di Edoardo Caruso
Con la sentenza n. 265 del 2016, depositata il 15 dicembre, la Corte Costituzionale è intervenuta sulla nota questione che vede contrapposti taxi e NCC, da un lato, e la piattaforma informatica Uber, dall’altro.
I soggetti che possono svolgere l’autoservizio “non di linea” (ossia “quelli che provvedono al trasporto collettivo o individuale di persone, con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici … e che vengono effettuati, a richiesta dei trasportati o del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”) sono individuati dalla legge statale 15 gennaio 1992, n. 21 che, con riguardo a tale profilo, non è mai stata aggiornata. Ne deriva che l’esclusivo riferimento operato da tale disciplina ai taxi e ai servizi di noleggio con conducente (più noti come NCC) non deriva da una precisa scelta politica di escludere altri soggetti da tali attività, ma è la conseguenza di una normazione obsoleta.
Si è così venuta a creare una situazione di assoluta incertezza e confusione in cui, di fatto, è rimessa alla sensibilità degli operatori la valutazione sulla legittimità o meno di forme “innovative” di autotrasporto quali, appunto, il cd. “servizio di Uber”.
La questione si è posta, soprattutto, con riguardo a UberPop che consente di noleggiare – a prezzi ridotti – un’auto con autista non professionista, privo cioè di apposita licenza (e qui sta la differenza con altri servizi offerti da Uber, quali UberBlack e UberVan, che invece riguardano gli operatori tradizionali, taxi e NCC).
Oltre che mettere in relazione soggetti richiedenti e offerenti il servizio di trasporto attraverso gli strumenti di geolocalizzazione degli smarthphone e dei tablet, la piattaforma informatica Uber si occupa del pagamento elettronico della corsa e dovrebbe garantire anche la qualità del servizio (sebbene vi siano delle perplessità sull’effettività di tali controlli).
Dal punto di vista giuridico il problema è quello della qualificazione di queste attività: se si tratti di servizi di trasporto, in quanto tali esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva che ha liberalizzato i servizi nel mercato unico (Direttiva Bolkestein) e assoggettati, quindi, alla legge 21/1992 (comprese le previsioni sul controllo all’accesso degli operatori nel mercato attraverso il rilascio di licenze contingentate); o se siano, invece, servizi altri (servizi elettronici di intermediazione, servizi di informazione) e perciò esclusi dall’applicazione di tale legge statale e liberalizzati a livello europeo.
Emblematiche della situazione di incertezza creatasi sono alcune decisioni dei giudici di pace che hanno annullato le sanzioni inflitte, ai sensi degli art. 85 e 86 del Codice della strada, ai soggetti affiliati a UberPop che svolgevano, senza licenza, servizio di autotrasporto non di linea a pagamento. Inoltre, come osservato da una circolare del Dipartimento di Pubblica sicurezza rivolta ai dirigenti dei compartimenti di Polizia stradale, nemmeno l’intervento in funzione consultiva del Consiglio di Stato ha consentito di risolvere la questione.
D’altronde la problematica si è posta anche al di fuori dei confini nazionali: oltre ad essere stata oggetto di una Comunicazione della Commissione europea del 2 giungo 2016, controverse analoghe sono sorte di fronte ad altre Corti nazionali e una causa sulla qualificazione – servizio di trasporto o altro servizio – dell’attività di Uber è al momento pendente di fronte alla Corte di giustizia.
La Regione Piemonte è intervenuta con legge del 6 luglio 2015, n. 14 con la quale ha riservato esclusivamente a taxi e NCC “il servizio di trasporto di persone che prevede la chiamata, con qualunque modalità effettuata, di un autoveicolo con l’attribuzione di corresponsione economica” e ha previsto l’applicazione delle sanzioni di cui agli art. 85 e 86 del Codice della Strada a chi trasgredisce il divieto. Così facendo, il legislatore piemontese se da un alto si è posto in continuità con la normativa statale del 1992, dall’altro ha preso posizione in merito alla situazione di incertezza normativa sopra descritta escludendo dal mercato, di fatto, i servizi di UberPop.
Con la sentenza 265/2016, la Corte Costituzionale, in seguito a ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha dichiarato l’incostituzionalità delle legge regionale in questione per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione, ossia quello relativo al riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni. L’intervento regionale, infatti, limitando i soggetti abilitati a operare nel settore del trasporto di persone non di linea, ha violato la competenza esclusiva statale in tema di tutela della concorrenza.
Si tratta di una competenza trasversale che include non solo gli interventi volti a preservare l’assetto concorrenziale dei mercati (cd. misure antitrust), ma anche gli interventi di “promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, riducendo i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche, in particolare le barriere all’entrata, e al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese”.
La Corte, in altri termini, ha ritenuto che la delimitazione dei soggetti abilitati a offrire talune tipologie di servizi rientri nell’ambito della promozione della concorrenza che la Costituzione riserva esclusivamente allo Stato.
Del resto, la questione relativa al rapporto fra i taxi e nuovi sistemi di trasposto ha assunto portata globale e non è certo a livello di singole Regioni che si può pensare di affrontarla. Non può stupire, quindi, che nella parte finale della sentenza la Corte abbia esortato il legislatore statale a intervenire, quanto prima, sul tema.