In autunno un’ampia parte degli italiani andrà al voto. Elezioni amministrative per diversi comuni, anche molto importanti; elezioni regionali in Calabria. Ma c’è la pandemia, e non si sa come sarà la situazione in autunno: ci si potrà spostare per esercitare il diritto di voto se non si abita nel luogo di residenza?
Non sembra che il problema del voto per chi è fuori sede sia percepito come un problema urgente: e invece lo è. Votare è il diritto politico fondamentale dei cittadini, che dovrebbe essere garantito e favorito in tutti i modi. Invece una legislazione antiquata, improntata a diffidenza e indolenza burocratica, consente solo agli italiani all’estero di esercitare il voto senza ritornare a casa, non anche agli italiani che siano lontani da casa per qualche motivo. Per quale motivo?
In parlamento giace una proposta di legge, presentata alla Camera dalla ex ministro Madia e dal gruppo PD, il 28 marzo 2019 (c. 1714), il cui titolo inizia con “Disposizioni per l’esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza“. In due anni non ha fatto neppure un centimetro del suo complicato iter di approvazione. Forse non è un male, perché si tratta di un testo legislativo redatto nel più perfetto stile burocratico-ostruzionistico. Lo annuncia già la seconda parte del titolo: la legge apre la possibilità di esercitare il diritto di voto solo “in caso di assenza per motivi di studio, lavoro o cura“: bisogna presentare la domanda in via telematica tramite l’identità digitale SPID, allegando la documentazione che “comprovi” i motivi per cui il richiedente si troverà fuori della sua regione di appartenenza… Inizia così per l’aspirante elettore un percorso troppo travagliato perché sia qui riassunto, che consentirebbe l’esercizio del voto attraverso la posta (per il futuro, il governo verrebbe delegato a varare una sperimentazione di sistemi telematici di votazione, sperimentazione che il M5S vorrebbe fosse tentata già in occasione delle prossime elezioni comunali). Comunque la proposta Madia si occupa soltanto delle votazioni per il referendum, per le Camere e per il Parlamento europeo: le elezioni regionali e amministrative non sono prese in considerazione. Le stesse limitazioni incontra anche l’emendamento alla legge elettorale proposto dall’on. Nesci e da altri deputati del M5S (c.543), approvato alla Camera nell’ottobre 2018 e da allora fermo in Commissione al Senato.
C’è qualcosa di paradossale nel nostro Paese. Dopo le dimissioni del Governo Conte II, in tanti hanno dichiarato (Mattarella in primis) che andava scartata l’ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere perché non era consigliabile convocare gli italiani al voto in tempi di pandemia. Ragionevole, sicuro: ma è incredibile che non si sia immediatamente messa mano ad una legge che consenta il voto a distanza in uno dei vari modi in cui esso è praticabile. Si è invece spostata la data delle elezioni calabresi e nei comuni i cui organi politici sono in scadenza, “al fine di evitare, con riferimento all’espletamento delle suddette procedure, fenomeni di assembramento di persone e condizioni di contiguità sociale al di sotto delle misure precauzionali adottate” (così si legge nel preambolo del decreto-legge 5 marzo 2021, n. 25).
Il voto per corrispondenza è prassi consolidata in molti Paesi, senza che nessuno (a parte Trump) abbia da lagnarsi. Troppo complicato o insicuro per introdurlo anche in Italia? Bene, allora c’è una soluzione semplice e banale: entro un termine ragionevole (la proposta Madia indica un termine di 45 giorni prima della data del voto), chi prevede di trovarsi il giorno del voto in un comune diverso da quello in cui dovrebbe votare chiede di spostare scheda e documentazione nella prefettura (quindi, nella provincia) in cui sarà domiciliato il giorno del voto, e lì si presenterà per esercitare il suo voto. E’ davvero necessario che abbia un “giustificato motivo” che lo tiene lontano dal suo Comune di residenza? Assolutamente no, in Italia il voto è un diritto e la libertà di circolazione anche: che cosa c’è da giustificare? E’ un meccanismo troppo complicato e non c’è tempo per varare una legge che ne disciplini tutti i particolari? No, la legge deve solo sancire il diritto che hanno tutti di esercitare il voto laddove siano domiciliati. Per il resto basta una circolare – una delle migliaia che il Ministero degli interni fa piovere di continuo sulle prefetture – per regolare procedure che di per sé sono semplicissime, senza dover imporre all’aspirante elettore aggravi di documentazioni, dichiarazioni ecc.
Perché votare è un diritto fondamentale, inalienabile, di tutti i cittadini. Per questo anche se le regioni (e quelle a statuto speciale in particolare) hanno autonomia legislativa per disciplinare l’elezione dei propri organi, la norma che la legge dello Stato deve introdurre per assicurare il diritto di voto ai fuori sede s’imporrebbe direttamente anche nel loro territorio: anche per le elezioni regionali e anche nel caso la regione non fosse adempiente all’obbligo di adattare la propria legislazione rapidamente alle norme varate dallo Stato per garantire i diritti degli elettori. “Al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l’unità giuridica della Repubblica” – scriveva il decreto-legge 31 luglio 2020, n. 86, emanato per imporre alla Regione Puglia di adeguare le proprie regole elettorali al “principio di promozione delle pari opportunità tra donne e uomini”. La strada c’è ed è chiara. Manca solo la volontà politica di favorire in ogni modo l’esercizio del diritto di voto, anche – ma non solo – in tempi di pandemia.
Occorre sburocratizzazione questo paese. In questo periodo un terzo dei votanti è fuori residenza non dare la possibilità di votare online come in tanti paesi civili significa dimezzare il valore e la veridicità del voto
Intervento davvero stimolante, su in problema cruciale e che davvero richiederebbe una soluzione urgente. Ma che suscita riflessioni su due o tre problemi: il voto dev’essere libero, personale, uguale e segreto anche a distanza, e questo rende le cose un po’ più complicate. Chissà quanti voti doppi e tripli ci troveremmo se si potesse votare dal comune in cui ci si trova occasionalmente, mentre di certe piattaforme online, chissà perché, risulta non si fidino più neanche i loro più affezionati fautori. C’è poi, rispetto alla materia elettorale, la riserva di assemblea all’art. 72 uc Cost. Immaginiamoci una circolare che tentasse di aggirare tale disposto. Quanto al decreto legge, il problema deriva da un intreccio di norme, l’art. 122 Cost. che richiede una legge della Repubblica, l’articolo 15 comma 2 lett. b della legge 400/1988 che esclude il dl dalla materia elettorale, come è noto pur con la sua debole cogenza, così come l’art. 120 sui poteri sostitutivi, mai utilizzati prima del 2020, che mal si presterebbero ad essere impiegati per espropriare, oltre alle regioni, anche il Parlamento del potere di disciplinare aspetti così delicati del diritto fondamentale di voto. Si può e si dovrebbe intervenire insomma, ma bisognerebbe tener conto di tutti questi delicati problemi a mio avviso.
Cara Roberta, complicazioni ce ne sono sempre, ma forse non insuperabili. La riserva di legge e di assemblea, per esempio, sin dove arriva? Non basta che la legge riconosca un diritto, votare nel comune dove si alloggia, lasciando che gli aspetti operativi siano regolati con atti amministrativi? La legge sul voto degli italiani all’estero, per esempio, ha un esplicito rinvio al regolamento di attuazione. Quali sono i rischi? Se io voglio votare in un luogo diverso da quello nelle cui liste elettorali sono iscritto, non basta che comunichi con il giusto anticipo (fissato dalla legge) in quale provincia intendo esercitare il mio voto, negli uffici della prefettura? Spetterà poi al comune di mia residenza trasmettere per tempo la scheda elettorale al signor prefetto (magari notificandomi) e al prefetto di organizzare un seggio elettorale: a tutto ciò si può procedere persino con circolare. C’è però la questione della segretezza del voto: la legge forse dovrà dire che il prefetto deve assicurarla a che la scheda votata va trasmessa in busta sigillata al comune di residenza dove un collegio elettorale, costituito con tutte le garanzie del caso, aprirà le buste, infilerà le schede chiuse in un’urna e poi si passerà allo spoglio. Rischi? non ne vedo molti, se non quello che la gente rinunci a votare se il prezzo è viaggiare in condizioni che potrebbero non essere di massima sicurezza.