di Corrado Caruso
La lettera al Corriere del Presidente dell’Autorità della concorrenza, Giovanni Pitruzzella, affronta il tema delle cd. fake news, cioè delle notizie false o esagerate, diffuse via web, che distorcono la realtà, alterando la percezione degli internauti rispetto ad alcuni eventi (che si presumono) accaduti.
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Non si tratta di un fenomeno nuovo: i tentativi di manipolazione della realtà hanno caratterizzato tutto il Novecento, sino a divenire prassi quotidiana nei regimi totalitari. Come rilevava diversi anni fa Hannah Arendt, il “secolo breve” ha segnato una nuova fase della menzogna politica, che altera la corrispondenza tra i fatti rilevanti per la comunità (la polis) e la loro descrizione: se gli inganni politici tradizionali erano falsità – per così dire – per omissione, perché riguardavano soprattutto segreti (informazioni o dati mai resi pubblici), le menzogne del tempo presente inventano fatti o si occupano di eventi realmente accaduti stravolgendone il senso, isolando l’evento dal relativo nesso di causalità o individuando rapporti di causa effetto tra fatti legati (al più) da una qualche analogia o da una certa vicinanza cronologica (l’immigrato “pagato” dallo Stato, ospitato a spese dell’erario pubblico in lussuose residenze; la riforma costituzionale commissionata da oscuri poteri finanziari; la “moda” dei vaccini sponsorizzata dalle cause farmaceutiche, etc.).
Questo fenomeno è legato all’avvento della società di massa e alla crisi della sfera pubblica borghese, quando lo scambio di informazioni avveniva prevalentemente a mezzo stampa e riguardava una ristretta cerchia di notabili dotati di ampie (e pari) risorse economiche e intellettuali. La radicale evoluzione dei mezzi di informazione (la diffusione della radiotelevisione, in primo luogo) portano a una mutazione genetica dell’opinione pubblica, che tende a ridursi a una moltitudine di individui che subisce passivamente notizie selezionate e costruite da chi offre (o vende) informazioni. La perdita di coscienza critica trasforma l’opinione pubblica in una corte sempre pronta ad acclamazioni di tipo plebiscitario, facile preda dei fanatismi di ogni genere e colore.
Nonostante alcuni entusiasmi iniziali, la rete non ha invertito questo processo, anzi, per certi versi lo ha aggravato. Vero è che internet ha moltiplicato le fonti di informazione, amplificando la possibilità di cercare e raccogliere notizie. Non necessariamente, tuttavia, più informazione vuol dire migliore informazione, nonostante un vecchio adagio liberale, molto citato ma mai dimostrato, ci induca a credere che la moneta buona della corretta informazione prima o poi sia destinata a scacciare la moneta cattiva delle notizie spazzatura.
L’aumento delle notizie a disposizione del pubblico richiede, infatti, una migliore capacità di discernimento dell’utente, che dovrebbe essere in grado di scegliere e selezionare le fonti di informazioni cui affidarsi. Sappiamo invece come l’interazione tra l’utente medio e la rete non inneschi questo processo virtuoso: internet tende a polarizzare le posizioni degli internauti, in parte perché ciascuno di noi è più incline a cercare informazioni da fonti che “sente” vicine alla propria personale visione del mondo, in parte per le particolarità di funzionamento della rete stessa.
I gatekeepers del web, e cioè i grandi “nodi” della rete (Google, Facebook), ripropongono una certa unidirezionalità informativa tipica di altri mezzi di diffusione: se, ad esempio, ho manifestato apprezzamento per una certa pagina con un like, non solo verranno sempre visualizzate nella mia home page le notizie provenienti da quelle fonti, ma Facebook (rectius: il suo algoritmo di funzionamento) tenderà anche a propormi pagine di contenuto affine. In fondo, vale anche per la rete il detto che si tramandano i lupi di mare: non c’è buon vento per il marinaio che non sa dove andare, è quindi molto alto il rischio che l’internauta ricco di sedimentati (e ben confusi) propositi buschi le Americhe cercando le Indie.
L’intervento del Presidente Pitruzzella si colloca in questo contesto. È il momento, sostiene Pitruzzella, di disciplinare il Far West virtuale, sottoponendo anche internet alla grande regola dello Stato di diritto. Due sono le strade percorribili: per un verso, affidare alle grandi piattaforme di rete il filtraggio delle informazioni. È questa la soluzione più immediata, e non difficile da immaginare: basterebbe costruire un apposito algoritmo che segnali, in vista della rimozione, le notizie false; sarebbe forse sufficiente attribuire ai canali di informazione che popolano i social un bollino di affidabilità, in maniera non troppo diversa da quanto avviene per i profili dei personaggi pubblici.
Pitruzzella, tuttavia, vuole evitare forme di censura privata e indica un’altra via: bisogna avvalersi di authorities terze e indipendenti cui affidare il compito di rimuovere, su richiesta di parte, quei contenuti «palesemente falsi o illegali o lesivi della dignità umana».
Questa proposta presenta senz’altro alcuni aspetti positivi: si tratterebbe, infatti, di un’autorità neutrale, indipendente dal potere politico, che opererebbe al di sopra delle parti. Inoltre, rispetto all’intervento censorio dalle corporations del web, che colpirebbero in silenzio, senza alcuna possibilità per l’utente di far valere le proprie ragioni, la rimozione del contenuto on-line avverrebbe all’esito di un procedimento in contraddittorio con gli interessati, ammessi a portare le proprie ragioni davanti a un soggetto terzo rispetto agli interessi in gioco. La sanzione adottata dalla authority non avrebbe alcuna conseguenza penale, ma si esaurirebbe nella mera eliminazione della falsa affermazione dal web. Anzi, l’introduzione di questo nuovo potere potrebbe essere accompagnato da un’operazione di pulizia di alcune norme che ancora popolano il nostro ordinamento, retaggio del passato regime autoritario: credo siano in pochi a ricordare, ad esempio, che il nostro codice penale punisce, come reato minore, la pubblicazione o la «diffusione di notizie esagerate e tendenziose» (art. 656 c.p.), disposizione “salvata” dalle censure di incostituzionalità da una lontana – ma consolidata – giurisprudenza della Corte costituzionale.
Rispetto alla proposta avanzata da Pitruzzella, però, permangono alcune ombre. Anzitutto, a parte alcuni casi lampanti, la distinzione tra notizie “false” e notizie “vere” non è così immediata. Ne sa qualcosa la corposa casistica giurisprudenziale sul diritto di cronaca, che tende a ricondurre al diritto di cronaca anche la verità “putativa”, ritenuta tale cioè da chi la afferma (purché, ovviamente, siano rispettati gli standard di diligenza, prudenza e perizia). Inoltre, non sempre è facile scindere dal resoconto di un fatto la semplice opinione, che risponde a giudizi di valore non suscettibili di verifica. In queste ipotesi, è alto il rischio di imboccare la china scivolosa di una pervasiva limitazione della libertà di espressione, legittimando una nuova funzione censoria del potere pubblico.
In effetti, prima di percorrere questa strada, sarebbero da sciogliere due problemi: per un verso, bisognerebbe comunque garantire la net neutrality, che pone un obbligo di neutralità gravante sul potere (pubblico, ma anche privato) rispetto ai contenuti che appaiono sul web; per un altro, andrebbero delineati meccanismi tali da conferire all’authority una reale indipendenza dalla politica.
In fondo, internet è un potente mezzo di diffusione del pensiero proprio grazie alle sue sconfinate praterie. Siamo sicuri che un nuovo potere tecnocratico possa innalzare adeguate recinzioni?