Il quarto presidente del Consiglio
non eletto dal popolo

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di Pietro Faraguna
Ecco a voi il quarto Presidente del Consiglio non eletto dal popolo. Dopo Monti, Letta, Renzi, è Gentiloni a continuare questa hall of fame di eversori della Costituzione. Ma è davvero così? Cioè, siamo sicuri che sia solo il quarto, e non il 64esimo?
Se interroghiamo la Costituzione italiana vi leggiamo che “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri” (Art. 92, comma secondo). Sembra dunque che il popolo abbia ben poco a che fare con la scelta del Presidente del Consiglio, che non solo non viene eletto dal popolo, ma non viene eletto da nessuno: la Costituzione utilizza il verbo “nomina” e il soggetto “Il Presidente della Repubblica”. E infatti, il Presidente del Consiglio dei Ministri può essere anche chi non sia stato precedentemente eletto ad alcuna carica, nemmeno parlamentare (era questo il caso del Presidente del Consiglio uscente). Questa lettura, tuttavia, chiude soltanto apparentemente la questione.

È vero infatti che è il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio. Ma come lo sceglie? Sceglie chi gli è più simpatico, vicino, affine? Sceglie il più bravo? Sceglie il più telegenico? La questione non è da poco, e non è nemmeno semplice da risolvere. Anche in questo caso è dal testo della Costituzione (nel testo che molti di quelli che sostengono la tesi del Presidente illegittimo hanno – del tutto legittimamente – lottato per preservare intatto il 4 dicembre scorso) che possiamo trarre qualche conforto: il Presidente del Consiglio, infatti, dopo essere stato nominato dal Presidente del Repubblica presta giuramento, assieme ai ministri, nelle mani di quest’ultimo (Art. 93), assumendo così le funzioni. Però, entro dieci giorni, il Governo deve presentarsi a entrambe le Camere per ottenere la fiducia. Singolarmente e in entrambe: sia alla Camera che al Senato (Art. 94). E non è detto che il più amico del Presidente della Repubblica, o il più simpatico, il più bravo, il più telegenico sia in grado di superare il difficile test di ottenere la fiducia da entrambe le Camere meglio di altri.

Ecco, dunque, alcune indicazioni in più circa il criterio che il Presidente della Repubblica dovrà seguire per scegliere il Presidente del Consiglio: dovrà nominare il soggetto che abbia una ragionevole possibilità di presentarsi alle Camere e ottenere la fiducia sia della Camera che del Senato. Opzione non scontata: vi sono stati ben quattro casi nei quali un Governo nominato non l’ ha ottenuta: con De Gasperi nel 1953, Fanfani nel 1954 e Andreotti nel 1972 e nel 1979 (non necessariamente esclusa anche nel caso del Governo che ha giurato il 12 dicembre scorso).

Ma chi è il soggetto che ha più possibilità di guidare un Governo che ottenga la fiducia da entrambe le Camere? Questo è il grattacapo principale, che impedisce di dare una risposta secca alla domanda di partenza (“è vero che il Presidente del Consiglio è eletto dal popolo?”). La possibilità di un Governo di ottenere la fiducia dalle Camere dipende infatti da molte cose. O meglio, da una in particolare, che a sua volta dipende da tanti altri fattori: la leggibilità del quadro politico dentro alle due Camere. Se nelle due Camere sono rappresentati due soli partiti, blu e gialli, e in entrambe le Camere i blu hanno la maggioranza, è facile prevedere che il capo dei blu – sempre che i blu abbiano un capo – avrà ottime chance di portare il suo Governo oltre le forche caudine del voto di fiducia. Se però la situazione è più complicata, e oltre ai blu e ai gialli ci sono anche i verdi, i rossi, i gialli con i pallini blu, e i blu con le striature bianche, allora la situazione si fa più difficile da leggere, e il Presidente della Repubblica dovrà darsi molto più da fare per capire quale sia il soggetto più appropriato a formare un Governo che ottenga la fiducia di entrambe le Camere.

La complessità del quadro politico all’interno delle Camere può dipendere da molti fattori, a cominciare dalle legge elettorale: ci sono leggi elettorali che producono assai più probabilmente un risultato semplice da leggere (con il difetto di lasciare fuori dalla rappresentanza parlamentare quelli che renderebbero il quadro più difficile da leggere), e leggi elettorali che producono più probabilmente un quadro frammentato e difficile da leggere, ma più fedele alla pluralità politica che contraddistingue la realtà italiana. Inoltre, può essere anche la stessa realtà partitica a mutare nel corso del tempo, con la fusione di tanti piccoli partiti in pochi grandi partiti, oppure con il processo inverso: la scissione di pochi grandi partiti in tante piccole formazioni politiche. Ciò che rende il quadro ancora più complicato è che la legge elettorale e la realtà partitica non sono impermeabili, ma si influenzano a vicenda. Tanti piccoli partiti difficilmente supporteranno una legge elettorale che premia maggiormente i grandi partiti, oppure potrebbe darsi che i piccoli partiti confluiscano in un grande partito quando le regole del gioco suggeriscono l’utilità di questa mossa. Salvo poi distaccarsene in Parlamento, formando piccoli gruppi parlamentari autonomi, non appena si presenta l’occasione.

In quei casi in cui i blu hanno un capo ben identificato e all’esito delle elezioni ottengono la maggioranza dei seggi in entrambe le Camere, può ben dirsi che il Presidente della Repubblica abbia poco da riflettere: nominerà Presidente del Consiglio il capo dei blu. E allo stesso modo il popolo che ha eletto il Parlamento con una maggioranza di blu, si sentirà di aver determinato direttamente quella scelta. È successo con Berlusconi, ed è successo, seppure in quel caso la maggioranza dei blu fosse davvero molto esigua, con Prodi.

La leggibilità politica del Parlamento può essere semplice a seguito delle elezioni, ma può complicarsi successivamente, perché i partiti litigano, e le maggioranze parlamentari che esistevano dopo le elezioni non esistono più. Può darsi però ne vengano a esistere di nuove e diverse: è il famigerato ribaltone, rispetto al quale la Costituzione non pone ostacoli. Caduto un Governo, se ne cerca un altro che possa ottenere la fiducia dallo stesso Parlamento. Se ciò non è possibile, il Presidente della Repubblica ha in mano l’arma dello scioglimento delle Camere, e si torna a votare. È sufficiente infatti che il Governo ottenga la fiducia da entrambe le Camere, e non è detto che questa fiducia debba provenire da una maggioranza di soggetti politici che si sono presentati come alleati alle elezioni. Ciò non vuol dire che la decisione sia totalmente in mano al Presidente della Repubblica. È infatti pur sempre il Parlamento a dover dare la fiducia, e ad avere quindi in mano l’arma per impedire la formazione di qualunque Governo.

Vi sono inoltre casi in cui la leggibilità politica delle Camere è complessa fin da subito dopo le elezioni. Non ci può essere nessun ribaltone, perché la situazione, per così dire, nasce già ribaltata. Fin dall’inizio non c’è una maggioranza semplice da leggere, né di blu né di gialli: così è stato per l’avvio della legislatura in corso.
Come se non bastasse, a rendere ancora più complicato questo quadro, vi sono stati partiti che hanno ispirato la loro azione politica ed elettorale all’auspicio che il quadro parlamentare risultante dalle elezioni fosse facile da leggere: così si sono svolte primarie di partito, e anche di coalizione, per indicare “il capo dei blu”. Poi, però, il loro auspicio non si è affatto avverato: il quadro parlamentare risultante dalle elezioni è stato tutt’altro che facile da leggere, con una situazione in cui il capo dei blu si è ritrovato senza una maggioranza di blu nelle due Camere (i blu, in quel caso, erano il PD e la coalizione di centrosinistra nella campagna elettorale che ha preceduto le elezioni del 2013, e il capo dei blu – risultante da quelle elezioni primarie – era Bersani, che però, per le ragioni che si è cercato di spiegare qui, non diventò mai Presidente del Consiglio dei Ministri). Così, dopo essersi fatte delle primarie di partito per scegliere il “candidato” (sic!) presidente del Consiglio tra Bersani e Renzi, il Presidente della Repubblica ha scelto… Letta, che poi è stato politicamente defenestrato da… Renzi.

In sintesi: è vero che il Presidente del Consiglio è eletto dal popolo? In punto di diritto, certamente mai. Guardando a tutto il quadro politico e partitico, il popolo mette nelle mani del Presidente della Repubblica il Presidente del Consiglio soltanto al verificarsi di alcune condizioni: quando le elezioni producono un Parlamento in cui vi sia una maggioranza omogenea nelle due Camere, e un capo di quella maggioranza sia immediatamente identificabile. Condizioni che in Italia si sono verificate molto raramente.

 

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3 commenti su “Il quarto presidente del Consiglio<br>non eletto dal popolo”

  1. E’ un argomento molto interessante. Purtroppo, sembrerebbe, solo per gli addetti ai lavori. Tuttavia, sappiamo benissimo che proprio nei meandri di questi tecnicismi dipende la solidità di un governo per portare avanti il programma promesso ai suoi elettori. La gente non è interessata….. Ed hai voglia che alcuni, attivisti in buona fede e gente comune, litigano con altri di idee opposte. E’ una beffa: con questo sistema nessun governo riuscirà a portare a temine il suo programma (altro che rivoluzione liberale, società più giusta e reddito di cittadinanza, ecc.). Alcuni politici, quindi, forti dei sondaggi, sostengono che il governo in carica non è stato eletto dal popolo (figura acefala!). In Italia, per far eleggere un governo dal “popolo” bisognerebbe cambiare la Costituzione. E i Partiti, Partitini più i parlamentari che cambiano casacca hanno la volontà di farlo? Poveri fessi noi Italiani. Don Milani sosteneva che se il cittadino non si interessa di politica, è la fine della democrazia. Il “popolo” vuole il Capo che pensa per lui: l’Uomo della Provvidenza. Ma quando si cambia con questa prospettiva?

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    • Basterebbe una legge elettorale decente e con delle soglie di sbarramento coerenti e in funzione di quello che si auspica avvenga…appunto un parlamento omogeneo.
      E solo le soglie di sbarramento possono renderlo tale, o per lo meno farebbero veicolare i pensieri politici sotto una stessa bandiera, non si può creare un partito per ogni essere vivente sulla terra.
      Ci sono più partiti politici che votanti.
      Io credo che i vari programmi o ideologie, per la verità molto simili, si possano espletare ed esercitare sotto lo stesso ” cielo “…

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  2. Secondo me i padri costituenti hanno proprio voluto che il presidente dei consiglio dei ministri non fosse una espressione diretta del popolo: il timore che il governo venisse guidato da un capopopolo populista e fanatico era ancora molto forte (ricordiamoci che Mussolini emergente aveva un grande consenso), per cui il doppio filtro dato: 1) dal presidente della repubblica eletto dal parlamento e 2) il capo del governo indicato dal presidente e solo successivamente approvato dal parlamento, dà una certa garanzia di “nomina ponderata”, effettuata non sull’onda di un cieco entusiasmo.
    Inoltre, la separazione dei tre poteri (legislativo, giudiziario ed esecutivo) ben si sposa al fatto che il potere democratico sia esercitato attraverso la rappresentanza parlamentare e solo tramite essa. In ultima analisi, forzando un po’ la mano, oserei dire che quasi la costituzione si auguri che il potere esecutivo sia esercitato da persone al di sopra delle parti parlamentari, che governino tutto lo stato e non abbiano occhi preferenziali per il proprio elettorato. Io personalmente apprezzerei che i ministri politici (anche il primo ministro) rassegnassero le dimissione dai partiti nel momento in cui prendessero l’incarico governativo.

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