L’Italia senza “quota equa” e Carbon Budget viola Costituzione e CEDU

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di Alberto T. Cohen

Com’è noto, nella sentenza “Verein KlimaSeniorinnen” del 9 aprile 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che uno Stato membro del Consiglio d’Europa, che non utilizzi i “requisiti necessari” di mitigazione climatica per il proprio territorio, versa in una situazione di “lacuna critica” in violazione dell’art. 8 CEDU (cfr. § 573).

I “requisiti necessari” da utilizzare sono individuati principalmente nei paragrafi 441-444 e 550 della decisione di Strasburgo e sono due:
– il primo consiste nella quantificazione della “quota storica” (o “quota equa”) di emissioni di gas serra dello Stato, al fine di determinare il contributo effettivo di quello Stato alla concentrazione di CO 2 in atmosfera, che ha causato l’aumento della temperatura media globale;
– il secondo riguarda il conteggio del Carbon Budget residuo o metodo equivalente ovvero il computo della quantità di gas serra che si possono ancora emettere, da parte di quello Stato alla luce delle sue precedenti emissioni “storiche”, al fine di non contribuire al superamento
della temperatura di +1,5°C massimo +2°C, stabilito dall’art. 2 dell’Accordo di Parigi. La loro assenza, spiega la Corte, produce una “lacuna critica” in quanto induce a una mitigazione climatica che, invece di ridurre i danni in corso e impedirne di nuovi, rischia di
alimentarli; sicché, da tale peggioramento, scaturirebbe la violazione dell’art. 8 CEDU in termini di lesione o minaccia dei diritti della persona umana a vivere e abitare, in sicurezza presente e futura, i propri spazi di esistenza.
La causa di questo apparente paradosso, precisa sempre la Corte, risiede nella legge fisica dell’inerzia. In forza di essa, infatti, qualsiasi emissione climalterante. aggiuntiva in atmosfera. attiva effetti negativi di lungo periodo che si sommano ai precedenti: di qui, per l’appunto, la “necessità” dei due conteggi, quello “storico” (delle quote precedentemente emesse già produttive di danni) e quello “pro futuro” (delle emissioni ancora disponibili nei limiti dell’art. 2 dell’Accordo di Parigi, per non provocare nuovi danni: cfr. Cos’è il carbon budget e quanta CO 2 possiamo ancora emettere se vogliamo salvare il clima).

Dunque, e per concludere, la “lacuna critica” coincide con una doppia assenza di conteggio.
Ma che cos’è giuridicamente questa doppia assenza di conteggio? Evidentemente non è una lacuna “normativa”, come tale colmabile per via analogica, né una semplice omissione
legislativa, anch’essa rimediabile per esempio con una sentenza additiva della Corte
costituzionale. Non sembra paragonabile neppure a una “lacuna tecnica”, se intesa –
quest’ultima – come “incompletezza di una singola norma” (cfr., in merito, V. Marcenò,
Come decide la Corte costituzionale dinanzi alle lacune tecniche?).
Sembra trattarsi di qualcosa di inedito nell’esperienza giuridica italiana come inedita, del
resto, è la stessa emergenza climatica.
In altri contesti costituzionali, soprattutto del continente americano, si parla, in proposito, di
“stato di cose incostituzionali”, concetto di creazione giurisprudenziale (soprattutto da parte

delle Corti costituzionali latinoamericane) volto a descrivere una situazione, normativa e di
fatto, che rende vulnerabile e peggiorativa la condizione di una pluralità indefinita di persone
nelle loro libertà e diritti, in manifesta contrarietà con la Costituzione in un contesto di disastri
già in atto (emblematica, in merito, la recente sentenza della Corte costituzionale di Colombia
T-123/2024).
In effetti, la Corte di Strasburgo ha precisato che una mitigazione climatica, quantificata senza
“quota storica/equa” e senza Carbon Budget, determina una situazione, di fatto e normativa,
dannosa e peggiorativa per l’intera popolazione sottoposta alla giurisdizione dello Stato (cfr.,
tra i molti, i §§ 384, 417, 436, 441, 444, 478, 550 e 610): “di fatto”, perché priva dei conteggi;
e “normativa”, perché produttiva di atti (legislativi, regolamentari o amministrativi), redatti
senza conteggi. Si spiega in questo modo il richiamo all’art. 8 CEDU, che garantisce lo
“spazio di vita” della persona umana nel tempo presente e futuro, rispetto all’art. 2 CEDU,
riferito al diritto alla vita del singolo come soggetto psico-fisico del tempo presente.
Da tale prospettiva, il concetto di “lacuna critica”, in America latina rubricato come “stato di
cose incostituzionale”, sembrerebbe riconducibile, nel contesto italiano, alla categoria della
“situazione normativa”, elaborato dalla dottrina (in primis, da Antonio Ruggeri) e talvolta
fatto proprio dalla giurisprudenza costituzionale (per alcuni esempi, si v. M. Massa e F.
Ferrari e ivi bibliografia).
In effetti, ci si dovrebbe chiedere:
– qual è la “situazione normativa” italiana in tema di “quota equa” e Carbon Budget?
– esistono metodi, guide e criteri, presenti in una o più disposizioni normative, indicanti il
conteggio dei due “requisiti necessari”, richiesti dalla Corte di Strasburgo per non violare
l’art. 8 CEDU?
La risposta, purtroppo, è totalmente negativa: il che getta ombre profonde sulla conformità a
Costituzione di siffatta “situazione” italiana, soprattutto rispetto ai riformati art. 9 e 41 Cost.,
oltre che, ovviamente, all’art. 8 CEDU nella interposizione indicata dall’art. 117 comma 1
Cost.
Come si fa ad agire nell’interesse anche delle generazioni future (art. 9 Cost.), senza il doppio
conteggio della “quota equa” e del Carbon Budget?
Come si fa a sostenere che l’iniziativa economica non rechi danno alla salute e all’ambiente
(art. 41 Cost.), se le sue inevitabili emissioni di gas serra non sono contenute nel doppio
conteggio richiesto dalla Corte CEDU?
L’Italia versa totalmente nella “lacuna critica”.
Lo confermano due recentissime fonti di informazione ambientale (nel significato indicato
dall’art. 2 della Convenzione di Aarhus ovvero di documenti di istituzioni italiane,
comprovanti l’argomento in oggetto).
Da un lato, pende in Parlamento un procedimento legislativo (assai lento e pigro a dispetto
dell’urgenza dell’emergenza climatica) in tema di “Legge quadro sul clima recante
disposizioni per la definizione e l'adozione di strumenti necessari al raggiungimento
dell’obiettivo della neutralità climatica” (cfr. Fascicolo Iter DDL S. 743): in esso, tra gli
“strumenti necessari”, si contempla l’introduzione del “Budget di carbonio”, evidentemente
allo stato assente (anche se tale “Budget” è erroneamente impostato in funzione della
“neutralità climatica” invece che dell’art. 2 dell’Accordo di Parigi).
Dall’altro, nell’agosto di quest’anno, ISPRA, in risposta a un accesso civico generalizzato
promosso proprio a seguito della citata sentenza della Corte CEDU, ha riscontrato che, in Italia, non sussiste alcun metodo di conteggio della “quota storica/equa” delle responsabilità emissive dello Stato e non è neppure contemplato il conteggio del Carbon Budget.
Insomma, la “situazione” italiana risulta non conforme ai “requisiti necessari” richiesti dalla
Corte di Strasburgo a garanzia dell’art. 8 CEDU, con i §§ 441-444 e 550; di conseguenza, si
profila come “situazione incostituzionale” per violazione non solo dell’art. 8 CEDU ma anche
dei riformati artt. 9 e 41 Cost.
In un contesto italiano di disastri già in atto (basti pensare alla “storia già vista” delle
distruzioni climatiche in Emilia Romagna: cfr. Alluvione in Emilia-Romagna: è questa la
nuova normalità?), ci troviamo in presenza di qualcosa di simile allo “stato di cose
incostituzionale”, già altrove denunciato.

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