e familiare”) e 14 (“divieto di discriminazione”) della CEDU; con gli artt. 1 della Carta dei diritti fondamentali UE sull’inviolabilità della dignità umana e 21 sul divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale;
– che l’impugnata deliberazione di giunta contrasterebbe con quella consiliare del 2011 e che competente a disciplinare la costituzione dell’unione civile sarebbe, ex art. 42, comma 2, lett. a) del d.lgs. n. 267/2000, lo stesso Consiglio comunale;
– che la stessa deliberazione giuntale non si risolverebbe in una mera misura logistica relativa al palazzo municipale, ma determinerebbe le modalità di esercizio di una funzione, stabilendo che la celebrazione delle unioni civili sia effettuata da soggetti (i consiglieri comunali che hanno comunicato la propria disponibilità e, in caso di indisponibilità dei consiglieri, il dipendente comunale cui sono state delegate le funzioni di ufficiale di stato civile) differenti da quello (sindaco) cui è attribuito il compito di officiare i matrimoni eterosessuali;
b) violazione degli artt. 2 e 3 Cost., stante lo svolgimento della pubblica funzione de qua secondo modalità differenti e deteriori rispetto a quella riservata a persone con orientamento eterosessuale, cui è concessa la possibilità di accedere ad altri e più pregevoli spazi loro riservati, mentre il nuovo istituto delle unioni civili sarebbe permeato dal medesimo fondamento solidaristico del matrimonio, come si evincerebbe dalla recente sentenza Corte Cost. n. 174/2016 (punto 3.2);
c) mancato rispetto del disposto del comma 20 della L. 76/2016, che recita: “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”).
Il legislatore non avrebbe inteso estendere il matrimonio civile alle coppie formate da persone dello stesso sesso, ma avrebbe scelto di riservare a esse un nuovo istituto (l’unione civile), pur nella consapevolezza che, stante la pari dignità sociale di ogni forma di relazione familiare (da tempo affermata sia dalla Corte Costituzionale sia dalle Corti sovranazionali), non avrebbe potuto introdurre un trattamento discriminatorio tra le coppie formate da persone dello stesso sesso.
Di qui, la disposizione recata dal surriportato comma 20, il quale – ferma restando la non equiparazione tra i due istituti – determinerebbe esclusivamente <la piena e, per così dire, “rapida” regolamentazione di quello nuovo> al fine di porlo al riparo da trattamenti deteriori rispetto al matrimonio civile: con la conseguenza, rispetto al caso di specie, che il “Regolamento comunale per la celebrazione dei matrimoni civili” del Comune di Stezzano si applicherebbe inderogabilmente – stante la suddetta fonte normativa di rango superiore – anche alla costituzione delle unioni civili, cosicché “la circostanza che il luogo individuato per la costituzione delle unioni civili sia diverso da quello assegnato ai matrimoni civili dall’art. 3 del citato regolamento rende, ex se, illegittima la delibera di giunta comunale n. 199/2016”.
II. Il Comune di Stezzano si è costituito in giudizio il 9 dicembre 2016, depositando documentazione e memoria difensiva, in apertura della quale sostiene che “il ricorso avversario è privo di fondamento perché si basa in primo luogo su una erronea lettura del provvedimento impugnato”, in quanto sarebbe evidente:
– <che nella delibera in esame si tengono sempre distinte le parole “celebrazione”, intesa come “celebrazione del matrimonio” fra persone eterosessuali, di cui al Libro Primo, Sezione IV, artt. 106 e seguenti del Codice Civile, e “costituzione di unione civile”, intesa come unione fra persone dello stesso sesso, di cui alla legge n. 76 del 2016>;
– <che il contenuto della delibera della G. M. n. 199/2016 si applica ad entrambi gli istituti e non soltanto alle unioni fra omosessuali, come sostengono i ricorrenti, forse fuorviati da un dato testuale non adeguatamente esplicato>: dunque, la disposizione relativa all’ufficio servizi demografici si applicherebbe anche alla celebrazione dei matrimoni fra persone eterosessuali, tanto è vero che è prevista la celebrazione dei matrimoni civili e della costituzione delle unioni civili proprio nella sala dedicata, attigua all’ufficio servizi demografici, come risulterebbe dalla documentazione prodotta.
In ogni caso – prosegue il Comune – “l’interpretazione del contenuto della delibera in questione non può che essere quella che oggi il Comune ribadisce nelle presenti difese”.
In secondo luogo, i ricorrenti censurerebbero la delibera de qua sotto un profilo del tutto inconferente, in quanto è pacifico che competa “al Sindaco (e non al Consiglio Comunale) il potere di delegare, come per i matrimoni fra persone eterosessuali, per la costituzione delle unioni civili fra persone eterosessuali, un soggetto diverso da sé, ovvero i “consiglieri comunali che abbiano dato la propria disponibilità o il dipendente comunale a cui siano state delegate le funzioni di Ufficiale di Stato Civile”, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1 e seguenti del D.P.R. n. 396/2000”.
Dunque, la delibera di Giunta non farebbe che confermare la delega del Sindaco, non potendo per questo essere ritenuta illegittima.
In terzo luogo, la delibera impugnata non violerebbe la competenza del Consiglio Comunale in materia, proprio perché in forza dell’art. 3 del D.P.R. n. 396/2000 la Giunta ha specifica competenza per istituire o sopprimere uno o più separati Uffici dello Stato Civile, nel cui ambito può regolare il funzionamento degli uffici con i relativi servizi, senza dover ricorrere ogni volta a una previa delibera del Consiglio Comunale (come testimonierebbero “i numerosi precedenti di delibere di Giunta Comunale – di altri Comuni – in materia”, pure prodotti).
Nemmeno potrebbe essere accolta la censura formulata dai ricorrenti circa la scelta del Sindaco di delegare ad altri la celebrazione dei matrimoni e della costituzione delle unioni civili, essendo tale facoltà di delega stata riconosciuta dal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza del 15 luglio 2016.
III. All’odierna Camera di consiglio del 14 dicembre 2016, alla quale era chiamata per la decisione la domanda cautelare proposta dai ricorrenti, il Collegio ha informato i difensori presenti dell’intenzione di procedere ex art. 60 c.p.a., in ragione dell’obiettiva rilevanza della controversia: dopodiché, terminata la discussione orale tra gli stessi difensori, la causa è stata trattenuta in decisione per la definizione immediata del giudizio, seppur con sentenza non propriamente semplificata, stante la peculiarità della questione trattata.
DIRITTO
1. Il quadro giuridico complessivo in tema di unioni civili.
Per una migliore organicità espositiva, alla concreta disamina della fattispecie dedotta in causa occorre premettere un indispensabile riepilogo del complessivo quadro giuridico in cui essa si colloca.
le sollecitazioni di Corte costituzionale e Corte EDU
Come è noto, prima nel 2010 (sentenza n. 138) e poi nel 2014 (sentenza n. 170), la Corte costituzionale aveva sollecitato il Parlamento a garantire con legge il diritto delle coppie dello stesso sesso ad ottenere la formalizzazione della loro unione, consentendo loro di ricondurre a un rapporto giuridicamente regolato dallo Stato il desiderio di vivere liberamente una condizione di coppia.
L’anno successivo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha accertato la violazione dell’art. 8 della Convenzione da parte dell’Italia, per aver omesso di adottare una legislazione diretta al riconoscimento e alla protezione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (sentenza 21 luglio 2015, caso Oliari e a. contro Italia, nei ricorsi riuniti n. 18766/11 e 36030/11) e ha riconosciuto, a carico dello stato italiano, un risarcimento di € 5.000,00 ad ogni ricorrente, per i danni non patrimoniali sofferti.
La Corte, richiamando la propria giurisprudenza in tema di diritti delle coppie same sex
(Corte EDU, 24 giugno 2010, Schalk and Kopf e Vallianatos c. Austria), ha ribadito che le coppie formate da persone dello stesso sesso hanno la medesima capacità di dare vita ad una relazione stabile e hanno il medesimo bisogno di riconoscimento e di protezione della propria unione di quelle formate da persone di sesso diverso.
La Corte richiama, poi, a supporto anche la citata sentenza Corte costituzionale n. 138/2010 (par. 180) e la sentenza 9 febbraio 2015, n. 2400 della Corte di cassazione (par. 45).
La Corte riconosce tuttavia (par. 159 e par. 162) che, nell’applicare le misure positive per assicurare il rispetto effettivo dei diritti tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento.
Invero, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, se per un verso il diritto al matrimonio può essere riconosciuto alle persone dello stesso sesso sulla base di una scelta riservata ai singoli Stati (Corte europea dei diritti dell’uomo, 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia), per altro verso, la Convenzione garantisce alle coppie dello stesso sesso di disporre di uno specifico quadro giuridico per il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali.
E anche la Corte costituzionale aveva ritenuto non «costituzionalmente obbligata», in riferimento all’art. 29 Cost., l’introduzione del matrimonio per coppie dello stesso sesso (ancora sent. 138/2010).
la legge 76/2016
Tenendo conto di tali indicazioni, con la l. 76/2016 il legislatore italiano non ha percorso la via del matrimonio egualitario (pure intrapresa da diversi paesi europei) e ha optato, invece, per la soluzione presente in altri paesi europei, i cui ordinamenti contemplano un istituto analogo al matrimonio, ma da esso formalmente distinto (partnership variamente denominate, che nella legge 76 sono state definite “unioni civili”).
Secondo Cassazione penale sez. I 27/06/2016, n. 44182, “la finalità perseguita dal legislatore con tale nuova regolamentazione è quella di parificare, pur distinguendo le relative discipline positive e specifiche, la nozione di coniuge con quella di persona unita civilmente” (capo 3 in diritto).
Di seguito si analizzeranno brevemente tali analogie e distinzioni.
1.3. analogie e differenze tra gli istituti del matrimonio e dell’unione civile.
In linea generale può riprendersi l’osservazione contenuta in uno dei primi commenti dottrinali alla legge 76 e secondo cui l’unione civile è istituto che condivide con il matrimonio i tratti essenziali, sia per quel che riguarda il momento costitutivo (il profilo dell’«atto»), sia per quanto riguarda la relazione interpersonale (il profilo del «rapporto») e la rilevanza nei confronti dei terzi e della collettività.
Invero, passando a una rapida esemplificazione:
– complessivamente analoghi al matrimonio sono il regime dell’invalidità per mancanza di presupposti soggettivi (libertà di stato, assenza di vincoli di parentela e affinità, assenza dell’impedimento ex delicto) o per vizi derivanti dalla mancata espressione di un consenso libero e consapevole; e identica è anche la disciplina dei termini per proporre la relativa azione;
– anche gli effetti dell’unione nei rapporti tra i partner sono disciplinati sulla falsariga di quelli propri del matrimonio, con esclusione delle norme relative ai rapporti tra genitori e figli e alla separazione personale dei coniugi;
– per quanto riguarda i rapporti patrimoniali e successori, gli obblighi alimentari, l’istituto dell’amministrazione di sostegno e il rapporto di lavoro, si applicano le norme previste per i coniugi: ed è prevista anche la facoltà di scelta del cognome comune;
– anche per quanto riguarda i reciproci diritti e doveri (assistenza morale e materiale, coabitazione, contribuzione), sussiste analogia con quanto previsto per i coniugi dagli artt. 143, 144, 145 c.c..
Tutto ciò emerge dalla stessa tecnica legislativa seguita dalla legge 76, che costruisce la disciplina dell’unione civile mediante ripetuti rinvii, quasi per relationem, a quella codicistica del matrimonio, come osservato questa volta in altro commento dottrinale che adduce quale esempio paradigmatico in tal senso l’art.1, comma 5 (secondo il quale « si applicano gli artt. 65 e 68, nonché le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis del codice civile »).
Ma proprio questa tecnica sta a marcare anche la principale differenza, sotto il profilo formale, tra unione civile e matrimonio, in quanto essa sottolinea la scelta di affidare la disciplina delle unioni civili a una legge speciale, anziché farvi posto nel codice civile.
Con l’ulteriore conseguenza che ogni mancato richiamo alle disposizioni codicistiche segna anche una differenza tra le rispettive discipline dei due istituti, come nel caso del mancato richiamo all’art. 78 del codice civile che, comporta – ancora secondo la prevalente opinione dottrinale – una differenza tra gli status di coniuge e di unito civilmente, in quanto sarebbe da escludere che l’unione civile generi il vincolo di affinità tra ciascuna parte ed i parenti dell’altra.
Altra differenza riguarda l’età: solo il maggiorenne può contrarre unione civile.
Infine, le principali differenze tra matrimonio e unione civile concernono lo scioglimento del vincolo: nell’unione civile, infatti, non è prevista alcuna forma di separazione legale, ma soltanto il divorzio.
1.4 In particolare: la costituzione del vincolo
Differenze tra matrimonio e unione civile si registrano anche per quanto riguarda sia il procedimento di costituzione del vincolo (per l’unione è omessa la fase delle pubblicazioni e delle eventuali opposizioni), sia la celebrazione (oltre alla dichiarazione delle parti, non è prevista per l’unione quella dell’ufficiale di stato civile): ma identica è la natura giuridica dell’atto costitutivo. Invero, anche la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso avviene mediante atto formale e pubblico (dichiarazione del consenso manifestato dalle parti «di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni»), successivamente registrato dallo stesso ufficiale di stato civile nell’archivio di stato civile.
Mentre è pacifico che nel sistema della legge 76 rivesta natura contrattuale solo l’istituto, nettamente distinto dall’unione civile, del contratto di convivenza, contratto tipico, con propri requisiti sostanziali e formali, introdotto e disciplinato dai commi 50 e seguenti dell’articolo unico della legge 76.
2. L’art. 1 comma 20: chiave di volta e norma di chiusura della disciplina dell’unione civile
Così come è pacifico – nelle prime esegesi, dottrinali e giurisprudenziali, della medesima legge 76 – che il comma 20 dello stesso articolo unico (qui integralmente riportato al capo I dell’esposizione in fatto) rappresenti al contempo la chiave di volta dell’istituto dell’unione civile e la norma di chiusura dell’intera sua disciplina positiva.
Nella dottrina civilistica si è, così, definita regola generale quella contenuta nel comma 20 e si è affermato che – per effetto del rinvio ivi effettuato ad ogni disposizione diversa dal codice civile non espressamente richiamata – tutti i diritti previsti dalla legge per il matrimonio sono riconosciuti anche ai partner di unione civile in materia di lavoro, assistenza, previdenza, sanità, pensioni, immigrazione e in campo penale, penitenziario, fiscale.
Anche la dottrina processualcivilistica, pur critica nei confronti della modalità espressiva che caratterizza l’incipit finalistico del comma 20, riconosce che attraverso questa norma si compie l’equiparazione tra unione civile e matrimonio.
E, seppur in un obiter dictum, è la stessa Corte Costituzionale ad aver qualificato recentemente (sentenza 14/07/2016, n. 174, punto 3.2. del Considerato in diritto, cui si richiamano anche i ricorrenti nella propria censura sub “b”) come “clausola generale” quella del comma 20, in forza della quale l’istituto della pensione di reversibilità è stato applicato alle unioni civili “in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza”.
Di recente e a proposito dello stesso istituto della pensione di reversibilità, la Sez. lavoro della Cassazione civile (sentenza 3/11/2016, n. 22318) ha parimenti affermato che la nuova normativa di cui alla legge 76/2016 non prevede in favore del convivente more uxorio la pensione di reversibilità, <a differenza dell’ampia previsione dei trattamenti riconosciuti al comma 20 dell’art. 1 alla parte della “unione civile” disciplinata nelle forme previste dalla stessa legge>.
Infine, per quanto riguarda invece un esempio di automatica applicazione in sede amministrativa del comma 20, si può segnalare la circolare prot. 0003511 del 05/08/2016, con cui la Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo del Ministero dell’Interno ha pregato i Prefetti di informare le associazioni e i rappresentanti delle comunità straniere presenti sul territorio che, in virtù del comma 20, “il diritto al ricongiungimento familiare di cui all’art. 29 e seguenti del D.lgs 286/98 (T.U. Immigrazione), si estende ai cittadini stranieri dello stesso sesso uniti civilmente” e che “la procedura di rilascio del nulla osta e conseguente ingresso del ricongiunto non subisce alcuna modifica operativa se non con riferimento all’aggiornamento della modulistica in uso”.
3. La questione dell’<obiezione di coscienza>.
L’introduzione nell’ordinamento giuridico interno di un istituto a forte tasso di innovatività qual è quello dell’unione civile è stata prevedibilmente preceduta, accompagnata e seguita da un dibattito pubblico – politico e istituzionale – assai acceso, all’interno del quale non sono mancati i richiami alle tematiche dell’obiezione di coscienza.
I profili strettamente giuridici di tali problematiche sono stati espressamente affrontati e risolti nell’articolato parere (citato anche dal Comune nella propria memoria difensiva) reso per legge dalla Sezione Consultiva per gli Atti Normativi del Consiglio di Stato nell’Adunanza 15 luglio 2016 (parere 21/07/2016, n. 1695/2016) sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con cui, nella presente fase di prima applicazione della legge 76, sono dettate alcune disposizioni attuative “con il circoscritto fine di consentire l’immediata operatività dei registri delle unioni civili, onde così corrispondere alle richieste presentate ai Comuni dalle coppie omosessuali per l’applicazione ad esse del nuovo istituto” (così lo stesso parere).
Ebbene, al capo 4 della lettera A del suddetto parere, il Consiglio di Stato non si esime dall’affrontare <una seconda questione di carattere generale, che attiene ai doveri di adempimento da parte dei Comuni in ordine alle richieste formulate dalle coppie omosessuali aventi diritto> e che <riguarda la possibilità stessa, evocata di recente da alcuni sindaci, di una “obiezione di coscienza” motivabile con il rifiuto, in base a convinzioni culturali, religiose o morali, di concorrere – appunto, nella qualità di sindaco – a rendere operativo l’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso>.
Vale la pena di riportare integralmente le considerazioni svolte sul punto dal parere:
<<Ritiene il Consiglio di Stato che il rilievo giuridico di una “questione di coscienza” – affinché soggetti pubblici o privati si sottraggano legittimamente ad adempimenti cui per legge sono tenuti – può derivare soltanto dal riconoscimento che di tale questione faccia una norma, sicché detto rilievo, che esime dall’adempimento di un dovere, non può derivare da una “auto-qualificazione” effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento.
Il primato della “coscienza individuale” rispetto al dovere di osservanza di prescrizioni normative è stato affermato – pur in assenza di riconoscimento con legge – nei casi estremi di rifiuto di ottemperare a leggi manifestamente lesive di principi assoluti e non negoziabili (si pensi alla tragica esperienza delle leggi razziali). In un sistema costituzionale e democratico, tuttavia, è lo stesso ordinamento che deve indicare come e in quali termini la “coscienza individuale” possa consentire di non rispettare un precetto vincolante per legge.
Allorquando il Legislatore ha contemplato (si pensi all’obiezione di coscienza in materia di aborto o di sperimentazione animale) l’apprezzamento della possibilità, caso per caso, di sottrarsi ad un compito cui si è tenuti (ad esempio, l’interruzione anticipata di gravidanza), tale apprezzamento è stato effettuato con previsione generale e astratta, di cui il soggetto “obiettore” chiede l’applicazione.
Nel caso della legge n. 76/2016 una previsione del genere non è stata introdotta; e, anzi, dai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’<obiezione di coscienza> sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che ha così fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge.
Del resto, quanto al riferimento alla “coscienza individuale” adombrato per invocare la possibilità di “obiezione”, osserva il Consiglio di Stato che la legge, e correttamente il decreto attuativo oggi in esame, pone gli adempimenti a carico dell’ufficiale di stato civile, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco.
In tal modo il Legislatore ha affermato che detti adempimenti, trattandosi di disciplina dello stato civile, costituiscono un dovere civico e, al tempo stesso, ha posto tale dovere a carico di una ampia categoria di soggetti – quella degli ufficiali di stato civile – proprio per tener conto che, tra questi, vi possa essere chi affermi un “impedimento di coscienza”, in modo che altro ufficiale di stato civile possa compiere gli atti stabiliti nell’interesse della coppia richiedente.
Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell’ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione – il che la legge non consentirebbe in alcun caso – il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile>>.
Una volta delineato lo scenario giuridico di fondo in cui la presente controversia si inserisce, si può più agevolmente analizzarne gli specifici profili.
4. La portata dispositiva dell’impugnata deliberazione giuntale n. 199/2016, così come ricostruita alla stregua degli usuali canoni ermeneutici.
Preliminare si rivela la ricognizione dell’esatto significato e della reale portata provvedimentale della deliberazione giuntale impugnata, atteso che il Comune ne ha fornito, in questa sede giudiziale (cfr. la memoria difensiva del 9 dicembre 2016), una interpretazione per così dire estensiva, secondo la quale il suo contenuto (anche per ciò che concerne lo svolgimento delle cerimonie nel locale adiacente all’ufficio servizi demografici) si applicherebbe indifferentemente ad entrambi gli istituti del matrimonio civile e delle unioni civili: e ciò in quanto nella delibera in esame si terrebbero <sempre distinte le parole “celebrazione”, intesa come “celebrazione del matrimonio” fra persone eterosessuali, di cui al Libro Primo, Sezione IV, artt. 106 e seguenti del Codice Civile, e “costituzione di unione civile”, intesa come unione fra persone dello stesso sesso, di cui alla legge n. 76 del 2016>.
4.1. La tesi confligge apertamente con gli usuali canoni dell’interpretazione letterale e sistematica dei provvedimenti amministrativi, tenuto di quanto è dato evincere dalle varie parti che compongono il provvedimento de quo (oggetto, motivazione, dispositivo).
Invero:
a) l’oggetto recita testualmente “atto di indirizzo celebrazioni unioni civili” e nella motivazione si richiamano esclusivamente:
– l’art. 3 del D.P.R. n. 396/2000 e la relativa circolare del Ministero dell’Interno n. 10/2014 che hanno ad oggetto la Celebrazione del matrimonio civile presso siti diversi dalla casa comunale;
– la deliberazione n. 125/29.10.2010 con la quale la Giunta Comunale approvava l’istituzione di separati uffici di stato civile per la celebrazione dei matrimoni, presso la Villa Caroli-Zanchi e la Villa Moroni;
– il D.P.C.M. 23.7.2016, n. 144, cioè il Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile, ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76 su cui il Consiglio di Stato ha espresso il citato e preventivo parere n. 1695/201;
b) nella stessa motivazione non viene mai citato il Regolamento comunale per la celebrazione dei matrimoni civili, approvato dal Consiglio comunale di Stezzano con la menzionata deliberazione comunale 1.6.2011, n. 29, al cui articolo 3 si indicano quali luoghi della relativa celebrazione la sala di rappresentanza del Municipio e le sale di Villa Caroli-Zanchi e di Villa Moroni; e al cui art. 2 si stabilisce espressamente che “la celebrazione dei matrimoni civili viene effettuata dal Sindaco nelle funzioni di Ufficiale dello Stato civile o da persone dallo stesso delegate ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1 del D.P.R. 3.11.2000, n. 396”;
c) dopodiché, l’unico passaggio argomentativo della motivazione – prima del “ritenuto” in cui si riportano le determinazioni da assumere che saranno ripetute nella parte dispositiva – è il seguente:
“Considerato che questa Amministrazione Comunale, per finalità di promozione e valorizzazione del territorio comunale, intende confermare le locations sia per le celebrazioni che per le costituzioni delle unioni civili”;
d) quindi, nella parte dispositiva si delibera espressamente:
– 1.“di autorizzare la celebrazione o la costituzione delle unioni civili, oltre che nella sede comunale, presso l’ufficio dei servizi demografici, anche presso la Villa Caroli-Zanchi e la Villa Moroni”;
– 2. “di confermare le seguenti tariffe comunali vigenti”: si tratta delle tariffe stabilite con la deliberazione giuntale n. 66 del 23.04.2015, articolate per ubicazione e per residenza, di cui si è dato conto al capo I dell’esposizione in fatto;
– 3. “di stabilire che le celebrazioni e costituzioni civili siano effettuate:
– dai consiglieri comunali che hanno comunicato la propria disponibilità;
– in caso di indisponibilità dei consiglieri, dal dipendente comunale cui sono state delegate le funzioni di Ufficiale di Stato Civile”.
4.2. L’insieme dei dati testuali appena riportati e dei richiami ovvero non richiami a precedenti atti deliberativi del Comune conduce inequivocabilmente a concludere che – lungi dal costituire la regolamentazione uno actu della celebrazione dei matrimoni civili e delle unioni civili, come prospettato nella memoria difensiva comunale – l’impugnata deliberazione n. 199/2016 introduca una autonoma e distinta disciplina della celebrazione delle sole unioni civili.
E ciò per le seguenti ragioni:
aa) innanzitutto quella letterale: non è vero che nella delibera de qua si tengano sempre distinte le parole “celebrazione” (intesa come “celebrazione del matrimonio” fra persone eterosessuali) e “costituzione di unione civile”.
Tanto al secondo capoverso del ritenuto delle “premesse”, quanto al punto 3 del dispositivo le parole “celebrazioni” e “costituzione civili” sono unite tra loro dalla congiunzione “e”, che serve chiaramente a ricomprendere in una locuzione unica non già due realtà tra loro distinte (matrimonio e unione civile), bensì due momenti o due fasi (la celebrazione/rito; la costituzione/atto pubblico) della procedura in cui si articola l’unico istituto giuridico “unione civile”.
E’ dunque esclusivamente a questo istituto che la deliberazione intende riferirsi quando individua quali possibili “celebranti” solo i consiglieri comunali disponibili o, in difetto, il dipendente comunale/ufficiale di stato civile: chè altrimenti, a voler seguire l’interpretazione della memoria difensiva comunale, si dovrebbe pervenire alla conclusione che la delibera n. 199/2016 abbia voluto stabilire la regola che in Comune di Stezzano nessun matrimonio civile sia celebrato dal Sindaco, ponendosi così in palese contrasto con il citato art. 2 del regolamento comunale del 2011;
bb) che poi la stessa delibera n. 199/2016 intenda riferirsi alle sole unioni civili anche per quanto riguarda i luoghi comunali messi a disposizione lo si ricava, questa volta, non tanto dal dato letterale (obiettivamente ambiguo in tal caso, poiché i due termini sono uniti in motivazione dalle congiunzioni correlative “sia … che”, mentre al punto 1 del dispositivo è tra loro interposta la congiunzione disgiuntiva “o”), quanto dall’unico passaggio realmente motivazionale della delibera stessa: cioè la finalità di promozione del territorio che ispira dichiaratamente la scelta di autorizzare l’utilizzo delle due ville storiche Caroli-Zanchi e Moroni e, per quanto riguarda il palazzo comunale, l’ufficio servizi demografici.
Anche in questo caso l’interpretazione prospettata dal Comune in questo giudizio condurrebbe all’esito di un contrasto con l’art. 3 del Regolamento comunale, che riserva ai matrimoni civili la sala di rappresentanza del Municipio;
cc) l’interpretazione della difesa comunale deve essere, dunque, disattesa, perché contra legem (duplice contrasto con il Regolamento comunale del 2011 per la celebrazione dei matrimoni civili) e non secundum legem;
dd) né in contrario possono valere gli ulteriori argomenti addotti dalla difesa comunale, in quanto:
* nessun rilievo probatorio può assumere il documento 3 prodotto dalla stessa difesa, in quanto si tratta di un semplice elenco “prenotazioni matrimoni/unioni civili-sala presso uffici demografici”, pur redatto su carta intestata dei Servizi demografici ma privo di data e sottoscrizione da parte del relativo responsabile, in cui figurano due matrimoni (per il 17.12.2016 e il 4.2.2017) e una unione civile per la primavera 2017 “in data da definire”, con l’indicazione dei rispettivi contraenti.
Al di là dell’inammissibilità, sotto il profilo formale, di un siffatto mero elenco di prenotazioni per il futuro, quel che in ogni caso avrebbe potuto rivelarsi di un certo interesse sarebbe stata una certificazione del funzionario dei servizi demografici circa il locale della Residenza Municipale (sala di rappresentanza, ufficio servizi demografici) in cui si sono effettivamente svolte le celebrazioni dei matrimoni civili a partire dall’adozione della delibera n. 199/2016, dichiarata immediatamente eseguibile e sino al momento della costituzione in giudizio del Comune;
* neppure può condividersi l’argomento per cui la memoria difensiva del Comune varrebbe quale sorta di interpretazione autentica, perché tale facoltà è riservata per un sin troppo noto principio generale al solo organo che emanato l’atto della cui interpretazione si tratta.
Inoltre, ben avrebbe potuto la Giunta comunale, se lo avesse voluto, adottare un apposito atto di siffatta interpretazione autentica prima o dopo la notifica del ricorso, tanto più tenuto conto che nella delibera 25 ottobre 2016, n. 225 (di incarico all’attuale difensore in questa controversia) si dà atto di una richiesta di annullamento in autotutela avanzata dai legali dei ricorrenti e della fissazione di un appuntamento del Sindaco con i ricorrenti stessi e i loro legali.
E in ogni caso una semplice deliberazione giuntale non sarebbe stata neppure sufficiente, stante che – ove interpretata come proposto dalla difesa comunale – la deliberazione n. 199/2016 costituirebbe modificazione del Regolamento comunale 2011 sulle celebrazioni dei matrimoni civili.
4.3. E’ inevitabile, pertanto, concludere che l’argomento interpretativo dispiegato dalla difesa comunale integra un mero espediente difensivo e che, nell’attuale ordinamento del Comune di Stezzano, matrimonio civile e unioni civili non trovano affatto una fonte disciplinare comune nella delibera giuntale n. 199/2011, ma risultano autonomamente regolamentati da due distinte fonti e due difformi discipline:
– per le celebrazioni dei matrimoni civili, si applica il Regolamento di cui alla deliberazione del Consiglio Comunale 1.6.2011, n. 29, alla stregua del quale le relative celebrazioni avvengono nella sala di rappresentanza del Municipio e nelle sale di Villa Caroli-Zanchi e Villa Moroni (art. 3) e sono effettuate dal Sindaco o da suoi delegati ai sensi dell’art. 1 D.P.R. n. 396/2000 (art. 2);
– per la celebrazione delle unioni civili, si applica l’atto di indirizzo così espressamente intitolato e approvato dalla Giunta municipale con deliberazione 27.9.2016, n. 199, ai sensi della quale le relative celebrazioni avvengono, in Municipio presso l’ufficio dei servizi demografici e nelle sale di Villa Caroli-Zanchi e Villa Moroni; e sono effettuate dai consiglieri comunali che si siano dichiarati a ciò disponibili ovvero, in caso di loro indisponibilità, dal dipendente comunale cui siano state delegate le funzioni di Ufficiale di Stato civile.
4.4. Come risulta evidente si tratta di due discipline tra loro non solo distinte ma anche qualitativamente differenti: e tale carattere deteriore impresso dalla Giunta comunale di Stezzano alle modalità di svolgimento delle celebrazioni delle unioni civili non si rivela rispettoso del vigente quadro normativo, così come ricostruito al precedente capo 1 della presente esposizione in diritto e alla cui essenziale componente normativa si richiamano esattamente anche talune delle censure svolte in ricorso.
5. L’assorbente fondatezza di alcune delle censure dedotte dai ricorrenti avverso tale atto.
Alcune delle censure dedotte in ricorso si rivelano, infatti, puntuali e risultano fondate in misura assorbente rispetto alle rimanenti, cioè tali da evidenziare ex se l’illegittimità delle determinazioni contenute nella deliberazione impugnata e da comportarne il conseguente annullamento.
5.1. Il riferimento è in primo luogo alla censura sub c), con cui si deduce il mancato rispetto dell’art. 1 comma 20 legge 76/2016 e si sostiene che il “Regolamento comunale per la celebrazione dei matrimoni civili” del Comune di Stezzano si applicherebbe inderogabilmente – stante la suddetta fonte normativa di rango superiore – anche alla costituzione delle unioni civili.
La censura coglie nel segno ed è in grado di determinare di per sé l’annullamento del punto 1 del dispositivo della delibera 199/2016, in quanto il citato comma 20 (il quale stabilisce che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio (…) ovunque ricorrono (…) nei regolamenti si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso) riveste un’automatica efficacia etero-integratrice delle norme regolamentari originariamente “pensate” per (e dedicate a) il (solo) istituto del matrimonio in allora esistente, nel senso che tali norme devono ora intendersi automaticamente estensibili e applicabili anche all’istituto delle unioni civili pur senza la necessità di una apposita modifica espressa in tal senso.
Ed invero – come si è esposto al precedente capo 2 – questo significato e questa valenza le nostre giurisdizioni superiori hanno attribuito a tale clausola generale in materia di pensione di reversibilità; e in questo senso si è orientato lo stesso Ministero dell’Interno che, con semplice circolare, ha preso e dato atto che l’istituto del ricongiungimento familiare dovesse “semplicemente” valere anche nei confronti del partner dello stesso sesso unito civilmente, previo mero aggiornamento della modulistica in uso.
Né l’operatività del comma 20 nei confronti di un Regolamento comunale che disciplina la celebrazione del matrimonio civile può trovare ostacoli nel ricordato incipit dello stesso comma 20, il quale espressamente pone il “fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti … derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso”: se è vero, infatti, che, in questo caso il diritto non può derivare da una unione civile non ancora costituita, è altrettanto e ancor di più vero che – come questa volta si è già osservato al capo 1.4. – essendo identica tra matrimonio e unione civile la natura giuridica dell’atto costitutivo, la vis espansiva del comma 20 non può non estendersi al momento genetico dell’istituto, in modo da assicurare sin dall’origine e sin dal suo sorgere quella “parificazione”, pur nella distinzione delle relative e specifiche discipline positive, della nozione di coniuge con quella di persona unita civilmente, parificazione già individuata da Cass. Pen. n. 44182/2016 (citata al capo 1.2.) quale finalità perseguita dal legislatore della legge 76/16; nonché quella equiparazione tra unione civile e matrimonio a sua volta riconosciuta dalla dottrina menzionata al capo 2.
Se così non fosse, se si ammettesse che le modalità (anche esteriori) di formazione del vincolo dell’unione civile potessero differire così sensibilmente rispetto a quelle riservate alla costituzione del vincolo matrimoniale, da essere ictu oculi percepibili come deminutio del primo rispetto al secondo ciò significherebbe inevitabilmente un depotenziamento ontologico del nuovo istituto e una frustrazione/violazione della complessiva finalità di tutela espressamente perseguita dal comma 20.
Merita, pertanto, condivisione la censura dedotta sub c) del ricorso introduttivo, laddove si afferma che “la circostanza che il luogo individuato per la costituzione sia diverso da quello assegnato ai matrimoni civili dall’art. 3 del citato regolamento rende, ex se, illegittima la delibera di giunta comunale n. 199/2016” e si sostiene che il comma 20 “dovrebbe esplicitare la sua portata regolamentare “ non solo “rispetto al rapporto generato dall’unione già costituita”, ma anche “rispetto alla fase genetica di quel rapporto”.
5.2. Parimenti condivisibile è l’ultimo profilo del motivo sub a) del ricorso introduttivo con cui i ricorrenti lamentano che la celebrazione delle unioni civili sia effettuata da soggetti (i consiglieri comunali che hanno comunicato la propria disponibilità e, in caso di indisponibilità dei consiglieri, il dipendente comunale cui sono state delegate le funzioni di ufficiale di stato civile) differenti da quello (sindaco) cui è attribuito il compito di officiare i matrimoni eterosessuali.
Invero, il punto 3 del dispositivo dell’impugnata deliberazione n. 199/2016 non si limita affatto, come pure sostiene la difesa comunale, a indicare i soggetti delegati dal Sindaco per celebrare le unioni civili (consiglieri comunali disponibili; in mancanza il funzionario delegato quale Ufficiale di Stato civile), ma al contrario sia per l’organo che adotta la disposizione (non il Sindaco quale organo monocratico, bensì l’organo collegiale Giunta), sia per il categorico tenore letterale della disposizione (si stabilisce che le celebrazioni e costituzioni civili siano effettuate dagli anzidetti soggetti) non costituisce affatto esercizio di delega, bensì individua aprioristicamente e in via generale la platea dei soggetti abilitati in via esclusiva alla celebrazione delle unioni civili.
E tra questi soggetti non figura il Sindaco (come invece prevede, unitamente alla facoltà di delega, l’art. 2 del Regolamento per la celebrazione dei matrimoni civili).
Ma questa preventiva e generalizzata (auto)esclusione del Sindaco costituisce evidente manifestazione di quella obiezione di coscienza non prevista nel caso della legge n. 76/2016 (come evidenziato dal parere Cons. Stato n. 1695/2016) e un altrettanto evidente tentativo di aggirare, nella fase di attuazione della legge, la volontà espressa sul punto dal Parlamento, allorquando ha respinto un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’<obiezione di coscienza>.
Anche questo come già ampiamente e chiaramente argomentato nel suddetto parere del Consiglio di Stato che:
– è stato pubblicato due mesi prima dell’adozione della deliberazione n. 199/2016;
– risulta espressamente richiamato nelle premesse del DPCM 23 luglio 2016, n. 144 che pure la stessa delibera n. 199/2016 dà per “visto”;
– è consultabile liberamente e integralmente, sin dalla sua pubblicazione, sul sito istituzionale della Giustizia amministrativa www.giustizia-amministrativa.it.
Il quale parere esplicita chiaramente anche che – in caso di “impedimento di coscienza” – resta integra in capo al Sindaco la facoltà/possibilità di fare ricorso all’istituto delle delega: naturalmente secondo le modalità e i parametri propri del corretto esercizio di tale istituto ovvero, in primo luogo, delega ad personam (ad uno dei soggetti individuati dall’art. 1 comma 3 D.P.R. n. 396/2000: consiglieri o assessori comunali; cittadini italiani che hanno i requisiti per la elezione a consigliere comunale; dipendenti comunali; segretario comunale) e non a una categoria indeterminata (i consiglieri comunali che si siano dichiarati disponibili).
Il punto 3 del dispositivo della deliberazione n. 199/2016 introduce, pertanto, una macroscopica differenziazione soggettiva (quanto al celebrante) tra matrimonio civile e unione civile, come esattamente denunciato dai ricorrenti all’ultimo profilo del motivo sub a), sì da porsi in contrasto con l’art. 1 comma 20 legge 76/2016, che gli stessi invocato ricorrenti al motivo sub c).
Per tali ragioni, anche tale punto deve essere annullato.
5.3. Ciò stante, il Collegio può prescindere dalla disamina delle residue censure svolte in ricorso, in quanto da un loro eventuale accoglimento non poterebbe derivare ai ricorrenti alcun ulteriore risultato utile.
Peraltro, a conferma della non indispensabilità di tale disamina, si può osservare che tali residue censure:
– per un verso, si affidano a parametri di illegittimità di carattere ampio e generale (violazione articoli 2 e 3 Cost.; eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, manifesta ingiustizia) rispetto a quelli assai più puntuali supra presi in considerazione e ritenuti fondati;
– per altro verso, prospettano un possibile profilo di incompetenza della giunta municipale che risulta contraddittorio con la censura di mancato rispetto della comma 20 legge 76/2016, censura questa che presuppone non la competenza a deliberare dell’uno o dell’altro organo comunale, bensì la non necessità di alcuna attività provvedimentale da parte del Comune, per effetto della forza eterointegratrice della norma invocata.
5.4. Infine, va incidentalmente rilevato che il punto 2 del dispositivo della deliberazione n. 199/2016, oltre a non essere oggetto di autonome e specifiche censure, costituisce, al contrario, proprio l’esempio di corretta applicazione, per tale profilo, del comma 20 legge 76/16, nel senso che si limita a confermare, per le unioni civili, la stesse tariffe comunali vigenti per i matrimoni civili: esattamente come il Ministero dell’Interno ha disposto l’immediata estensione ai partner delle unioni civili delle norme e dei permessi per ricongiungimento familiare.
Tale parte della deliberazione impugnata non deve, pertanto, essere annullata.
6. Conclusioni: accoglimento parziale del ricorso (limitatamente ai capi 1 e 3 del dispositivo della deliberazione impugnata) e carattere auto-esecutivo della presente sentenza.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere parzialmente accolto e l’impugnata deliberazione deve essere annullata nelle seguenti parti:
– quanto alla premesse: limitatamente al primo e al secondo capoverso del “ritenuto”;
– quanto al dispositivo: limitatamente al punto 1 e al punto 3.
Poiché l’accoglimento parziale del presente ricorso consegue all’accertata violazione, relativamente alle parti sopraindicate, dell’art. 1 comma 20 legge 76/2016, ne consegue anche il carattere auto-esecutivo della presente sentenza, nel senso che di seguito si precisa:
i) per effetto della eterointegrazione derivante dalla suddetta norma, le disposizioni del regolamento comunale per la celebrazione dei matrimoni civili approvato con deliberazione del Consiglio comunale di Stezzano 1.6.2011, n. 29 (e in particolare i suoi articoli 2 e 3) devono intendersi automaticamente valevoli e applicabili anche nel caso di celebrazione delle unioni civili disciplinate dalla legge n. 76 del 2016;
ii) nessuna ulteriore attività provvedimentale da parte del Comune di Stezzano è richiesta per dare esecuzione alla presente sentenza, stante che essa elimina dal mondo giuridico le statuizioni della delibera giuntale n. 199/2016 che si frapporrebbero a tale automatica applicabilità;
iii) tutti gli effetti della presente sentenza, quelli annullatori e quelli precisati alla precedente lett. i)
decorrono dalla data della sua pubblicazione.
7. Sulle spese di lite.
Le spese di lite seguono come per legge il principio della soccombenza.
Ai fini della loro liquidazione, può essere utile la quantificazione contenuta alle lettere c), d), e) del punto 3 del dispositivo della già citata deliberazione n. 225/2016, con cui la Giunta comunale di Stezzano ha conferito l’incarico all’attuale difensore, e precisamente:
c. euro 1.902,00 per la fase introduttiva del giudizio;
d. euro 2.226,00 per la fase istruttoria e di trattazione;
e. euro 4.857,60 per la fase decisionale.
Al successivo punto 4 si dà atto che il legale ha praticato su tali importi lo sconto del 50%: ne deriva un ammontare di euro 4.493, oltre accessori di legge.
Tenuto conto del parziale (seppur sostanzioso) annullamento disposto con la presente sentenza e della limitata salvezza di una sola determinazione del provvedimento per il resto annullato, appare equo stabilire in complessivi € 4.000,00 (euro 4.000/00) oltre al 15% per spese generali, Iva e Cpa, l’ammontare delle spese di giudizio che il Comune di Stezzano dovrà rifondere ai ricorrenti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi, nei limiti e agli effetti specificati al capo 6 della motivazione.
Condanna il Comune di Stezzano a rifondere ai ricorrenti, in solido tra loro, le spese di giudizio che liquida in complessivi € 4.000,00 (euro 4.000/00) oltre al 15% per spese generali, Iva e Cpa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti -OMISSIS-.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente, Estensore
Mauro Pedron, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere