Decreto “dignità”: la strana storia della Relazione tecnica e l’ignoranza della Costituzione

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di Roberto Bin

Davvero Di Maio non conosceva la Relazione tecnica che di soppiatto qualche burocrate ha infilato nel dossier del decreto-legge “dignità”? Sarebbe davvero grave e meritevole di un’inquisizione attenta. Ma c’è un ma.

Il problema della perdita degli 8.000 posti di lavoro non è una bufala inserita in un documento burocratico all’insaputa dei membri del Governo. È parte essenziale del decreto stesso. Basta leggerne l’ultimo comma, che secondo le prassi ordinarie, contiene la “copertura finanziaria” delle singole linee d’intervento previste nella “parte sostanziale” del decreto-legge. Infatti l’art. 14.2 dispone che «Agli oneri derivanti dagli articoli 1  e  3,  valutati  in  17,2 milioni di euro per l’anno 2018, in 136,2 milioni di euro per  l’anno 2019, in 67,10 milioni di euro per l’anno 2020 ecc… si provvede: a) quanto a 5,9 milioni di euro per anno 2018 e a 7,4 milioni  di euro per l’anno 2019, mediante corrispondente riduzione… ecc».

Non sono un esperto di contabilità pubblica, ma la norma mi ha colpito: a che serve una copertura finanziaria per una norma che si limita a disciplinare la durata e il rinnovo dei contratti di lavoro tra soggetti privati? Quale è la spesa per l’erario pubblico? La risposta la potete ritrovare in un articolo di Claudio Tucci sul Sole – 24 ore, che mette in relazione la copertura finanziaria con la diminuzione di gettito derivante dalla perdita di posti di lavoro.

Ora, se davvero la Relazione tecnica è un colpo di mano della burocrazia ministeriale – della qual cosa non ci si potrebbe troppo stupire – l’introduzione di una disposizione finanziaria nel decreto-legge non lo può essere. Il testo del decreto deve essere deliberato in Consiglio dei ministri, perché così vuole la Costituzione («il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge»: art. 77.2 Cost.). Che facevano i ministri invece di leggere il decreto che stavano adottando? Forse stavano inviando i tweet con cui pensano di poter governare. Ma si rendono conto se davvero risultasse che il testo del decreto, compresa la norma finanziaria, non è passato per la delibera del Consiglio dei ministri, ciò comporterebbe la radicale invalidità dell’atto?

Nella relazione del Governo, che accompagna il disegno di legge di conversione, è dato conto dei presupposti di necessità e urgenza per l’adozione del decreto-legge e vengono descritti gli effetti attesi dalla sua attuazione e le conseguenze delle norme da esso recate sull’ordinamento. Dispone l’art. 96 bis del Regolamento della Camera che «nella relazione del Governo, che accompagna il disegno di legge di conversione, è dato conto dei presupposti di necessità e urgenza per l’adozione del decreto-legge e vengono descritti gli effetti attesi dalla sua attuazione e le conseguenze delle norme da esso recate sull’ordinamento». Per cui la mefitica burocrazia altro non ha fatto che spiegare quello che Di Maio non si è chiesto: che stiamo combinando con questo decreto?

La Costituzione purtroppo non è un tweet. È un testo lungo e complicato, scritto in un italiano forse un po’ obsoleto, che pone bastoni tra le ruote a chi vuole governare. Ma è fatta proprio per questo, per limitare il potere politico e per evitare che chi lo detiene ne abusi. Una vera seccatura. Impedisce di denunciare al giudice penale il parlamentare che esprima il suo pensiero e formuli denunce in Aula (lo ha dovuto imparare il sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi che alla Camera ha dichiarato: «Ho sentito inesattezze gravi, anche da chi ha fatto parte del governo in precedenza, che hanno anche rilievo penale, poi ovviamente i soggetti faranno le loro rilevazioni…»); nega al Vice Presidente del Governo il potere di pretendere le manette per gli “ammutinati” soccorsi dalla nave Diciotti (il reato di ammutinamento non riguarderebbe solo l’equipaggio?); vieta all’altro Vice Presidente di minacciare il licenziamento dei “funzionari” che non stanno alle sue direttive politiche sul commercio internazionale o che “truccano” le relazioni tecniche… E costringe Mattarella a intervenire per ricordare a tutti responsabilità e limiti, cioè la Costituzione.

Meno tweet e un po’ di diritto costituzionale? Ma so’ ragazzi…

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