«Giudizio universale» tra emergenza climatica e “fine” del bilanciamento costituzionale

di Ines Bruno

 La causa climatica italiana “Giudizio universale” inizia finalmente a costituire oggetto di approfondimento monografico da parte della dottrina. È un riscontro importante, perché la vicenda è inedita nel panorama dell’esperienza giuridica nazionale e perché l’emergenza climatica ha, ad oggi, appassionato poco o nulla l’opinione dei giuristi del nostro Paese (a differenza dell’inflazionata passione per l’emergenza Covid).

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L’emergenza climatica tra giudice e vincoli normativi: sulla soglia accettabile del pericolo

di Maralice Cunha Verciano

Ci si può rivolgere a un giudice per fermare l’emergenza climatica? Oppure questo significa stravolgere il ruolo delle istituzioni democratiche, attribuendo al giudice una funzione “creativa” che non gli spetterebbe? Esiste un giudice naturale per salvarsi dalla catastrofe? Ma salvarsi dalla catastrofe attraverso l’accesso al giudice davvero significherebbe abilitarlo alla “creatività”?

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Il dovere ambientale “di fare” dopo la riforma costituzionale

di Ines Bruno

Innumerevoli e contrastanti risultano i commenti della dottrina italiana alla riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione: da molti ritenuta quasi ridondante rispetto alle acquisizioni evolutive della giurisprudenza costituzionale in materia ambientale (cfr., tra i tanti, Cassetti); da altri qualificata addirittura pericolosa nella misura in cui porrebbe freni alla libertà del mercato e della concorrenza (Di Plinio) o al primato dell’essere umano sulla natura (Scarselli); da altri ancora apprezzata per il fatto di individuare un nuovo “controlimite”, quello appunto ambientale e intergenerazionale, all’applicazione del diritto europeo (Morrone).

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Ambiente, biodiversità e ecosistema entrano a far parte dei principi fondamentali della Costituzione: quali sono le implicazioni per l’ordinamento italiano?

di Mariachiara Alberton*

L’8 febbraio 2022 è stato approvato in via definitiva il progetto di legge costituzionale (A.C 3156-B) che modifica, entrando immediatamente in vigore, gli articoli 9 e 41 della Costituzione.

All’art. 9 della Costituzione, dopo il comma sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, si aggiunge un nuovo terzo comma che, da un lato, riconosce tra i principi fondamentali della Repubblica “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”; dall’altro, introduce una riserva di legge statale che disciplini forme e modi di tutela degli animali, nei limiti, però, delle competenze riconosciute alle Regioni a statuto speciale (per esempio in materia di caccia e pesca e di protezione della flora e fauna).

All’art. 41 della costituzione, in materia di esercizio dell’iniziativa economica, si prevede, invece, il vincolo che essa non possa svolgersi “in modo da recare danno alla salute e all’ambiente” (comma 2) e che, altresì, possa essere indirizzata e coordinata “a fini ambientali”, oltre che ai già previsti fini sociali (comma 3).

Le innovazioni apportate da questa revisione costituzionale, peraltro in netto ritardo rispetto alle Costituzioni della maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea (come per esempio la Spagna, il Portogallo, la Germania, la Francia, la Svezia) e senza particolare ambizione rispetto alle esperienze di nuovo costituzionalismo maturate in altri paesi (si pensi all’Ecuador e alla Bolivia, in cui la natura diventa soggetto giuridico e come tale titolare essa stessa di diritti), tentano di rispondere a due questioni tra loro connesse di stringente attualità.

La prima riguarda il ripensamento del rapporto tra uomo e ambiente sotto il profilo deontologico, e cioè il riconoscimento del principio di tutela ambientale come vincolante per i poteri pubblici. La seconda si indirizza alla dimensione assiologica di questo rapporto, e cioè alla posizione occupata da interessi (economici/ambientali), spesso in conflitto, all’interno della scala dei valori dell’ordinamento e al conseguente processo di bilanciamento degli stessi demandato di volta in volta allo Stato o alla Corte costituzionale.

Questi due temi urgenti di riforma sono, mutatis mutandis, anche riflessi nell’attuale riforma istituzionale del Ministero della transizione ecologica che assume, oltre alle funzioni di tutela ambientale, anche le competenze in materia di politica energetica, in attuazione degli obiettivi dell’Unione Europea di “rivoluzione verde” e lotta contro il cambiamento climatico, che mirano alla progressiva e completa decarbonizzazione del sistema entro il 2050.

Se, dunque, il disegno di legge costituzionale approvato colma opportunamente una lacuna della nostra Costituzione e la aggiorna alle istanze contemporanee, tuttavia rischia di non produrre gli effetti desiderati sul piano attuativo. La riforma costituzionale del 2001 che ha interessato il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, prevedendo un catalogo di materie di legislazione esclusiva statale, tra le quali, in particolare “la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (art. 117, comma 2, lettera s), Cost.), a vent’anni di distanza ha mostrato tutti i suoi limiti e ha presentato un costo altissimo per l’ordinamento in termini di contenzioso costituzionale tra Stato, Regioni e Province autonome. L’esercizio concreto delle competenze così come riscritte dal legislatore costituzionale nel 2001 e successivamente interpretate dalla Corte costituzionale ha messo in luce il fallimento di un sistema che attribuisce funzioni rigide in capo a uno o all’altro livello di governo, soprattutto quando queste funzioni si intrecciano e confliggono tra di loro.

La tutela dell’ambiente è diventata negli anni una politica sempre più dinamica, trasversale alle altre politiche pubbliche e necessariamente multilivello, non solo nei rapporti intergovernativi interni all’ordinamento nazionale, ma anche rispetto all’ordinamento comunitario e internazionale.

Un intervento di riforma costituzionale quantomai urgente dovrebbe pertanto indirizzarsi al superamento dell’attuale sistema di ripartizione delle competenze (art 117 Cost.) tra centro e periferia e al raggiungimento di obiettivi e politiche realmente condivise tra livelli di governo, per esempio attraverso il rafforzamento delle sedi di raccordo intergovernative e l’inclusione effettiva delle Regioni e Province autonome nei processi legislativi e amministrativi statali, (oltre che inclusive della società civile), più che alla ridefinizione (necessaria, ma non sufficiente!) dei principi costituzionali. Tali principi costituzionali trovano, infatti, applicazione e si realizzano soltanto attraverso l’esercizio concreto dei poteri pubblici e nella particolare relazione fra centro e periferia che l’ordinamento realizza. Altrimenti, sono destinati ad rimanere ‘lettera morta’ anziché essere ‘cambiamento epocale’. 

Ambiente sempre! Lo dice la Corte costituzionale (ma subito si smentisce)

di Roberto Bin

Nelle calde e movimentate giornate di fine luglio è uscita alla chetichella un’importante decisione della Corte costituzionale, la sent. 164/2021. Nasce da un ricorso della regione Veneto contro un atto del Ministero che dichiara «di notevole interesse pubblico» l’area alpina del Comelico: la regione protesta contro un atto vincolante, che pone limiti e prescrizioni alla “valorizzazione” del territorio senza coinvolgere nelle dovute forme la regione stessa e i comuni compresi.

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La Corte tedesca e il diritto al clima. Una rivoluzione?


di Roberto Bin

Le sentenze non si commentano senza leggerle attentamente. Ma le cento e passa pagine della sentenza scritta dal Tribunale costituzionale tedesco sono talmente innovative che, con tutte le riserve di prudenza, non possono essere trattate come se fosse la solita sentenza. E’ una sentenza rivoluzionaria, che può aprire la porta a una svolta fondamentale della tutela dei nostri attuali diritti in relazione ai mutamenti climatici (qui una sintesi a cura della Corte costituzionale).

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Il corpo “malato” del Sovrano

di Michele Carducci

Dal Medioevo al Settecento, per la “scrofolosi”, considerata inguaribile, la terapia praticata consistette nel contatto della mano destra nuda del sovrano sulla piaga infetta dell’ammalato. I primi a esercitare tale attività di cura furono, in Francia, Roberto II il Pio, in Inghilterra Edoardo il Confessore, in Italia, alla fine del XIII secolo, Carlo I d’Angiò, Re di Sicilia e Gerusalemme.

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Leggi e circolari contro il lupo: non staranno ululando alla luna?

di Giacomo Menegus

Qualche settimana fa ha fatto scalpore la notizia, diffusa dai maggiori organi di stampa a livello nazionale (v. il Corriere, Repubblica, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), secondo cui il Ministero dell’Interno avrebbe emanato una direttiva con la quale si dava il via libera all’abbattimento dei lupi.

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La Brexit e le conseguenze per la politica ambientale

di Mariachiara Alberton*

A pochi giorni dalla ratifica dell’accordo di quasi 600 pagine che stabilisce le linee delle future relazioni tra i coniugi – il Regno Unito e l’UE -, in procinto di divorzio, e in attesa del voto ancora incerto del Parlamento britannico previsto per l’11/12/2018, la Banca d’Inghilterra ha pubblicato ieri le stime allarmanti in caso di hard Brexit o di divorzio senza accordo.

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