Consentitemi una impertinenza rivolta in particolare nei confronti di quanti, fuori dalla militanza politica di ordinanza… si sono spesi molto e ancora in queste ore proveranno a farlo per convincere – oltre che se stessi in qualche caso – egualmente, magari in quanto accreditati di una certa qual competenza tecnica, qualche incallito appassionato cultore e osservatore delle vicende istituzionali del nostro Paese che ancora non avesse maturato a tale riguardo un proprio convincimento (se ne trovano ancora nelle pieghe di quel che una volta erano i partiti strutturati o anche veniva identificato come “voto d’opinione”) della “importanza” del referendum confermativo sulla c.d. riduzione del numero dei parlamentari rispetto al quale bisognerebbe votare sì o no (si parla, da un lato, di occasione storica lungamente inseguita e, dall’altro, di pericolosa ferita inferta alla democrazia rappresentativa), tanto più che la validità della consultazione popolare è, come noto, sganciata dal superamento di un quorum partecipativo.
Ai pasdaran dei tuoi schieramenti (sembra incredibile eppure si sono improvvisamente manifestati) mi piacerebbe chiedere se pensano seriamente di riuscire a valutare, da lunedì sera, l’affermazione del sì o del no davvero a prescindere dall’esito della importante e contestuale tornata amministrativa che coinvolge, come si sa benissimo, ben sette Consigli regionali e altrettanti “Governatori”, due elezioni suppletive in altrettanti uninominali del Senato e un certo numero di governi comunali (18 capoluoghi di Provincia e tre di Regione).
Saranno costoro in grado davvero di “isolare” il voto referendario che si otterrà, in un senso o nell’altro, dal contesto politico generale o dovranno anche loro liquidare burocraticamente e/o strumentalmente quel risultato dovendosi, come tutti, iniziare a preoccuparsi delle implicazioni della competizione amministrativa di sicura rilevanza nazionale sulle sorti del Governo in carica, delle forze che lo sostengono e di quelle che vi si oppongono (a cominciare inevitabilmente dalle rispettive leadership)?
Sia che sia affermi la riduzione dei parlamentari da eleggere sia che si conservino gli attuali numeri di deputati e senatori sarà difficile che i proponimenti di quanti hanno guardato con enfasi al referendum come ad una deliberazione capace di incidere sugli sviluppi futuri dell’assetto organizzativo ovvero gli intendimenti di chi ha seguito con apprensione alla “tenuta” della democrazia rappresentativa sfuggano alla realtà contingente: resteranno del tutto impregiudicate le questioni strutturali che andrebbero certo affrontate responsabilmente nella sede parlamentare (è inutile e persino stucchevole tornare a ripetere che l’inconsistenza istituzionale del Parlamento è figlia di meccanismi elettorali deprecabili che si sono succeduti a partire dal 2005) ma non già da un sistema politico debilitato e in uno stato di fibrillazione che imporrebbe, una volta per tutte, la massima cautela deliberativa almeno in materia costituzionale. Meglio, molto meglio non vendere illusioni ammantate da prospettive suggestive come fanno i prestigiatori e neppure spaventare oltremodo il malato da tempo debilitato. Soprattutto poco logico pensare davvero di “aprire” altra, ulteriore stagione di riforme utili in queste condizioni di feroce contrapposizione tra forze di maggioranze e partiti di opposizione a meno di non dire una cosa che non ha nessun valore ma che, in tal caso, alimenta eccome, se ce ne fosse bisogno, l’antipolitica fuori e dentro il Palazzo.