Autonomia differenziata: perché le regioni dovrebbero impugnare la “legge Calderoli”

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di Roberto Bin

La legge 86/2024 sulla c.d. “autonomia differenziata” è scritta male, ambigua e anche contraddittoria. Perciò può prestarsi ad attuazioni che mettano in pericolo il sistema delle autonomie e gli equilibri anche finanziari tra le regioni. Ma questo non basta a giustificare un’impugnazione da parte delle regioni.

Anche se in passato la Corte costituzionale ha accolto ricorsi delle regioni contro provvedimenti dello Stato per bloccare possibili interpretazioni lesive dei loro interessi, anche se quelle censurate non erano le uniche interpretazioni possibili, di fronte alla “legge Calderoli” non sembra che le regioni possano sollevare eccezioni basate solo su un’ipotetica applicazione contraria ai loro interessi. E però ben altra è la censura che esse possono opporre alla legge, senza attendere che si prospettino ipotesi precise e contestabili di sua applicazione.

A me sembra che vi sia una precisa censura che può essere mossa alla legge. Essa pretende di dare applicazione all’art. 116 Cost. ignorandone la lettera e lo spirito. La norma costituzionale, dopo aver ricordato che le regioni a Statuto speciali “dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia”, prevede che anche alle regioni ordinarie “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie ecc. ” possano essere attribuite con una legge “rinforzata” dello Stato. Purtroppo di questa disposizione si è eretto come interprete “qualificato” il Presidente della Regione Veneto, Zaia, che si è speso per ottenere dallo Stato le famose “23 materie”, cioè una serie di competenze amministrative più o meno significative. La “legge Calderoli” è appiattita sulla stessa prospettiva: lo rende esplicito, sin dal titolo, l’art. 4: “Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie…”; e poi continua all’art. 6, precisando che ” Le funzioni amministrative trasferite alla Regione in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione sono attribuite, dalla Regione medesima, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie, ai comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane e Regione, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. Sono le formule ormai tipiche usate dai decreti di trasferimento delle funzioni amministrative, di cui abbiamo visto l’ultima edizione con la c.d. “legge Bassanini” e il decreto legislativo 112/1998, che – come si è soliti ripetere – anticipava la riforma costituzionale del Titolo V.

Proprio qui sta il punto. La riforma costituzionale del 2001 ha introdotto un principio fondamentale che dà forma al riparto delle competenze amministrative. Sancisce l’art. 118.1 Cost. che “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. E’ sorprendente che l’art. 6 della legge Calderoli, citato poc’anzi, ripeta le parole dell’art. 118.1 senza avvertire la contraddizione che si manifesta palese: se l’attrazione al centro delle funzioni amministrative non è giustificata dall’esigenza di un esercizio unitario, tali funzioni devono essere trasferite a tutte le regioni, comuni ecc. Il fatto che per una o per alcune regioni le esigenze di esercizio unitario possano venire meno, è segno evidente le funzioni di cui si tratta non esigono affatto l’esercizio unitario. Il che significa che gli artt. 4 e 6 della legge Calderoli sono illegittimi per contrasto con l’art. 118.1 Cost., e che nessuna regione (e nessun comune) può vedersi esclusa dall’applicazione del principio di sussidiarietà e relativa devoluzione delle funzioni amministrative. Da qui l’interesse di ogni regione ordinaria di sollevare la questione di legittimità della legge 86/2024 per violazione del principio di sussidiarietà.

Ma allora – si dirà – a cosa serve l’art. 116.3 Cost.? Può essere considerato un’eccezione al principio dell’art. 118.1? La pessima tecnica legislativa impiegata nella riforma del Titolo V non giustifica che si immagini un’eccezione che precede tacitamente la regola generale resa in seguito esplicita. Semplicemente l’art. 116.3 non va inteso come una norma che consenta di riconoscere più funzioni amministrative ad alcune regioni, mentre per le altre resta imposta la prevalenza delle esigenze unitarie. E’ del tutto evidente che l’art. 116.3 non accenna minimamente alle competenze amministrative: anzi, iniziando parlando delle “forme e condizioni particolari di autonomia” delle Regioni speciali, è del tutto evidente che guarda a una dimensione dell’autonomia regionale ben diversa da quella amministrativa. Da tempo ho proposto una lettura della norma costituzionale diversa dall’appiattimento scelto dalla proposta del Veneto e dal dibattito che ne è seguito (cfr. ad esempio L’attuazione dell’autonomia differenziata (Relazione al Convegno di Torino «A che punto è l’autonomia regionale differenziata?» del 20 aprile 2018). Che sia il caso di ripensarci?

 

 

 

 

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