di Giovanni Di Cosimo
Secondo alcuni commentatori il risultato del referendum del 4 dicembre ci riporta alla prima, vituperata, Repubblica.
In realtà, dal punto di vista costituzionale la distinzione fra prima e seconda Repubblica è poco rigorosa perché non è cambiata la forma di governo, che è pur sempre parlamentare.
Tuttavia, ferme restando le coordinate fondamentali del governo parlamentare tracciate dal testo costituzionale, la distinzione è utile perché descrive efficacemente l’evoluzione intervenuta nel corso del tempo nel funzionamento della nostra forma di governo.
La prima fase della vita repubblicana è stata caratterizzata dalla legge elettorale proporzionale, da governi di coalizione formati dopo le elezioni, dal ruolo predominante dei partiti e del Parlamento. Dopo, a partire dai primi anni novanta, si è passati al sistema elettorale maggioritario, con la conseguenza che le coalizioni si sono formate prima delle elezioni. Inoltre hanno assunto un ruolo predominante i leader dei partiti (grazie anche al fenomeno della personalizzazione della politica) e il Governo, soprattutto il Presidente del consiglio (per effetto della indicazione in campagna elettorale del candidato alla presidenza).
Dunque, stiamo tornando alla prima Repubblica?
Per il momento, sembrerebbe proprio di no, perché sono ancora prevalenti i caratteri della (cosiddetta) seconda Repubblica. Infatti, alla Camera c’è una netta maggioranza grazie al premio della legge elettorale (meno lineare la situazione al Senato). Inoltre, i partiti sono tuttora dominati dai leader. È vero che il Governo non è presieduto dal capo della coalizione vincente, ma ciò è dovuto al risultato delle elezioni del febbraio 2013 che ha determinato un assetto tripolare: di qui il fallimento del tentativo di Bersani e tutto quel che è succeduto, Letta, Renzi e ora Gentiloni. Del resto, anche in fasi precedenti della seconda Repubblica il governo uscito dalle urne non ha retto alla prova del tempo e delle mutevoli stagioni politiche, basta pensare alla fine del 2011 quando è caduto il IV governo Berlusconi, nonostante la netta vittoria elettorale del 2008.
È ancora presto per capire se dopo il referendum verrà meno anche l’altro carattere della seconda Repubblica, consistente nel ruolo predominante del Governo (e soprattutto del premier) sul Parlamento; con Renzi è stato molto evidente, vedremo come si comporterà Gentiloni. Ma tutto lascia pensare che si tratta di un carattere ormai strutturale, risultato di comportamenti tenuti costantemente dall’esecutivo: abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia, ricorso ai maxiemendamenti ecc.
In prospettiva il fattore che potrebbe cambiare sostanzialmente la situazione è la legge elettorale. Come si sa, dopo il referendum, per la terza volta in undici anni, si dovrà mettere mano alle regole elettorali perché abbiamo due leggi informate a logiche diverse (alla Camera l’Italicum, al Senato ciò che residua dalla sentenza della Corte costituzionale che ha censurato la legge Calderoli). La necessità di uniformarle non è una conseguenza diretta del referendum, ma della cattiva tecnica legislativa per cui l’anno scorso la maggioranza ha approvato l’Italicum soltanto per la Camera, confidando che la riforma costituzionale avrebbe superato il vaglio referendario.
Se il Parlamento reintroducesse il proporzionale, ecco che si tornerebbe alla prima Repubblica. Ma in ogni caso non sarebbe la medesima situazione di allora, perché resterebbero significative differenze. Basta pensare al ruolo egemone di alcuni leader politici favorito dalla trasformazione/involuzione dei partiti. In ogni caso, vale la pena di notare che il ritorno non sarebbe un effetto del referendum, ma eventualmente della scelta parlamentare di reintrodurre il proporzionale che fu abbandonato dopo il referendum del 1993.
Però la soluzione che in queste ore va per la maggiore è tornare al Mattarellum, inopinatamente cancellato nel 2005, che prevede un mix fra una quota prevalente di collegi uninominali e una quota minore di proporzionale. In questo caso si resterebbe pur sempre nella seconda, non meno vituperata, Repubblica.