Una sentenza importante: il diritto al clima approda anche in Italia

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di Luciana Cardelli

Dopo la deludente e criticatissima sentenza del Tribunale civile di Roma sul primo caso “climatico” italiano, denominato “Giudizio Universale” (per i commenti alla sentenza romana, si v. la rassegna a cura dell’Osservatorio interformanti sul contenzioso climatico italiano), arriva una ben più corposa e articolata decisione del Tribunale civile di Piacenza, in tema di abbattimento di alberi e diritto dei residenti alla mitigazione climatica contro le c.d. “isole di calore”.

Si tratta dell’Ordinanza NRG 1439/2024, di oltre sessanta pagine (la si può leggere qui), pubblicata in data 24 settembre 2024, in accoglimento di un ricorso ex art. 700 c.p.c. ossia di un procedimento cautelare d’urgenza volto a impedire appunto l’abbattimento degli alberi di una piazza centrale della città di Piacenza, destinata a trasformarsi in autosilos.

I ricorrenti lamentavano l’effetto climatico negativo dell’operazione urbanistica, pur autorizzata e reputata “ambientalmente compatibile” dall’amministrazione, e, nello specifico, facevano presente l’importanza della funzione ecosistemica degli alberi non solo ai fini della cattura del carbonio e della riduzione dell’inquinamento urbano, ma anche e soprattutto della mitigazione climatica contro le c.d. “isole di calore”, il noto fenomeno microclimatico di surriscaldamento dei centri urbani, causato proprio dall’assenza di alberi e produttivo di un aumento delle temperature medie fino a oltre 4-5°C in più rispetto alle zone periferiche della medesima città.

L’ordinanza accoglie le tesi dei ricorrenti e respinge quelle della società privata incaricata della costruzione del parcheggio, ricostruendo con precisione il dibattito giurisprudenziale e dottrinario italiano sulla declinazione dell’ambiente nelle sue convergenti componenti paesaggistiche, ecologiche e climatiche a tutela della salute umana.

I punti interessanti dell’argomentare giudiziale sono molti, ma certamente quelli di novità possono essere così di seguito riassunti.

In primo luogo, il Tribunale ha ben chiara la differenza tra ambiente e sistema climatico o, meglio ancora, tra salubrità dell’ambiente e condizioni climatiche di abitabilità e vivibilità, constatando che la salubrità ambientale dipende dalla vivibilità climatica (quella che la scienza chiama Thermal Climate Index) e non viceversa o, peggio, prescindendone. Di conseguenza, osserva che la tutela ambientale, in un contesto planetario di cambiamenti climatici antropogenici, non può più ridursi alla sola lotta contro l’inquinamento atmosferico, ma deve necessariamente includere la mitigazione climatica.

Tuttavia, quest’ultima – la mitigazione climatica – deve essere dimostrata efficace, nel senso che se ne deve provare l’effettivo contributo a ridurre danni, rischi e pericoli di danno alla salute umana in qualsiasi contesto, compreso quello “microclimatico” delle aree urbane. Tale requisito di prova risulta ora richiesto dalla Corte CEDU, dopo le sue note sentenze “climatiche” del 9 aprile 2024 (cfr. Grand Chamber rulings in the climate change cases), che hanno distinto tra “mera” mitigazione climatica e mitigazione climatica “non dannosa” (come si deduce, in particolare, dalla decisione “Verein KlimaSeniorinnen” ai §§ 436, 441, 444, 478, 550 e 610, dove è qualificata “dannosa” la mitigazione carente dei requisiti necessari a evitare o mitigare i danni del cambiamento climatico antropogenico). Ma tale requisito deriva pure dai riformati artt. 9 e 41 della Costituzione italiana, i quali impongono, in capo a pubbliche amministrazioni e privati, nuovi vincoli e limiti, in grado di orientare qualsiasi operazione di bilanciamento degli interessi in gioco, a favore appunto dell’ambiente/salute anche nell’interesse delle generazioni future.

Di conseguenza, il diritto fondamentale all’ambiente, che il Tribunale qualifica “in re ipsa” appartenente allo statuto vivente della persona umana (in quanto, scrive testualmente il Giudice, «semplice esistenza dell’individuo e svolgimento della propria vita nel luogo interessato»), non può non includere il diritto a un clima (incluso il “microclima” urbano) vivibile e abitabile contro rischi, pericoli e danni alla salute (si v. le pagg. 29, 37-38 e 57-58 della decisione giudiziale). Sicché sia l’azione amministrativa che quella privata devono rispettare tale diritto al clima, verificando la non dannosità delle propria attività o condotta rispetto alla necessaria mitigazione climatica da promuovere in qualsiasi luogo di vita umana, inclusi i centri urbani.

Com’è facile constatare, il Tribunale civile di Piacenza giunge a una conclusione totalmente opposta a quella del Tribunale civile di Roma nel caso “Giudizio Universale”. Per la Giudice romana, il diritto al clima, quale «diritto a conservare le condizioni di vivibilità» per sé e per le generazioni future, semplicemente «non esiste» (si v. la pag. 10 della sentenza, leggibile qui). Per il Giudice piacentino, invece, esso non solo esiste in generale, ma va pure “contestualizzato” nei luoghi della vita umana, non potendo non includere, di riflesso, la pretesa di veder salvaguardata «la funzione di regolazione termica svolta dalle piante» per contrastare «il riscaldamento dei manufatti antropici sotto i raggi solari e il conseguente irraggiamento del calore, una c.d. isola di calore foriera di per sé di nocumento alla presenza dell’uomo» (pagg. 10 e 57-58 della cit. Ordinanza).

Si tratta della prima decisione italiana che ragiona di diritti soggettivi fondamentali nei termini “climatici” della vivibilità e abitabilità locale dentro lo scenario planetario e locale degli stravolgimenti antropogenici dell’atmosfera e del sistema climatico sottostante. Dunque, dopo la miope visione della Giudice romana, uno spiraglio di luce sembra aprirsi anche in Italia, per il diritto umano al clima: anche perché esso altro non è che l’altra faccia del diritto umano all’ambiente, quella più importante e determinante, come ha cristallinamente spiegato la Corte CEDU nel cit. caso “Verein KlimaSeniorinnen” e altrettanto autorevolmente confermato da altre Corti supreme, in giro per il mondo: da ultimo, la Corte suprema dello Stato delle Hawaii (Scot-22-0000418 Appeal Docket No. 2017-0122), la Corte civile suprema indiana (caso 2024 INSC 280) e la Corte costituzionale della Corea del Sud (casi riuniti 2020Hun-Ma389, 2021Hun-Ma1264, 2022Hun-Ma854, 2023Hun-Ma846).

In fin dei conti, il diritto umano al clima riflette la pretesa di fondamento esistenziale – dato che, come ricordato dal Giudice piacentino, ognuno di noi vive e abita in un “microclima” – affinché la mitigazione climatica – unica e insostituibile misura di contrasto contro l’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera e conseguente innalzamento delle temperature medie globali e locali – sia “non dannosa” ovvero capace di – per riprendere la Corte CEDU –  «evitare o mitigare i danni» dell’interferenza antropogenica (cfr. A.T. Cohen, Quando la mitigazione climatica non è dannosa?). Senza mitigazione “non dannosa” non c’è possibilità alcuna di ambienti “salubri”, per cui senza il diritto “al clima” non c’è futuro per il diritto “all’ambiente” e “alla salute”.

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