TRIBUNALI CORAGGIOSI
Facebook non è materia
da giudice di pace

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thLa recente sentenza della Cassazione stabilisce che i reati di minaccia e diffamazione compiuti tramite Facebook fuoriescono dalla competenza del giudice di pace.

Questi reati configurano l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità in quanto la diffamazione è “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”; infatti le bacheche dei social network sono “destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante”. È la stessa constatazione da cui ha preso le mosse la sentenza del TAR Friuli-Venezia Giulia già segnalata.

                                                            Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 dicembre 2016 – 2 gennaio 2017, n. 50

                                                                                               Ritenuto in fatto e considerato in diritto

  1. Con sentenza in data 3.07.2014 il Tribunale di Pescara ha dichiarato la propria incompetenza per materia a giudicare i reati di minacce e diffamazione, aggravata ex art. 595 comma 3 cod. pen. dall’invio e diffusione dei messaggi minatori e offensivi attraverso il social network “Facebook“, ascritto a C.M. nei confronti di B.R., ritenendo i reati di competenza del Giudice di Pace in quanto l’assenza di libera accessibilità dei social network telematici da parte degli utenti della rete internet escludeva la configurabilità della comunicazione con un mezzo di pubblicità.
  2. Con ordinanza in data 10.06.2016 il Giudice di Pace di Penne ha sollevato conflitto negativo di competenza, rimettendo gli atti a questa Corte, ritenendo integrata l’aggravante di cui all’art. 595 comma 3 cod. pen. nella condotta dell’imputata, alla stregua dei principi affermati da questa Corte in materia.
  3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo che sia dichiarata la competenza del Tribunale di Pescara.
  4. Il conflitto deve essere regolato con l’affermazione della competenza del Tribunale di Pescara, con conseguente annullamento, senza rinvio, della sentenza declinatoria della competenza dallo stesso emessa il 3.07.2014.
  5. Deve, invero, essere data continuità al principio di diritto, affermato da questa Corte, Sez. 1, nella sentenza n. 24431 del 28/04/2015, Rv. 264007, secondo cui la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante. La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque – non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 595 terzo comma cod. pen. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax (Sez. 5 n. 6081 del 9/12/2015, Rv. 266028) e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari (Sez. 5 n. 29221 del 6/04/2011, Rv. 250459).
  1. L’aggravante contestata radica la competenza per materia del Tribunale in ordine al reato di diffamazione, che attrae per connessione quello di minaccia, ex art. 6 commi 1 e 2 D.Lgs. n. 274 del 2000, ascritto nell’imputazione come commesso con la medesima condotta, diffusiva di messaggi diretti contestualmente e contemporaneamente a offendere entrambi i beni giuridici tutelati dagli artt. 595 e 612 cod. pen.

P.Q.M.

Dichiara la competenza del Tribunale di Pescara, cui dispone trasmettersi gli atti, annullando la sentenza 3.07.2014 del Tribunale di Pescara dichiarativa di incompetenza.

 

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