di Marco Dani[1] e Agustín José Menéndez[2]
Tra le varie fratture che dividono l’Unione Europea, la faglia che separa i paesi del Nord (e dell’Est) da quelli del Sud è divenuta particolarmente profonda in queste ultime settimane. Come è risaputo, il conflitto riguarda la risposta che si dovrebbe dare alla gravissima crisi sanitaria ed economica provocata dall’epidemia del Coronavirus. Più nello specifico, ci si chiede chi debba sostenere i costi dell’emergenza e attraverso quali strumenti di debba far fronte all’ineludibile ricostruzione successiva.
I governi italiano e spagnolo sembra abbiano proposto un grande piano di rilancio condiviso, a cui sappiamo si oppongono frontalmente gli stati membri capitanati dal governo tedesco e olandese, che invece sostengono che la risposta europea debba essere coordinata, senza però che questo pregiudichi l’assoluta separazione tra i bilanci nazionali prevista dai Trattati costitutivi dell’Unione europea.
Il Consiglio europeo del 27 Marzo si è chiuso senza fare nemmeno intravedere l’ombra di un accordo. Tuttavia, a ventiquattr’ore dal vertice, il quotidiano “El Pais” ha pubblicato ampi estratti del dibattito che davano conto di un’accesa discussione, in esito alla quale si poteva ipotizzare che “il punto di caduta per un compromesso si trova nello spazio tra Merkel e Sánchez”. In particolare, si citava una fonte diplomatica che sosteneva che “il punto di caduta potrebbe essere una reinterpretazione delle norme del MES [il Meccanismo europeo di Stabilità] diretta ad adattarlo ad una crisi che non è né fiscale né congiunturale”. Qualcosa di molto simile all’idea fatta circolare dal Presidente del Consiglio italiano Conte in una intervista al Financial Times del 19 Marzo, nella quale si sosteneva che l’obiettivo perseguito dai paesi del Sud (la mutualizzazione del debito) si dovesse conseguire attraverso lo strumento proposto dai paesi del Nord (il MES).
Per comprendere perché questa formula sia o un’illusione o conduca ad un risultato completamente opposto agli interessi di Italia e Spagna (e, secondo noi, anche all’interesse collettivo dell’Europa) è necessario essere consapevoli della natura del MES e delle coordinate giuridiche all’interno delle quali esso opera. Quattro profili ci sembrano rilevanti.
Anzitutto, la base giuridica del MES è l’articolo 136(3) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. In questa norma, è opportuno tenerlo presente, non si prevede solo la creazione del MES come struttura istituzionale collocata al di fuori dell’assetto istituzionale dell’Unione (cosa che mette in discussione, tra le altre cose, l’obbligo di solidarietà previsto all’art. 222 TFUE), ma si impone che l’assistenza finanziaria concessa attraverso di esso sia soggetta a “rigorosa condizionalità”. Quest’ultimo inciso significa che i prestiti possono essere concessi solo in cambio del trasferimento del potere decisionale sulla politica economica nazionale dei debitori nelle mani dei creditori, nel quadro dei cosiddetti memorandum d’intesa già tristemente sperimentati in Grecia, Irlanda e Portogallo. Tradotto in italiano, questo significa ossigeno finanziario (con il contagocce) in cambio di sovranità. Di conseguenza, l’uso del MES senza condizionalità (come sembrano rivendicare i governi italiano e spagnolo) sarebbe possibile solo dopo una riforma del testo del Trattato sul Funzionamento dell’UE e dell’accordo istitutivo del MES, qualcosa che ovviamente è impossibile portare a termine nel giro di dieci o quindici giorni. Del resto, procedere come se nell’articolo 136(3) non si esigesse la condizionalità implicherebbe, come ha già segnalato Alessandro Mangia, esporsi al rischio che un qualsiasi stato (l’Olanda?) impugni la decisione di fronte alla Corte di Giustizia, per la quale sarebbe difficile ignorare non solo la lettera del Trattato ma anche la propria giurisprudenza, nella quale la rigorosa condizionalità assurge al rango di vero e proprio meta-principio del diritto dell’UE (si veda la sentenza Pringle, in particolare il paragrafo 137).
Qualora si trovasse il modo di superare lo scoglio dell’articolo 136 TFUE concordando, per esempio, una forma leggera di condizionalità, altre sono le insidie che ci attendono. Anzitutto è bene ricordare che le condizioni a cui è soggetta l’assistenza finanziaria nell’ambito del MES possono essere modificate unilateralmente dalle istituzioni europee (come prevede l’art. 7(5) del regolamento 472/2013). Inoltre, il fatto che l’assistenza finanziaria sia erogata “a rate” garantisce che per tutta la durata del prestito i creditori abbiano non solo il potere giuridico, ma anche quello economico di variare le condizioni con cadenza semestrale. Al debitore è concessa solo la possibilità di rinunciare all’ossigeno fiscale da cui dipende, sempre che non si raggiunga un accordo diretto a congelare la norma che permette di differire la condizionalità (il che, per inciso, potrebbe essere un modo interessante per verificare le reali intenzioni dei governi del Nord). Detto in altro modo, non si tratta solo di persuadere (ci sia permesso per un attimo di personalizzare) Angela Merkel e Mark Rutte, ma di continuare a convincere per anni ciascuno dei loro successori della bontà del prestito MES a condizionalità leggera. Qualcosa che, chiaramente, è poco realistico.
Qualcuno anche afferma che la posizione tedesca e olandese è destinata a cambiare non appena gli effetti del Coronavirus si faranno sentire in Europa del Nord. Anche questo tipo di valutazioni sono piuttosto azzardate. In primo luogo, nessuno può sapere quale incidenza finirà per avere il virus in ogni paese (in questo senso, non si può escludere – anzi possiamo solo augurarlo – che i nostri partner europei abbiano la capacità o la fortuna di fermarlo). In secondo luogo, nulla garantisce che un impatto maggiore comporti necessariamente una trasformazione dell’orientamento dell’opinione pubblica in merito alla condivisione dei costi finanziari della ricostruzione. Ciò che forse si può supporre è che, se anche questa crisi finisse per essere profondamente asimmetrica, il ritorno alla condizionalità “dura” sarebbe più probabile.
La rinuncia alla sovranità implicita nel MES è assai probabile che si estenda anche alla legge applicabile al debito emesso. Nei “salvataggi” pregressi, si impose che i “nuovi” debiti fossero emessi in base al diritto inglese (nonostante il Regno Unito non fosse membro dell’Eurozona). Dopo la Brexit, il MES ha scelto di sottoporre le proprie emissioni agli stati debitori al diritto di Lussemburgo. In entrambi i casi, si è scelto di evitare che il debitore modifichi le condizioni o la consistenza delle proprie obbligazioni nell’esercizio della propria sovranità monetaria. La conseguenza di questa pratica è che ogni stato che ricorre all’ESM vede diminuita la possibilità di un recupero della propria sovranità monetaria anche se decide di lasciare l’Eurozona, dato che in tal caso affronterebbe una montagna di debito in valuta estera senza la possibilità di ridenominarla in futuro. Sia chiaro: non stiamo affermando che una Italexit o una Spanexit siano scenari che ci tentano in circostanze come le attuali in cui non solo la coesione sociale, ma anche la capacità di mantenere l’ordine pubblico sono messe a dura prova. Ciò che intendiamo ricordare è che un credibile piano B di uscita dall’Euro è probabilmente l’unica base seria di negoziazione di cui dispongono i paesi dell’Europa del Sud (un’opinione in questo senso è stata espressa da Wolfgang Münchau nel Financial Times proprio all’inizio di questa settimana). Indebitarsi con il MES significa rinunciare a questa opportunità, anche qualora la strada di una dissoluzione dell’Eurozona fosse coordinata con gli altri stati membri.
Infine, il ricorso al MES è, in realtà, solamente un mezzo per raggiungere l’obiettivo di convertire la Banca Centrale Europea nel prestatore di ultima istanza del debito pubblico degli stati membri in difficoltà finanziarie. Il MES da solo infatti non basta per affrontare la crisi. Se tutta la sua capacità di credito fosse disponibile, esso potrebbe mettere a disposizione di tutta l’Eurozona 440 miliardi di euro. Una cifra significativa che tuttavia è lontana dall’essere sufficiente ad assicurare il rifinanziamento dei debiti pubblici italiano e spagnolo, per non parlare di quello complessivo dell’Eurozona. Ne serve di più e ciò che manca da altri non può essere garantito se non dalla Banca centrale europea, l’unica istituzione in campo in grado di permettere agli stati di indebitarsi a tassi che non mettano a rischio la loro solvibilità. E’ a questo punto che è importante ricordare che il celeberrimo whatever it takes di Mario Draghi ha potenzialmente aperto la porta all’acquisto del debito pubblico degli stati dell’Eurozona (nonostante il divieto previsto all’art. 123 (1) TFUE) fintanto che lo stato detentore del debito sia “assistito” dal MES (e, quindi, sottoposto ad un programma di “rigorosa condizionalità”).
Si presume che, se si riesce a superare l’ostacolo del MES, si apriranno le porte della BCE e, pertanto, la possibilità di finanziare in forma illimitata gli inevitabili disavanzi pubblici del periodo della ricostruzione. Ragionando in questo modo, si dimentica però che la misura attraverso cui si è mediato il conflitto aperto tra istituzioni europee e istituzioni tedesche proprio in merito al whatever it takes è ancora una volta la condizionalità rigorosa, anche a questo riguardo richiesta dalla Corte di giustizia. Eluderla attraverso un MES “decaffeinato” implicherebbe riaprire una porta che, inoltre, è allo stato attuale solo socchiusa (la pubblicazione della decisione della Corte costituzionale tedesca sul quantitative easing, prevista originariamente per il 24 Marzo, è stata rinviata al 5 maggio). Dato che chi acquista effettivamente i titoli di debito pubblico sono le banche centrali nazionali, una decisione nel senso di una blanda condizionalità potrebbe condurre ad un veto da parte della Bundesbank, fatto che di per sé precluderebbe l’operazione.
Tirando le somme: (1) i trattati UE non permettono il ricorso al MES senza condizioni (2) anche se fossero concessi prestiti a condizionalità soft, nulla esclude un inasprimento delle condizioni in un momento successivo (3) prendere in prestito denaro dall’ESM porta a rinunciare ad un’eventuale ripresa della piena sovranità monetaria, perdendo così l’unica carta che rimane nelle mani dei paesi alla periferia dell’Eurozona; (4) i mezzi a disposizione del MES sono insufficienti e devono essere integrati dall’intervento della Banca centrale europea, che può intervenire solo in presenza di condizioni rigorose.
Tutto ciò ci condanna al pessimismo nostalgico? Non a nostro giudizio. Ma all’europeismo ingenuo preferiamo un realismo non edulcorato. A breve termine, è essenziale esserne consapevoli, occorre chiedere il massiccio acquisto di debito pubblico da parte della Banca centrale europea. Dopo le infelici dichiarazioni di Christine Largarde del 13 marzo, è stato predisposto un programma temporaneo di acquisto di emergenza in caso di pandemia (PEPP) che, contrariamente all’entusiasmo diffuso, avvantaggia in modo sproporzionato banche tedesche e francesi. Eppur si muove. Il 25 marzo la BCE ha eliminato i limiti che deve mantenere nell’acquisto del debito pubblico degli Stati membri nel nuovo programma di quantitative easing, con il quale può intervenire asimmetricamente a favore degli Stati più bisognosi. In questo modo, tuttavia, si guadagna del tempo prezioso, anche se c’è bisogno d’essere consapevoli della fragilità de questa soluzione, visto che il debito acquistato dalla BCE è quello emesso a breve termine. Un cambiamento nei criteri della BCE (per esempio interrompendo o diminuendo l’acquisto) provocherebbe un rapido cambiamento della situazione a svantaggio dei paesi più deboli.
La drammatica congiuntura che viviamo induce a dover prendere decisioni immediate che potrebbero però condizionare la politica, le istituzioni e la convivenza civile almeno per una generazione. E’ chiaro che sullo sfondo si profilano alcuni poteri interessati a sfruttare la situazione per ottenere la capitolazione totale degli stati debitori solo in parte conseguita durante la crisi precedente. Altrettanto chiaro è che la congiuntura attuale pone in dubbio molte delle presunte certezze della fase precedente e prefigura la possibilità di un cambio di paradigma che per l’Europa potrebbe significare il passaggio dalla “logica bancaria” che regola i trasferimenti intra-europei ad una logica di trasferimenti analoga a quella esistente negli ordinamenti federali. Nel breve periodo pensiamo sia ragionevole che entrambe le tentazioni siano tenute a bada perché la priorità va posta sull’emergenza sanitaria (primum vivere, è proprio il caso di dire). Da questo punto di vista gli interventi della BCE e non il MES costituiscono un ombrello che, per quanto precario, permette di guadagnare tempo prezioso. Tra qualche mese, quando l’emergenza sanitaria sarà auspicabilmente ricondotta ad una dimensione più gestibile, sarà opportuno valutare laicamente la situazione per capire se davvero esistano le condizioni per un cambio di paradigma. Qualora così non fosse, sarà il momento di prenderne atto senza inutili rinvii ed escamotages. Continuare così davvero può portarci in territori pericolosi, non solo per l’economia.
[1] Università di Trento (Italia).
[2] Universidad Autónoma de Madrid (España)
Non commento, ma faccio un’osservazione prendendo spunto da un argomento in apparenza secondario. Domandatevi perché gli euro-bond – così si chiamavano 40 anni fa emissioni obbligazionarie fatte da un debitore di un paese sovrano, istituzionale, bancario o privato, nella valuta di un altro paese e emesso, sottoscritto e spesso pure quotato altrove, e ora ipotetici titoli emessi dai singoli stati ma sotto la garanzia di tutti – non saranno governati dalla legge italiana e perché il foro competente non può essere un tribunale italiano. Aiuto per trovare la risposta: non si troverebbero sottoscrittori a sufficienza, ci sarebbero sconti – minor ricavi – sul prezzo di sottoscrizione e la quotazione sul mercato secondario sarebbe penalizzata da un ulteriore spread (oltre quello già conosciuto, salito alla ribalta nel 2011/12 e di nuovo nel 2018/19, commentato da tutti, analisti, giornalisti, politici e pescivendoli). Risolvete le cause di questo problema, e l’Italia sarà salvata.
Non entro nell’analisi tecnica. Dico tre cose: a) l’art. 7(5) del regolamento 472/2013 dice che «La Commissione, d’intesa con la BCE e, se del caso, con l’FMI, esamina insieme allo Stato membro interessato le even uali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico…»; quindi 1) non c’è diktat né unilateralità; 2) siamo sia dentro la BCE sia dentro la Commissione; e soprattutto 3) non si parla di condizionalità ma di programma di aggiustamento che nel caso del fondo MES/ESM per la sanità non neppure previsto; b) più radicalmente, fondo emergenza sanitaria a parte come titolare del 18% del MES perché dovrei volere che non ci sia alcuna condizionalità nei finanziamenti che il MES eventualmente elargisse? infine: fosse anche l’Italia a dovervi essere sottoposta, come cittadino mi sento meglio garantito rispetto a follie che un governo italiano potrebbe tentare. Limitazione di sovranità? In qualche misura certo: ma la vera limitazione di sovranità ce la siamo cercata e costruita e aggravata da soli costruendo un debito di entità qual’era pre crisi 2020 e anche pre 2008/11. Quella è la limitazione di sovranità: tanto è vero che per la seconda volta in 12 anni siamo vittime di crisi esogene: che però da noi hanno effetti più gravi perché non abbiamo provveduto quando dovevamo. Quindi condizionalità tutta la vita (come italiano europeo).
Colgo l’occasione del commento del prof. Fusaro per una precisazione in merito al contenuto dell’articolo, scritto in data anteriore alle conclusioni dell’Eurogruppo. Le conclusioni dell’Eurogruppo hanno previsto l’attivazione di un “Pandemic crisis support” nell’ambito della linea di credito precauzionale ECCL del MES; la condizionalità richiesta riguarderebbe il solo vincolo di destinazione alle spese sanitarie dirette e indirette. A differenza di quanto riportato nell’articolo, un’eventuale assistenza finanziaria non sarebbe immediatamente sottoposta ad un programma di aggiustamento macroeconomico (l’art. 7(12) esclude infatti l’applicazione dei piani di aggiustamento macroeconomico all’assistenza finanziaria di tipo precauzionale). Ad essere applicato sarebbe invece l’art. 3 del reg. 427/13, che prevede la sorveglianza rafforzata nei confronti degli stati che beneficiano di assistenza finanziaria di tipo precauzionale (cfr. anche l’art. 2(3)). Anche questo diverso regime, tuttavia, può sfociare nell’applicazione di una condizionalità differita più incisiva. L’art. 3(7) prevede infatti che il Consiglio, qualora si rendano necessarie “ulteriori misure” in ragione della situazione economica e finanziaria complessiva dello stato membro, possa raccomandare a maggioranza qualificata l’adozione di un programma di aggiustamento macroeconomico. Di conseguenza, e contrariamente a quanto sostenuto dal prof. Fusaro, sia nell’ambito della sorveglianza rafforzata sia nell’ambito dell’eventuale programma di aggiustamento macroeconomico lo stato beneficiario può vedersi modificate le condizioni del prestito a prescindere dalla propria volontà (a questo si alludeva con il riferimento all’unilateralità della condizionalità differita). Questo il diritto vigente: nessun automatismo, ma forte probabilità, a burrasca finita, di uno o più diktat (come del resto già è accaduto agli stati che in passato hanno ricevuto assistenza finanziaria dal MES). Per completezza, va infine aggiunto che allo stato attuale non sappiamo se siano state negoziate modifiche al reg. 472/2013 in relazione alla nuova linea di credito (la modifica richiederebbe l’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio a maggioranza qualificata, art. 121(6) TFUE). Sarebbe interessante che la proposta di un congelamento delle norme citate venisse avanzata; ci si potrebbe fare un’idea delle intenzioni degli interlocutori in merito alla reale consistenza della condizionalità del Pandemic crisis support.
2. Nel caso in cui la Commissione decida di sottoporre uno
Stato membro a sorveglianza rafforzata a norma del paragrafo
1, informa debitamente lo Stato membro interessato dei risultati
della valutazione e ne dà formale comunicazione alla Banca
centrale europea (BCE) nella sua veste di autorità di vigilanza,
alle AEV interessate e, di conseguenza, al CERS.
COMMENTO: gli stati membri si troverebbero comunque sottoposti a ” sorveglianza rafforzata” con o senza “condizionalità del MES”, in caso di sostanziale instabilità finanziaria. Non si capisce dove stia questo spauracchio delle “condizionalità” che è solo una comune clausola contrattuale direi standard. Qualsiasi accordo vale , for lack of a better word, ” rebus sic stantibus”. Eventuali ” piani di aggiustamento” in assenza di gravi turbolenze finanziarie sopraggiunte, sarebbero illegittimi ed impugnabili davanti alla Corte oltre che politicamente praticamente impossibili.