Il 23 giugno 2016 il corpo elettorale britannico era stato chiamato a esprimersi attraverso un referendum consultivo sulla permanenza del Regno Unito tra gli Stati Membri dell’Unione Europea.
di Elena Falletti
1. La questione in discussione
I “leave” hanno prevalso con una percentuale del 51,9% imponendosi sul 48.1% del “remain”.
A partire dal giorno successivo sia in Gran Bretagna sia sul Continente si è discusso su come, quando e con quali strumenti giuridici attivare l’art. 50 del Trattato di Lisbona al fine di iniziare le trattative che in due anni porteranno il Regno Unito a staccarsi dagli altri Stati Membri dell’Unione. La strategia politica del Primo Ministro Theresa May prevedeva di intraprendere tali procedure senza alcun dibattito in Parlamento (di cui lei stessa fa parte). Secondo tale visione il mandato politico sul Brexit è stato conferito al Primo Ministro con uno strumento di democrazia diretta, cioè un referendum, seppure meramente consultivo come stabilito dall’EU Referendum Act 2015.
Questa scelta politica non poteva non avere risvolti giuridici. Infatti, alcuni cittadini inglesi si sono rivolti alla High Court di Londra onde far accertare che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è una questione di diritto costituzionale interno. A questo proposito si osserva che il medesimo citato Articolo 50 del Trattato di Lisbona esplicitamente stabilisce che “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.” Quali sono, quindi, le norme costituzionali conformemente alle quali il Regno Unito può uscire dall’UE? È il Parlamento o il Governo ad avere il potere di iniziativa? Quali sono i rispettivi specifici ruoli? Durante lo svolgimento del processo tutte le parti in causa hanno concordato che siffatta questione abbia rilevanza giuridica (e non meramente politica) e che pertanto sia il potere giudiziario a dover risolvere la vertenza secondo i dettami del diritto costituzionale inglese.
Anche prima dello svolgimento del voto la campagna referendaria è stata caratterizzata da toni violenti fino a giungere all’efferato omicidio della parlamentare Jo Cox, sostenitrice del “Remain”. I toni sono rimasti esacerbati anche dopo la pubblicazione della sentenza della High Court del 3 novembre 2016. Tali circostanze non vanno taciute, ma non possono né devono avere influenze sulle questioni giuridiche delle quali ci si sta occupando. In particolare: da dove trae origine la sovranità parlamentare nel diritto costitituzionale inglese; quali siano gli atti normativi rilevanti in tema “Brexit” e perché il Governo (delegato della Corona) non può non consultare il Parlamento.
2. Le origini costituzionali della sovranità del Parlamento inglese
Come è notorio, l’Inghilterra rappresenta il sistema giuridico di common law per antonomasia basato sul precedente giurisprudenziale e su una tradizione costituzionale secolare non scritta. Tale peculiarità risalta evidente nella sentenza della High Court del 3 novembre 2016 al par. 2 (c). Anche se il confronto tra il re e il parlamento ha radici medievali, il punto di partenza dei giudici inglesi ha una data precisa: il 1689, quando con la fine della Glorious Revolution venne emanato il Bill of Rights che rappresentava un patto tra il nuovo monarca William III Orange e il Parlamento. Esso riguarda la sottomissione del sovrano alla volontà parlamentare, stabilita alla Sect. 1 dello stesso Bill of Rights. Tale prevalenza parlamentare ha rappresentato una costante costituzionale fino ad oggi ed è stata analizzata nel dettaglio dai giudici inglesi soprattutto per quel che concerne i rapporti tra la Corona (ed il Governo suo delegato) e il Parlamento nello stipulare accordi internazionali, gli effetti che questi hanno nel diritto interno e la possibilità di recedere da tali accordi. In questa sede ci si focalizza su quelli che hanno autorizzato l’adesione all’European Communities Act 1972 e l’EU Referendum Act 2015.
3. L’inizio e la probabile fine: l’European Communities Act 1972 e l’European Union Referendum Act 2015
Il Regno Unito di Gran Bretagna entra a far parte dell’allora Comunità Economica Europea il 1 gennaio 1973, dietro approvazione parlamentare dell’European Communities Act 1972. Detta disposizione legislativa stabiliva le condizioni per le implementazioni delle fonti giuridiche comunitarie nel diritto interno inglese consentendo alle medesime di “inserirsi” nel sistema di common law come legislazione primaria e pertanto venire assimilate nelle decisioni delle Corti britanniche, in un sistema dove vige il c.d. “precedente vincolante”. Questo è un punto rilevantissimo per l’intera questione perché interferisce con la stessa attivazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona.
Una volta notificata la procedura di uscita ci si chiede da un lato se anche ogni atto di diritto interno di matrice comunitaria debba essere cancellato con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (“Brexit means Brexit”, come sostiene il Primo Ministro May); dall’altro lato come verranno gestite le trattative con l’Unione Europea stessa e con i suoi Stati Membri al fine di trovare un nuovo equilibrio nei rapporti reciproci. La discussione della suddetta dicotomia può avere diverse sfaccettature: vediamone alcune.
Innanzitutto, è bene ribadirlo, tanto la validità degli atti di diritto interno quanto le trattative di uscita sono soggette alla sovranità parlamentare, che è regola fondamentale del common law inglese. Ciò perché, ribadisce la Corte inglese, il Bill of Rights 1689 attribuisce al solo Parlamento, e non al Governo, seppur delegato della Corona, di ratificare trattati internazionali (o cancellarli) affinché abbiano effetto nel diritto interno. Inoltre, la considerazione dell’European Communities Act 1972 come fonte costituzionale implica che gli atti di fonte comunitaria ed europea implementati nell’ordinamento britannico debbano essere interpretati valorizzando il ruolo costituzionale parlamentare, non sminuendolo.
Ulteriormente, tanto sotto il profilo interno, tanto sotto quello concernente i rapporti con l’Unione Europea, la High Court afferma che la competenza in materia è del Parlamento perché l’European Communities Act 1972 è fonte costituzionale, superiore allo stesso diritto dell’Unione Europea come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Si tratta del risultato di un confronto pluriennale tra Supreme Court of United Kingdom e Corte di Giustizia dell’Unione Europea. A questo proposito, la Supreme Court ha giustificato la prevalenza del diritto interno inglese rispetto alle interpretazioni della Corte di Giustizia sul diritto comunitario basandosi proprio sulla garanzia del coinvolgimento costituzionale del Parlamento ai sensi dell’European Communities Act 1972.
Per quanto concerne l’atto parlamentare autorizzativo di quello che sembrerebbe essere l’inizio della fine dell’esperienza britannica nell’Unione Europea, cioè l’EU Referendum Act 2015, la High Court ha dedicato uno spazio argomentativo ridotto rispetto all’analisi del fondamento costituzionale del European Communities Act 1972. Essa in modo molto chiaro osserva che tale atto vada interpretato alla luce dei principi costituzionali fondamentali della sovranità e rappresentanza parlamentare, i quali conducono alla conclusione che il referendum sul Brexit può essere solo consultivo, “a meno che i membri del Parlamento intendessero diversamente utilizzando un linguaggio chiaro in senso contrario. Detto linguaggio non è stato utilizzato nel 2015 Referendum Act”. Tuttavia, va sottolineato che nell’ordinamento inglese, sotto il profilo politico, è impensabile che la Corona, il Governo suo delegato e il Parlamento ignorino l’esito referendario perché ciò inficierebbe la stessa fiducia istituzionale pluricentenaria che ha consentito ad un sistema così complesso come quello britannico di mantenersi in equilibrio grazie alle prassi costituzionali cristallizzate secondo il principio “pacta sunt servanda”.
4. Perchè il Governo inglese non può ignorare il Parlamento
Alla luce di quanto esposto sembrerebbe evidente che se la volontà del Primo Ministro May di notificare l’attivazione dell’art. 50 avrebbe potuto avere un senso politico nel rispetto del risultato referendario, in realtà ciò consiste in un grave vulnus alla sovranità parlamentare. Detta circostanza evidenzia il fatto che prima di essere un problema dell’Unione Europea, il “Brexit” rappresenta una delicata questione di diritto interno, in particolare relativamente su come attivare tale procedura.
Da un lato è necessario attendere la decisione della Supreme Court of United Kingdom in materia, e i cui giudici sono già stati sottoposti a forti pressioni dai tabloid inglesi; dall’altro lato risulta essere palese, tanto alla luce della sentenza della High Court, quanto alla lettura delle fonti costituzionali inglesi a partire dal Bill of Rights del 1689, che il Parlamento debba discutere le modalità del Brexit prima dell’attivazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona, non ratificarlo ex post. Altrimenti verrebbero snaturate le caratteristiche di separazione dei poteri dello Stato, provocando una rottura dell’equilibrio istituzionale che ha rappresentato un modello ispiratore di molti ordinamenti costituzionali, non si sa quanto facilmente riparabile.
Elena Falletti