Qualche giorno fa Matteo Salvini è stato ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. In soli diciassette minuti (e tredici secondi) di intervista il segretario della Lega Nord è riuscito a pronunciare una serie di sventatezze costituzionali di notevole portata.
Vediamo le più ardite.
Ha anzitutto proposto la flat tax: si tratta di un sistema di imposizione fiscale basato su criteri di proporzionalità (guadagni 10 paghi 2, guadagni 20 paghi 4, guadagni 40 paghi 8, etc.). È un modello, per dirla sobriamente, di dubbia costituzionalità: il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3.2 Cost.) impone che ciascuno, con le proprie imposte, contribuisca progressivamente (non proporzionalmente) al benessere collettivo (art. 53.2 Cost.). Il motivo è molto semplice: il sacrificio richiesto a Tizio che, guadagnando 1000 euro al mese, viene tassato per 200 euro, non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello di Caio il quale, guadagnando 10000 euro al mese, si vede imporre una tassazione di 2000 euro. Senza quei 200 euro Tizio rischia di non riuscire a sopravvivere al fatidico “21 del mese” cantato da Battisti; al contrario, Caio, potendo contare ancora su 8000 euro, dovrà rinunciare al massimo a qualche cena a base di caviale e champagne. Per questo la Costituzione impone un sistema progressivo (guadagni 10 paghi 2, guadagni 20 paghi 8, guadagni 40 paghi 20, etc.), soprattutto per quanto riguarda le imposte personali (sent. 159/1985 Corte cost.): eguaglianza non significa trattare tutti allo stesso modo, bensì garantire a tutti le stesse opportunità di partenza nonostante le diversità economiche e sociali che ci caratterizzano. E l’imposizione fiscale può tranquillamente essere abbassata senza scardinare i presupposti costituzionali dello Stato sociale.
In secondo luogo Salvini ha sottolineato la necessità di introdurre il “vincolo di mandato” per combattere il trasformismo parlamentare. Eppure tutte le Costituzioni democratiche prevedono – almeno per le camere nazionali – che il parlamentare eserciti le sue funzioni senza vincolo di mandato (per l’Italia art. 67 Cost.). Sbagliano tutte? E perché negli altri paesi, a parità di norma, il trasformismo è di gran lunga inferiore a quello nostrano? In realtà il divieto di mandato imperativo è un caposaldo delle democrazie moderne; al contrario, lo spudorato cambio di casacca italico non è altro che una degenerazione perversa di ciò che quel principio, giustamente, consente. Difatti, un Parlamento ha un senso se serve a mediare gli interessi della maggioranza con quelli dell’opposizione (il “medio termine” di cui parlava Kelsen): se chi vince le elezioni ignora sistematicamente le istanze di chi le ha perse, approvando solo leggi che specchiano i propri interessi, le Camere diventano inutili; tanto varrebbe chiuderle. Dare spazio, nelle leggi, anche ai bisogni delle minoranze è dunque la base di ogni democrazia: sarebbe però impossibile se esistesse il vincolo di mandato, poiché accogliere i bisogni degli altri significa rinunciare, almeno un po’, ai propri, “tradendo” così le promesse fatte agli elettori. Ma lo Stato non è un’azienda e la democrazia non è un contratto di diritto privato. Per fortuna.
Certo, questa libertà può portare a degli abusi (che in Italia si verificano sistematicamente); per combatterli non serve però imporre un patetico vincolo di mandato, gettando via il bambino con l’acqua sporca: piuttosto, sarebbe ora di compiere un cruciale passo in avanti culturale, facendo finalmente valere la responsabilità politica (questa sconosciuta) degli eletti, magari approvando una seria legge sulla democrazia interna nei partiti e ritoccando i regolamenti parlamentari.
Su queste solide premesse, in conclusione all’intervista, Salvini si è proclamato difensore della Costituzione; la quale, purtroppo per Lei, non può parlare in prima persona né querelare.
Il tutto assume un tono grottesco, considerato che lo Statuto del partito di cui è segretario nazionale prevede, all’art. 1 (!), un obiettivo ben chiaro: l’indipendenza della Padania. La Costituzione vieta la secessione senza se e senza ma (art. 5). Si dirà: la Costituzione può essere cambiata. Non proprio e non tutta: l’unità della Repubblica è uno di quei “principi supremi” non sottoponibili a revisione costituzionale, poiché parte integrante di ciò che definisce il nucleo essenziale della nostra democrazia (sent. 1146/1988 Corte cost.).
Non ci sono dunque mezzi legali per ottenere la tanto ambita indipendenza della Padania.
Ma, per dirla con De Gregori, tutto questo Alice non lo sa.
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