Il servizio Affari Internazionali del Senato ha pubblicato un interessante dossier sulle prospettive dell’accordo sul clima dopo la Cop 22, la conferenza mondiale sul clima che si è tenuta a Marrakech a novembre scorso. Ecco il testo del dossier.
<Si è conclusa il 19 novembre 2016 la Conferenza sul clima Cop 22 di Marrakech, a cui hanno partecipato diverse migliaia di delegati, provenienti da centinaia di paesi, tra cui rappresentanti dei governi e delle istituzioni, oltre che delle imprese e delle associazioni non governative.
Quella di Marrakech è stata la prima Conferenza sul clima dell’Onu dopo lo storico Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015(1) , che ha definito un nuovo quadro internazionale per le politiche climatiche e avviato una nuova fase di impegni per contrastare il riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas serra da parte dell’uomo. Ed è proprio il processo di attuazione, sviluppo e monitoraggio dell’intesa sancita nella capitale francese, oltre che la valutazione sulle azioni delle parti e sull’ambizione al miglioramento degli obiettivi, che è stata al centro dei lavori della Conferenza.
Contesto politico. La Cop 22 si è svolta in un contesto politico che ha presentato caratteri ambivalenti rispetto allo sviluppo e al successo dell’Accordo di Parigi. Da una parte ha generato un clima di fiducia e ottimismo sul buon esito della Conferenza l’entrata effettiva in vigore dell’Accordo il 4 novembre 2016, avendo raggiunto, largamente in anticipo rispetto alle previsioni, la soglia dei 55 paesi, corrispondenti ad almeno il 55% delle emissioni globali, che lo hanno ratificato o approvato.
Dall’altra l’elezione, l’8 novembre 2016, di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti ha diffuso tra i delegati un sentimento di incertezza sulla tenuta dell’Accordo, viste le posizioni assunte durante la campagna elettorale orientate a una smentita degli impegni di politica climatica presi dall’amministrazione Obama e considerata la maggioranza repubblicana del Congresso emersa dalle urne. Da segnalare che la scelta della definizione “Accordo di Parigi”, invece di “Protocollo”, ha precise motivazioni politiche che riguardano proprio la politica americana. Il nome Protocollo, infatti, avrebbe reso più lungo e difficile il processo di ratifica da parte degli Stati Uniti e non avrebbe consentito al Presidente Obama, tra i leader mondiali che hanno maggiormente voluto l’intesa, di firmare direttamente l’Accordo e di evitare in tal modo l’approvazione del Congresso.
La Conferenza è stata così caratterizzata dal timore che gli Usa possano delegittimare l’accordo di Parigi e venire meno a quella intesa strategica con la Cina(2) , l’altra grande potenza produttrice di emissioni nocive per l’ambiente, che gli ha dato il maggiore impulso. Durante i lavori sono stati numerosi gli appelli a proseguire sulla strada del contrasto comune al cambiamento climatico. Il presidente francese Francois Hollande, che è intervenuto nel corso della sessione inaugurale di Alto livello della Cop, ha sottolineato la natura “irreversibile” dell’Accordo e ha invitato gli Stati Uniti a rispettare gli impegni presi a Parigi, in uno spirito aperto ma anche esigente nei confronti della nuova amministrazione americana.
Il Segretario Generale dell’ ONU, Ban Ki-moon, che ha partecipato alla sua ultima Cop in qualità di Vertice dell’organizzazione, ha ribadito che gran parte degli stati che formano gli Usa hanno capito l’importanza di affrontare i problemi legati al cambiamento climatico, dicendosi sicuro che “il nuovo presidente non potrà far altro che assumere gli impegni conseguenti”. Anche il rappresentate della Cina ha ribadito la necessità di mantenere gli impegni a livello internazionale, confermando la scelta del suo paese di proseguire sulla strada dello sviluppo di un’economia a bassa emissione di carbonio.
Alla Conferenza di Marrakech è intervenuto anche il Segretario di Stato americano uscente John Kerry che ha rivendicato il ruolo decisivo svolto dagli Stati Uniti per il raggiungimento nell’accordo e invitato la nuova amministrazione a rispettare gli impegni internazionali, sottolineando, riferendosi implicitamente a Trump, che le dichiarazioni fatte in campagna elettorale spesso sono diverse dalle posizioni che si devono assumere nell’azione di governo. E’ particolarmente significativo che nello stesso giorno del discorso di Kerry gli Stati Uniti hanno presentato a Marrakech la loro nuova strategia di lungo termine per un futuro low carbon (Mid-century strategy for deep decarbonisation), come previsto dall ’Accordo di Parigi che invita tutti gli stati aderenti a comunicare i propri obiettivi climatici entro il 2020. Appare evidente come la conclusione della presidenza Obama abbia spinto gli Stati Uniti ad agire in fretta e a essere così uno dei primi paesi a presentare il documento insieme a Messico, Germania e Canada. Nella nuova strategia Washington si impegna a tagliare le emissioni di gas serra dell’80 per cento entro il 2050 rispetto ai livelli del 2005.
Nelle settimane successive alla conclusione della Conferenza sono proseguiti i segnali contrastanti sulla futura posizione americana. Nell’intervista al New York Times del 22 novembre il presidente eletto Trump, a differenza di quanto annunciato in campagna elettorale sull’intenzione di bocciare l’accordo sul riscaldamento globale, si è dimostrato “aperto” a trovare un’intesa. D’altra parte l’8 dicembre Trump ha nominato a capo dell”Agenzia per la protezione dell’Ambiente (Epa) il procuratore generale dell’Oklahoma Scott Pruitt, uno scettico sui cambiamenti climatici e critico convinto proprio dell’Agenzia che dirigerà.
I risultati della Cop 22. Nel documento finale adottato per consenso dall’assemblea plenaria della Conferenza (Marrakech Action Proclamation for our climate and sustainable development) si riaffermano le finalità di Parigi e l’impegno alla realizzazione degli obiettivi climatici attraverso il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, che devono tenere conto delle diverse situazioni nazionali. Il documento evidenzia il “momento” particolarmente positivo a livello internazionale per intensificare le azioni climatiche, anche in relazione al fatto che a un anno di distanza dalla sua adozione, sono già 118 (al 19 dicembre 2016) gli Stati che hanno ratificato l’accordo di Parigi. Si sottolinea inoltre che il processo di raggiungimento degli obiettivi climatici si integra e trae beneficio dagli Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento allo sradicamento della povertà e alla sicurezza alimentare. Viene dunque stabilito un nesso organico tra le due principali dimensioni ambientali delle politiche onusiane.
Tra le questioni decise a Marrakech vi è la definizione, entro la 24° sessione della Cop nel dicembre 2018, del Regolamento di attuazione dell’Accordo di Parigi, attraverso il quale si dovrà stabilire in che modo i paesi monitoreranno i loro impegni, ovvero i contributi volontari nazionali (Nationally Determined Contributions) su cui si fonda l’architettura dell’Accordo di Parigi e che riguardano le azioni di mitigazione, adattamento, finanza, tecnologia, capacity-building e trasparenza. Nella Cop 23 del 2017, che si svolgerà a Bonn, è previsto un momento di revisione a medio termine del Programma di lavoro. Queste decisioni sono state prese nell’ambito della CMA (Conference of the Parties serving as the meeting of the Parties to the Paris Agreement), l’organo che sovraintende all’accordo di Parigi che ha tenuto la sua prima sessione proprio a Marrakech.
Tra le questioni principali che dovranno essere affrontate nel processo di attuazione dell’Accordo e nel programma di lavoro impostato a Marrakech vi sono: le caratteristiche degli impegni nazionali alla riduzione di gas serra (Nationally Determined Contributions); le metodologie per la contabilizzazione delle emissioni di gas serra e per la verifica dei bisogni di adattamento; le modalità e le regole dei meccanismi cooperativi per consentire di inserire nei contributi nazionali anche gli interventi realizzati da uno stato in un altro stato; le modalità di revisione globale (Global Stocktake) degli obiettivi e dei contributi; le regole per garantire la trasparenza delle azioni.
Il testo finale ha anche richiesto ai paesi sviluppati di continuare a lavorare per istituire entro il 2020 il Green Climate Fund, deciso a Parigi con una previsione di 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta al riscaldamento globale. La modalità di attuazione del Fondo è stato uno dei temi più controversi del negoziato: da una parte i Paesi donatori vogliono controllare come vengono spesi i loro finanziamenti, dall’altra i paesi in via di sviluppo non vogliono interferenze esterne nelle loro politiche. Vi è anche una divergenza sulla tipologia di azioni che dovrà finanziare il Fondo verde: se da parte dei paesi sviluppati si valorizza l’aspetto della mitigazione, ovvero le misure per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, anche attraverso interventi di trasferimento tecnologico, da parte dei paesi in via di sviluppo l’enfasi è stata posta sulle politiche di adattamento, ovvero sugli impatti dei cambiamenti climatici nei vari contesti nazionali.
La Cop 22 ha confermato la dotazione annuale di 100 miliardi di dollari destinata a partire dal 2020 ai paesi in via di sviluppo, ma non è ancora chiaro il percorso per giungere a mobilitare una somma così ingente in un tempo relativamente breve, visto che gli stanziamenti effettivi dei paesi OCSE sono a oggi ancora insufficienti. A Marrakech alcuni paesi dell’Unione Europea (Belgio, Germania, Italia e Svezia) hanno annunciato nuovi finanziamenti per il Fondo per l’Adattamento che devolve somme ai paesi in via di sviluppo più vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Il fondo assomma attualmente 81 milioni di dollari, di cui il 90% proveniente dai paesi dell’Unione europea, una cifra evidentemente ancora troppo esigua per affrontare le emergenze climatiche nel mondo.
Tra i risultati della Conferenza vi è anche la decisione di fare iniziare nel 2017 i lavori della Commissione di Parigi sulla capacity building (Paris Committee on Capacity Building) che dovrà dare impulso allo sviluppo e al rafforzamento delle competenze ed esperienze necessarie a realizzare nei paesi in via di sviluppo i piani climatici nazionali. Inoltre la Cop 22 ha deciso di procedere a una revisione del Meccanismo di Varsavia su perdita e danno (Loss and damage“) associati al cambiamento climatico.
La Dichiarazione di Marrakech fa riferimento alle azioni immediate da intraprendere per contrastare i cambiamenti climatici anche prima del 2020, anno di avvio dell’Accordo di Parigi, coinvolgendo nella mobilitazione anche gli attori non statali e il settore privato e considerando che la transizione che le economie nazionali stanno affrontando per adeguarsi agli Obiettivi climatici rappresenta una straordinaria opportunità di crescita economica e sviluppo sostenibile.
La ratifica dell’Italia e gli impegni per il clima. Per quanto riguarda l’Italia, la ratifica e l’esecuzione a livello nazionale dell’Accordo di Parigi è prevista dalla legge n. 204 del 4 novembre 2016. Gli articoli 1 e 2 della Legge contengono l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione dell’Accordo. L’articolo 3 è dedicato invece al contributo italiano al Green Climate Fund e autorizza il Ministro dell’ambiente ad assicurare la partecipazione italiana al Fondo nella misura di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016-2018, onde contribuire alla prima capitalizzazione del Fondo medesimo. L’articolo 4 del disegno di legge riguarda gli eventuali oneri finanziari conseguenti ai contributi nazionali previsti dall’Accordo di Parigi, che saranno autorizzati, una volta definiti a livello europeo, con provvedimenti normativi ad hoc. L’articolo 5 disciplina la copertura finanziaria degli oneri. Riguardo al Green Climate Fund (Fondo verde per il clima), in occasione della prima Conferenza dei donatori, nel novembre 2014, l’Italia si era impegnata a contribuire alla prima capitalizzazione con una cifra pari a 250 milioni di euro. In seguito poi ad un accordo tra il Ministero dell’ambiente e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS) in qualità di fiduciario del Green Climate Fund, l’Italia ha stabilito di corrispondere 50 milioni di euro per ciascuna delle annualità 2016-2018.
Il nuovo quadro normativo dell’Accordo di Parigi si integra con le azioni che l’Italia sta già realizzando nell’ambito del secondo periodo di impegni del protocollo di Kyoto (2013-2020) a cui ha aderito la UE e un gruppo ristretto di altri paesi. Informazioni circa il raggiungimento degli obiettivi per il 2020 sono fornite dalla Relazione del Ministro dell’ambiente sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, allegata al Documento di Economia e Finanza (DEF) 2016, in cui viene riportata, per i settori non-ETS (Emission trading system, ovvero il sistema di scambio delle quote di emissione che riguarda particolarmente il settore industriale) una stima delle emissioni nazionali di gas-serra per gli anni 2013-2015 e 2020 (c.d. scenario di riferimento) che tiene conto degli effetti, in termini di riduzione delle emissioni, delle misure attuate e adottate fino al dicembre 2014. In un apposito paragrafo (paragrafo III.2), viene fornito un elenco di provvedimenti ed atti, completati e in corso di definizione, su efficienza energetica e fonti rinnovabili, considerati come “azioni da attuare in via prioritaria per il raggiungimento degli obiettivi annuali di cui alla decisione 406/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”.
Tali misure “prioritarie” riguardano, in sintesi: la proroga delle detrazioni fiscali al 65% degli interventi di riqualificazione energetica degli immobili privati (c.d. ecobonus) sino al 31 dicembre 2016, prevista dalla legge di stabilità 2016; le misure in materia di efficienza energetica degli edifici; il decreto 16 febbraio 2016 recante l’aggiornamento della disciplina per l’incentivazione di interventi di piccole dimensioni per l’incremento dell’efficienza energetica e per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili (c.d. conto termico); l’elaborazione per l’aggiornamento delle linee guida per i c.d. certificati bianchi; l’approvazione del decreto interdirettoriale sui programmi regionali di audit di efficienza energetica alle PMI; il finanziamento (per un importo di 350 milioni di euro, a valere sul c.d. Fondo rotativo Kyoto) di interventi di efficientamento energetico su immobili pubblici destinati all’istruzione; la predisposizione dei documenti di supporto alle attività e misure per l’efficienza energetica.
Il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, che ha guidato la delegazione italiana alla Conferenza, ha dichiarato che “l’Italia è molto soddisfatta dell’esito della Cop22 di Marrakech” e che “tutto procede secondo la strada tracciata a Parigi, senza tentennamenti ma con un piano operativo stringente sul rispetto degli impegni presi. I Paesi del mondo – ha spiegato il Ministro – erano chiamati a lavorare sulle regole di trasparenza e del monitoraggio: su queste direttrici si è registrato un senso di responsabilità comune, cui ora occorre dar seguito”.
La posizione europea. L’Accordo di Parigi è stato formalmente ratificato dal Consiglio Ambiente dell’UE il 4 ottobre scorso, subito dopo aver ottenuto il consenso del Parlamento europeo e senza attendere che i singoli Stati membri completassero i loro iter nazionali. Si tratta di una procedura straordinaria, che non costituisce precedente, vista l’importanza storica dell’Accordo. La ratifica europea ha consentito di raggiungere la soglia per l’entrata in vigore: 55% delle parti contraenti, rappresentanti il 55% delle emissioni totali. Il contributo dell’UE all’accordo, come concordato al Consiglio europeo svoltosi nel mese di ottobre 2014, prevede: un obiettivo vincolante per gli Stati membri di riduzione delle emissioni nazionali di gas a effetto serra almeno del 40% entro il 2030 e dell’80-95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990; l’obiettivo di raggiungere entro il 2030, a livello di Unione, una quota di energia proveniente da fonti rinnovabili consumata nell’UE di almeno il 27%; un obiettivo di risparmio energetico del 30% per il 2030.
Sui cambiamenti climatici l’UE ha assunto gli impegni più ambiziosi e giuridicamente vincolanti del mondo ed è in prima linea per favorire il successo dei negoziati internazionali in materia. Nel 2009, con il pacchetto clima-energia l’UE aveva fissato per il 2020 i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè: la riduzione almeno del 20%,entro il 2020, delle emissioni di gas serra; l’aumento al 20% della percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020; il miglioramento del 20% dell’efficienza energetica. La relazione presentata il 20 ottobre 2015 dall’Agenzia europea per l’ambiente evidenzia che le emissioni di gas-serra nell’UE sono diminuite del 23% tra il 1990 e il 2014, raggiungendo i minimi storici. Rispetto ai dati del 2013, si è registrata una riduzione del 4%.
I risultati positivi dell’UE sono riconducibili, al netto degli effetti della crisi economica, all’adozione di politiche specifiche perseguite in materia di lotta ai cambiamenti climatici, politiche che, in ogni caso, richiedono un consolidamento e uno sforzo ulteriore, con riferimento ai diversi aspetti interessati (riduzione delle emissioni, adattamento ai cambiamenti climatici, finanziamenti a favore del clima). Secondo le proiezioni comunicate dagli Stati membri, le riduzioni previste dovrebbero consentire, entro il 2030, di diminuire le emissioni del 27% (con le misure vigenti) e del 30% (con misure supplementari già pianificate dagli Stati membri) rispetto ai livelli del 1990. Occorrono pertanto nuove strategie per conseguire l’obiettivo di riduzione del 40% entro il 2030.
Secondo il Commissario per l’azione climatica e l’energia Arias Cañete i progressi fatti a Marrakech dimostrano, a dispetto di tutte le incertezze, la volontà globale “di andare avanti sulla strada delineata a Parigi e di rendere operativo l’Accordo”. La transizione mondiale verso l’energia pulita è in corso e l’Europa, secondo Cañete, continuerà a promuovere “un’economia più sostenibile e competitiva”. Durante la Cop 22 l’Unione europea ha anche annunciato una serie di investimenti nei paesi in via di sviluppo riguardo alla resilienza ambientale e allo sviluppo delle energie rinnovabili, in particolare nel continente africano.
Conclusioni. I condizionamenti politici e ideologici potranno ovviamente influire in modo notevole sul percorso di attuazione dell’Accordo di Parigi, e in particolare la posizione che verrà assunta dalla nuova amministrazione statunitense rispetto alle politiche di contrasto al riscaldamento globale. La conclusione da più parti considerata positiva della Conferenza di Marrakech, anche da parte delle organizzazioni ambientaliste che in altre edizioni della Cop avevano criticato fortemente la dimensione intergovernativa del negoziato, ha tuttavia rafforzato la consapevolezza che esiste una volontà comune a livello globale a sostegno delle politiche climatiche. Nella giornata di celebrazione del primo anniversario dell’Accordo di Parigi, il 12 dicembre 2016, il Segretario esecutivo della Convenzione sui cambiamenti climatici dell’Onu Patricia Espinosa ha sottolineato l’ampio consenso internazionale raggiunto dall’intesa nel corso degli ultimi 12 mesi e il crescente livello di azione e ambizione che coinvolge non solo le nazioni ma anche le regioni, le città e i soggetti privati e della società civile(3) . Il futuro delle politiche climatiche si definirà attorno a tre grandi ambiti: i piani climatici nazionali, le regole internazionali e gli investimenti. Per quanto riguarda i contributi nazionali volontari (NDCs) a Marrakech si è registrata la tendenza ad elevare il livello dell’ambizione e sempre più numerosi paesi e gruppi di paesi hanno annunciato impegni per tagliare drasticamente le emissioni entro il 2050, con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica nella seconda parte del secolo XXI. Parallelamente alla definizione dei singoli NDCs il negoziato in ambito Onu sarà indirizzato a definire entro il 2018 il “Regolamento internazionale”, una sorta di “manuale operativo” dell’Accordo di Parigi che dovrà stabilire un quadro comune di trasparenza e comparabilità, con la finalità di creare un contesto globale di fiducia che induca i singoli stati a realizzare gli obiettivi nazionali al meglio delle loro possibilità. Ovviamente sia la dimensione nazionale che internazionale dovrà essere accompagnata da un consistente flusso di investimenti verso le politiche climatiche e l’obiettivo del raggiungimento dei 100 miliardi di dollari annui che alimenteranno il Fondo verde a partire dal 2020 appare oggi come il punto più critico dell’Accordo.
Le azioni per il clima hanno assunto comunque una significativa valenza economica e secondo molti osservatori saranno principalmente le imprese e i mercati a guidare la transizione verso un nuovo modello energetico e di sviluppo, perché le energie rinnovabili, le nuove tecnologie ambientali e le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici sono fattori ormai strategici per l’economia globale. In particolare i paesi emergenti come Cina, India, Messico, Brasile, Sud Africa e altri stanno investendo molto su questi settori, e un eventuale disimpegno della nuova amministrazione USA porterebbe conseguenze dannose per l’ economia americana.
In questo senso occorre ricordare che a margine della Conferenza di Marrakech è stato diffuso un appello sottoscritto da 360 grandi imprese americane in cui si richiede che “l’economia degli Stati Uniti sia alimentata da energia a basso tenore di carbonio” e che solo questa prospettiva può garantire la crescita del paese nel futuro. Uno scenario, quello prefigurato dall’Accordo di Parigi e confermato a Marrakech, che secondo gli esperti farà diminuire la domanda di petrolio e accelererà la rivoluzione della mobilità elettrica, mettendo in discussione anche un altro comparto industriale, quello dell’auto. Da questo punto di vista è emblematica la situazione che si sta delineando in Cina, con la previsione di quote obbligatorie di veicoli elettrici. Le case automobilistiche dovranno infatti dimostrare di avere dei “crediti” legati all’immissione sul mercato di veicoli elettrici sufficienti a garantire la copertura dell’8% delle vendite nel 2018 e il 12% nel 2020>.
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A cura di Federico Pommier
21 dicembre 2016
1) L’Accordo di Parigi, adottato per consenso dalla Conferenza Cop 21 il 12 dicembre 2015, definisce un nuovo piano di azione globale per evitare al pianeta un cambiamento climatico pericoloso. I principali obiettivi dell’Accordo sono i seguenti:
- Realizzare interventi di mitigazione delle emissioni al fine di contenere l’aumento della temperatura “bene al di sotto” dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, intensificando gli sforzi per contenerla entro 1,5 gradi.
- Smettere di incrementare le emissioni di gas serra il prima possibile e raggiungere nella seconda parte del secolo il momento in cui la produzione di nuovi gas serra sarà sufficientemente bassa da essere assorbita naturalmente.
- Aumentare la capacità di adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico e di rafforzare la resilienza climatica e lo sviluppo di un’economia a basse emissioni senza compromettere la produzione di cibo
- Controllare i progressi compiuti ogni cinque anni, tramite nuove Conferenze.
- Garantire flussi finanziari in grado di sostenere gli interventi di mitigazione e adattamento. I paesi industrializzati si sono impegnati ad alimentare un fondo annuo da 100 miliardi di dollari per il trasferimento di tecnologie pulite ai paesi in via di sviluppo.
L’architettura dell’accordo si basa sui piani di azione climatici nazionali volontari (Intended Nationally Determined Contributions – INDCs) che i paesi sono chiamati a predisporre. La principale novità rispetto al Protocollo di Kyoto del 1997, che prevedeva obblighi di riduzione solo per i paesi sviluppati, riguarda il coinvolgimento di tutti i paesi aderenti che sono chiamati ad assumere impegni differenziati alla luce delle diverse situazioni nazionali, aderendo a un accordo universale, vincolante ed equilibrato.
2) Il 3 settembre 2016, alla vigilia del Vertice G20 di Hangzhou, Stati Uniti e Cina hanno annunciato di avere aderito formalmente all’accordo sul clima siglato a Parigi. Le due principali economie del mondo sono responsabili, insieme, di circa 40% delle emissioni globali. L’annuncio congiunto al G20 della ratifica da parte di Stati Uniti e Cina ha dato una forte accelerazione e creato un momento politico favorevole a procedere speditamente. Brasile, India, Canada, Nuova Zelanda, molti paesi africani e la UE hanno ratificato l’Accordo a distanza di pochi giorni o settimane.
3) http://newsroom.unfccc.int/paris-agreement/paris-agreement-anniversary/