di Giovanni Di Cosimo
Che cosa succede se la riforma costituzionale supera lo scoglio del referendum? Quali sono i passi necessari per completare il disegno? E con quali possibili complicazioni?
di Giovanni Di Cosimo
Quando la gran parte delle novità entrerà in vigore all’inizio della prossima legislatura, il percorso della riforma sarà ancora lungo. Il Parlamento dovrà approvare una mole imponente di norme per dare puntuale applicazione alle modifiche costituzionali.
A questo fine la riforma rimanda a una serie di atti normativi: leggi costituzionali (per le condizioni e gli effetti delle nuove forme di partecipazione dei cittadini, i referendum proposti e d’indirizzo), leggi monocamerali (per le modalità di attuazione di questi referendum), leggi bicamerali (per l’elezione dei senatori), regolamenti parlamentari (modifiche al regolamento della Camera dei deputati e, più estese, a quello del Senato), statuti speciali (revisioni, previa intesa con le regioni interessate, per estendere ad esse le nuove regole del riparto legislativo con lo Stato).
Finora l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla legge elettorale per il Senato. La ragione è che il nuovo articolo 57 della Costituzione contiene un’ambiguità in merito alla scelta dei senatori che toccherà proprio alla legge elettorale sciogliere. La legge dovrà chiarire se i senatori saranno scelti dai consigli regionali, come dice il secondo comma della disposizione, oppure dagli elettori, come suggerisce con formula un po’ oscura il quinto comma.
Certo è che in fase di prima applicazione decideranno i consigli regionali, perché così stabilisce la disposizione transitoria della riforma (art. 39.1). Ciò non impedisce che in seguito con la nuova legge elettorale si sostituisca il meccanismo di selezione attribuendo la scelta agli elettori. Alcuni senatori PD (Fornaro e altri) hanno avanzato una proposta che va in questa direzione. Stando alle anticipazioni, l’idea è dividere il territorio della singola regione in tanti collegi quanti sono i senatori da eleggere. Il giorno delle elezioni regionali agli elettori viene consegnata una seconda scheda per scegliere nell’ambito dei collegi i senatori assegnati a quella regione. Il consiglio regionale deve limitarsi a ratificare la volontà dagli elettori. Quest’ultimo è l’aspetto più delicato, perché configura un ruolo passivo dei consigli che mal si concilia con il secondo comma dell’art. 57 che proprio a loro attribuisce l’elezione dei senatori.
C’è poi un meccanismo di cui occorrerà capire bene il funzionamento, secondo cui si forma una graduatoria a seguito delle scelte degli elettori, e sulla base della graduatoria si assegnano i seggi alle varie liste regionali con il sistema proporzionale (probabilmente la cosa si chiarirà quando il testo della proposta di legge sarà depositato, il che non è ancora accaduto perché ovviamente si aspetta l’esito del referendum). Non possiamo sapere se la proposta dei senatori PD verrà realmente tradotta in legge. In questo momento è una semplice proposta citata in un documento elaborato dal loro partito. Una difficoltà comunque già s’intravede, visto che i consigli regionali (e dunque i partiti che vi operano) dovrebbero cedere agli elettori un potere che a quel punto avrebbero già esercitato in occasione della prima costituzione del Senato. Non è impossibile che accada, ma neanche tanto facile.
Un’altra difficoltà è legata all’ipotesi di maggioranze diverse nei due rami parlamentari che renderebbe più difficoltosa l’approvazione della legge elettorale, che è una legge bicamerale, e quindi richiede il consenso di entrambe le camere secondo la logica del bicameralismo paritario. Se si realizzasse uno scenario di questo tipo, nel quale per esempio il M5S ha la maggioranza alla Camera e il PD al Senato, difficilmente si riuscirebbe ad approvare la legge elettorale, e in forza della disposizione transitoria i senatori continuerebbero a essere scelti dai consigli regionali (e dunque dai partiti).
Giovanni Di Cosimo