DDL Sicurezza, ha davvero senso la “stretta” sulle carte SIM?

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di Antonella Buzzi

Il 18 settembre scorso la Camera dei deputati ha approvato un nuovo disegno di legge in tema di sicurezza pubblica, che aggrava diversi reati già presenti nel Codice penale e ne prevede di nuovi. Il testo, ora nelle mani del Senato, sta suscitando reazioni sia a livello di dibattito politico che nell’ambito della società civile, soprattutto per le restrizioni che sarebbero introdotte ad alcune forme di protesta laddove il disegno di legge fosse definitivamente approvato. In questa sede, però ci soffermiamo su un emendamento che la Camera ha approvato in merito ai servizi di telefonia mobile rivolti ai cittadini di paesi extra-UE. Una disposizione che, in mezzo alle altre, potrebbe sembrare apparentemente meno impattante, ma che può avere, in realtà, ricadute importanti su una significativa parte della popolazione.

Prima di entrare nel merito dell’emendamento, si riporta brevemente la normativa attualmente vigente. L’art. 98 undetricies del codice delle comunicazioni elettroniche, il d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, prevede che le imprese che offrono servizi di telefonia mobile siano tenute a identificare i clienti prima dell’attivazione del servizio, acquisendo i dati anagrafici del titolare del contratto riportati sul documento di identità nonché estraendone numero e tipo e facendo copia dello stesso. Gli elenchi dei clienti devono essere poi inviati al centro di elaborazione dati del Ministero dell’Interno.

Stando così le cose, allo stato attuale un cliente, italiano o straniero, può acquistare una SIM solo se in possesso di carta di identità o di un documento di riconoscimento ad esso equipollente, quale la patente o il passaporto. Con l’emendamento approvato pochi giorni fa alla Camera e ora in discussione al Senato, all’art. 98 undetricies verrebbe aggiunto il seguente periodo:

Se il cliente è cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, deve essere acquisita copia del titolo di soggiorno di cui è in possesso”. Inoltre, è stata prevista, per l’impresa autorizzata alla vendita di SIM, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 10 giorni in caso di inosservanza degli obblighi di identificazione.

Nelle intenzioni della maggioranza di governo ed in particolare di uno dei deputati che ha presentato l’emendamento, tale disposizione aiuterebbe a proteggere la sicurezza dei cittadini e a ridurre il mercato di SIM fantasma, rendendo “identificabili eventuali responsabili di reati intercettati”. Ma siamo davvero sicuri che sia così?

Già con la normativa attuale, come visto sopra, il cittadino di un paese extraUE può acquistare una SIM soltanto se è identificabile con un documento di identità, vale a dire se è in possesso del passaporto del proprio Paese in corso di validità oppure della carta di identità italiana, non ancora scaduta. Di converso, la normativa esclude che una scheda SIM possa essere venduta a chi sia privo di un documento di identificazione.

Come noto, in base alla normativa italiana la carta d’identità viene generalmente rilasciata ai cittadini di Paesi extra UE a seguito dell’iscrizione anagrafica, che può avvenire solo in costanza di regolare soggiorno del soggetto interessato, previa esibizione di un permesso di soggiorno valido oppure di una ricevuta della domanda in alcuni casi particolari, ad esempio in quello dei richiedenti asilo.

Per quanto riguarda il passaporto dei cittadini extraUE, ovviamente le regole per il suo rilascio o rinnovo dipendono dal paese di origine.

Quindi, quando i cittadini di un paese extraUE intendono acquistare una scheda SIM, devono esibire passaporto o carta di identità in corso di validità. Per cui, è estremamente improbabile che chi non sia regolarmente presente sul territorio italiano possa – già con le regole attuali – acquistare una SIM. Si tratterebbe, essenzialmente, di coloro che siano ancora in possesso del passaporto valido del proprio Paese o di una carta di identità con una validità residua, rilasciata prima della perdita del permesso di soggiorno, ma anche in questo caso, si ribadisce, soggetti perfettamente identificabili con passaporto o con carta di identità nonostante il soggiorno irregolare.

L’effetto dell’emendamento approvato dalla Camera sarebbe quindi in primis quello di impedire – irragionevolmente, a parere di chi scrive – agli individui irregolarmente presenti sul territorio ma comunque perfettamente identificabili, di acquistare una SIM presso un venditore regolare per il mero fatto di essere privi di un permesso di soggiorno. A chi si rivolgerà una persona che si trovi in una situazione simile e che pure avrà bisogno di una scheda telefonica? Con molta probabilità, in mancanza di alternative, proprio a quel mercato di SIM fantasma che l’emendamento approvato vorrebbe contrastare, perlomeno nelle parole di chi lo ha proposto. Se questa persona commetterà un reato, le forze dell’ordine avranno maggiori difficoltà ad intercettarla su una SIM acquistata al mercato illegale, mentre avrebbero potuto farlo più agevolmente nel rispetto della legge sulle intercettazioni (tra l’altro, proprio limitata dal governo in carica), se avesse acquistato la SIM presso un regolare esercizio di telefonia mobile. Ma c’è di più. Un ulteriore effetto, probabilmente (auspicabilmente) involontario, della normativa in corso di esame, sarebbe quello di impedire l’acquisto di una SIM anche agli stranieri che – pur non essendo in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità per le più svariate ragioni – sono regolarmente presenti in Italia e sono titolari di un passaporto o una carta di identità. A titolo di esempio e senza pretesa di esaustività, si pensi a:

  • tutti i cittadini extraUE che entrano in Italia con passaporto e regolare visto per motivi di lavoro. Tali cittadini stranieri devono attendere diversi mesi prima di avere il permesso di soggiorno a causa dei tempi delle Prefetture e delle Questure, ma nelle more sono perfettamente regolari sul territorio italiano, possono svolgere l’attività lavorativa per la quale hanno fatto ingresso e richiedere l’iscrizione anagrafica. Nelle more hanno solo una “ricevuta” postale che attesta la loro regolare presenza sul territorio, ma tali “ricevute” verranno accettate dai servizi di telefonia mobile? I dubbi sono leciti.
  • Stesso discorso vale per tutti i cittadini extraUE che entrano in Italia con passaporto e regolare visto per motivi familiari: nelle more del rilascio del permesso di soggiorno sono perfettamente regolari, ma per molti mesi rimangono in possesso di una mera ricevuta.
  • Migliaia di studenti universitari, dottorandi, ricercatori, professori provenienti da paesi extraUE si fermano ogni anno nelle nostre università per periodi di tempo più o meno lunghi: tutte queste persone per molti mesi potrebbero essere private del diritto di acquistare una scheda telefonica, almeno fino a quando non avranno un permesso di soggiorno per motivi di studio o ricerca.
  • I turisti provenienti da alcuni paesi con cui l’Italia ha stretto particolari accordi (ad esempio, gli Stati Uniti) si possono fermare in Italia fino a tre mesi consecutivi senza necessità di richiedere il permesso di soggiorno. Anche loro non potranno più acquistare schede telefoniche da utilizzare nel breve periodo di vacanza in Italia.
  • I richiedenti asilo, che hanno diritto all’iscrizione anagrafica e al rilascio della carta di identità previa esibizione della sola ricevuta di richiesta del permesso di soggiorno per richiesta asilo, attualmente potrebbero acquistare una SIM esibendo la carta di identità, mentre con la nuova normativa potrebbero dover attendere il rilascio del permesso di soggiorno per richiesta asilo, che spesso viene stampato dalle Questure con tempistiche estremamente lunghe.
  • Persino alcuni cittadini italiani non potranno acquistare la SIM: mi riferisco a tutti coloro che entrano in Italia per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. In attesa della conclusione di tale procedimento, che può richiedere alcuni mesi, la regolarità della loro presenza in Italia è attestata unicamente da una ricevuta postale di richiesta del permesso di soggiorno per attesa cittadinanza.

Possiamo dunque concludere che la normativa in corso di esame benché diretta, nelle intenzioni di chi l’ha proposta, ai cittadini stranieri che siano irregolarmente presenti sul territorio (i “clandestini”, nelle parole del proponente), per via della sua formulazione comporti effetti molto più vasti. In altre parole, per tentare di colpire una sparuta minoranza (si direbbe quasi una caccia all’uomo) di persone che, nonostante l’irregolare presenza sul territorio, potrebbe provare la propria identità e comprare legalmente una SIM (e che dunque, in caso di indagini di polizia, sarebbe perfettamente rintracciabile e intercettabile dalle autorità procedenti), si andrebbe in realtà a rendere la vita più difficile anche a una ulteriore pluralità decisamente eterogenea di cittadini stranieri, presente in Italia regolarmente per i motivi più disparati.

Occorre una precisazione. La disposizione in esame non parla in realtà di “permesso di soggiorno”, ma di “titolo di soggiorno”. È chiaro, dunque, che tutte le persone di cui sopra abbiano titolo di soggiorno in Italia, sebbene non siano in possesso di un permesso di soggiorno immediatamente producibile alle compagnie telefoniche. Le imprese di telefonia mobile potrebbero, dunque, in via ipotetica accertare la regolarità del cittadino extraUE conoscendo nel dettaglio la normativa sul soggiorno in Italia e chiedere la documentazione atta a comprovare la regolarità del soggiorno. Tuttavia, si tratta di una casistica estremamente variegata, che non di rado causa incomprensioni, lentezze e ritardi negli stessi uffici pubblici che dovrebbero conoscere la materia. Francamente, è un onere che si può imporre a un operatore di telefonia mobile, che non è neppure un pubblico ufficiale? È evidente che, date le pesanti sanzioni previste in caso di inottemperanza all’obbligo di identificazione, in casi siffatti sarebbero maggiori i rifiuti a contrarre il contratto di telefonia mobile rispetto alle compravendite di schede telefoniche.

Per i motivi sopra esposti, sorge fortemente il dubbio che l’emendamento approvato contrasti con gli articoli 3 e 15 della Costituzione, in quanto andrebbe a comprimere la libertà di comunicazione di un elevato numero di persone in maniera indiscriminata, in assenza di una ragionevole giustificazione: anzi, l’obiettivo dichiarato e perseguito dalla novella attraverso la limitazione della libertà di comunicazione di alcuni individui, per un’evidente eterogenesi dei fini, sembrerebbe ostacolato anziché centrato dalla disposizione in esame.

Ulteriori profili di dubbia costituzionalità emergono, in particolare, rispetto a tutta una serie di diritti connessi alla libertà di comunicazione (e all’esigenza di avere un’utenza telefonica personale):

  • il diritto alla difesa (art. 24), riconosciuto a tutti gli individui, a prescindere dallo status giuridico sul territorio italiano. Le comunicazioni telefoniche tra assistito e difensore, in particolare nella difesa d’ufficio, sono fondamentali;
  • il diritto alla salute (art. 32): le cure urgenti sono riconosciute a tutti, anche alle persone prive di permesso di soggiorno. È evidente che avere a disposizione un’utenza telefonica è indispensabile nei casi di urgenza;
  • il diritto all’istruzione (art. 34), riconosciuto anche ai minori non regolarmente presenti sul territorio. Anche in questo caso l’accesso a un’utenza telefonica è essenziale affinché il minore possa compiutamente godere di tale diritto;
  • la libertà di insegnamento (art. 33) e il diritto al lavoro (art. 35) dei cittadini provenienti dall’estero: un professore, un ricercatore, un lavoratore che giungono in Italia per la prima volta hanno evidentemente la necessità di avere a disposizione un’utenza telefonica per comunicare con l’università, l’ente di ricerca, il datore di lavoro, senza essere costretti ad utilizzare l’utenza del Paese di provenienza che ha costi molto più elevati;
  • la mancanza di un numero di telefono italiano impedisce di fruire dell’identità digitale (cd. SPID): come noto, ad oggi lo SPID è fondamentale per cittadini italiani e stranieri per accedere a tutta una serie di servizi (ad esempio, i centri per l’impiego), a loro volta connessi con diritti di rilevanza costituzionale (ad esempio, ancora una volta, il diritto al lavoro);
  • persino i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. rischiano di essere compromessi dall’emendamento in oggetto: i cittadini di Paesi extraUE devono essere poter raggiunti anche telefonicamente dagli uffici pubblici, in particolare dalle Prefetture e dalle Questure, visto che dal momento in cui arrivano in Italia sono soggetti alla regolarizzazione del loro status giuridico sul territorio. L’amministrazione non può affidarsi né richiedere a soggetti terzi di fornire la loro utenza telefonica per raggiungere telefonicamente il cittadino extraUE.

Al contempo, l’emendamento sembra contrastare anche con la normativa europea, e non solo con l’art. 7 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea, che tutela il diritto al rispetto delle comunicazioni dell’individuo, ma anche con l’art. 100 della direttiva (UE) 2018/1972, che fonde le direttive previgenti in materia e istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche. L’art. 100 prevede infatti che le misure nazionali in materia di accesso a servizi e applicazioni o di uso delle stesse attraverso reti di comunicazione elettronica da parte di utenti finali debbano rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e i principi generali del diritto dell’Unione. In particolare, è previsto che qualunque provvedimento riguardante l’accesso ai servizi e applicazioni o l’uso degli stessi attraverso reti di comunicazione elettronica, da parte degli utenti finali, che possa limitare l’esercizio dei diritti o delle libertà fondamentali riconosciuti dalla Carta, può essere imposto soltanto se è previsto dalla legge e rispetta detti diritti e libertà, se è proporzionato e necessario e risponde effettivamente agli obiettivi di interesse generale riconosciuti dal diritto dell’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, incluso il diritto a un ricorso effettivo e a un giusto processo. Di conseguenza, tali provvedimenti possono essere adottati soltanto nel rispetto del principio della presunzione d’innocenza e del diritto alla privacy.

Ma oltre che dannosa ai fini della sicurezza e contrastante con la Costituzione e la normativa europea, una normativa che leghi il diritto di fruire di un’utenza telefonica alla regolarità del soggiorno, pur in presenza di una perfetta identificazione del soggetto interessato, sembra anche incongrua e fuori tempo massimo in un mondo dove basta avere accesso a una rete wi-fi per connettersi e comunicare, dove è possibile utilizzare SIM estere o acquistare online schede anonime.

A conti fatti, tale emendamento appare meramente propagandistico, al più uno strumento per rendere inutilmente maggiormente complicata la permanenza nel nostro Paese per alcune categorie di persone. Con buona pace della sicurezza.

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