I livelli essenziali di assistenza (LEA)
e la rappresentanza territoriale del nuovo Senato

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di Salvatore Curreri

Si è molto discusso in queste settimane sulla natura della rappresentanza dei nuovi senatori.Secondo i sostenitori del NO alla riforma, costoro saranno, come oggi, rappresentanti dei partiti politici e non dei territori di provenienza, e quindi si organizzeranno all’interno del nuovo Senato e voteranno secondo logiche di schieramento partitico, con buona pace degli interessi regionali e comunali di cui dovrebbero essere portavoce.

Al contrario, secondo i sostenitori del SI, la rappresentanza territoriale  prevarrebbe sulla rappresentanza politica, per cui i senatori si farebbero interpreti nel nuovo Senato degli interessi dei loro territori, così come interpretati e ricostruiti da partiti che sarebbero in tal senso chiamati ad uno sforzo di radicamento territoriale, cioè, in definitiva, a “regionalizzarsi”.

A me pare evidente che, così astrattamente impostata, la questione sia irrisolvibile perché sarà la storia a dirci in che modo i nuovi senatori interpreteranno il loro ruolo. E non è affatto detto che l’una visione escluda l’altra, considerate le diverse competenze che il nuovo Senato dovrà esercitare, quale organo di rappresentanza delle istituzioni territoriale ma anche camera di riflessione politica nelle leggi che rimangono bicamerali. Piuttosto utili indicazioni si possono trarre dalla pregressa esperienza dei rapporti tra Stato e Regione per verificare se è poi così vero che le logiche di appartenenza partitica facciano sempre aggio su quelle territoriali.

Un buon spunto di riflessione è offerto dal Sole – 24 Ore, che ha dedicato ieri due intere pagine ai nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea) che le camere si accingono ad approvare. Si tratta cioè dei servizi e delle prestazioni che il nostro Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire e finanziarie nell’intero territorio nazionale, da Bolzano a Lampedusa, a tutti i cittadini in via gratuita o dietro pagamento di un ticket. Materia, com’è intuibile, estremamente delicata perché è in ballo il diritto alla salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32.1 Cost.).

Ebbene, a pagina 3 si intervista Antonio Saitta, assessore alla Sanità della regione Piemonte e, per quel che più qui importa, rappresentante di tutti gli Assessori alla Sanità d’Italia nelle trattative con il Governo.Ohibò!: com’è che regioni di orientamento politico diverso, se non opposto, hanno affidato ad un unico soggetto il compito di essere rappresentante in una così difficile e delicata trattativa con lo Stato centrale in materia di prestazioni sanitarie essenziali? Il motivo è presto detto: quando si tratta con lo Stato per stabilire le prestazioni e le risorse che esso deve garantire per assicurare i livelli essenziali dei diritti civili e politici, le regioni fanno fronte comune, perché vi è un interesse, quello per l’appunto regionale, che prevale trasversalmente, a prescindere dal colore politico delle singole amministrazioni. Fronte comune che porta il dott. Saitta ad affermare decisamente che oggi gli assessori regionali alla Salute, qualunque sia la loro appartenenza politica, “non sempre, o abbastanza raramente, sono in sintonia con i Governi dopo anni di tagli miliardari alla spesa sanitaria”. Nessuna meraviglia per chi conosce come finora ha lavorato il sistema delle Conferenze Stato – Regioni – enti locali, dove per l’appunto regioni e enti locali, per quanto di diverso segno politico, sono unite nella rappresentazione delle loro istanze istituzionali e nella rivendicazione di maggiore attenzione d parte dello Stato, anche in termini di risorse finanziarie.

Molta meraviglia, invece, per chi pretende di imporre visioni semplificatorie e unilaterali dei rapporti tra Stato ed istituzioni territoriali che in realtà già ora si sviluppano in modo molto più complesso ed articolato, secondo criteri diversi (dimensione della regione, sua collocazione geografica; rapporti tra Comuni e Regioni) che però spesso vengono trascesi nel nome di un interesse comune, politicamente trasversale.Esattamente quello che il nuovo Senato, quale camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali, ambirebbe a fare, proiettando a livello istituzionale la stessa logica che oggi governa i rapporti tra Stato, regioni e comuni.

Nulla, quindi, di nuovo sotto il sole, se non per chi non vuol vedere.

 

 

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