In questo giornale si è più volte dato conto della preoccupante situazione delle istituzioni polacche (1, 2, 3, 4): la maggioranza di governo, in linea con una deleteria tendenza che sembra accompagnare altri Paesi dell’est Europa, ha da tempo avviato (e in gran parte concluso) una serie di riforme finalizzate a pregiudicare l’indipendenza e l’autonomia del potere giudiziario, con l’evidente obiettivo di sottoporlo al controllo dell’Esecutivo.
Un’Europa – se ne ha piena testimonianza in questo momento storico – non sempre sensibile alla tutela sostanziale dei diritti fondamentali a vario titolo proclamati, si è però fin da subito mostrata attenta a questi particolari eventi, arrivando ad attivare la più importante delle procedure di ‘sanzione’ nei confronti degli Stati, almeno dal punto di vista politico: essa, contenuta nell’art. 7 TUE, prevede la possibilità di inviare raccomandazioni agli Stati membri che risultino sistematicamente irrispettosi dei valori su cui dovrebbe fondarsi l’UE (art. 2 TUE, dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze). Lo stesso articolo, al secondo comma, consente addirittura di privare lo Stato membro ‘colpevole’ dei diritti (compreso quello di voto) riconosciutigli dal Trattato, qualora la violazione persista.
Ad oggi, l’articolata procedura dell’art. 7 è stata attivata solo per il primo step sopra descritto (constatazione dell’inottemperanza ai valori fondanti e successiva possibilità di raccomandare le riforme necessarie per rimediare) ed è… ‘in lavorazione’. Si può dubitare dell’efficacia concreta di una tale opzione, ma è fuor di dubbio che dal punto di vista politico si tratti di un primo passo di enorme importanza.
Proprio in queste ore, però, è giunta un’ulteriore notizia di grande rilievo. La Commissione ha attivato una procedura di infrazione nei confronti della Polonia, esattamente per gli stessi motivi di cui sopra: violazione dello Stato di diritto a causa della lesione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Si tratta di un procedimento altrettanto complesso, ma più squisitamente giuridico, che può culminare in importanti sanzioni economiche nei confronti del Paese membro irrispettoso dei valori dell’art. 2 TUE (in questo caso, appunto, Stato di diritto), e che coinvolge la stessa Corte di giustizia.
Dal punto di vista tecnico, le differenze con lo strumento previsto dall’art. 7 TUE sono molte: anzitutto, si ritiene che quest’ultimo sia attivabile innanzi a violazioni ‘sistemiche’, mentre la procedura d’infrazione pare caratterizzarsi per un respiro più limitato, chirurgico, atto a colpire singole e precise violazioni del diritto UE da parte dello Stato. Ma al netto di queste e altre diversità, ciò che (positivamente) sorprende della decisione della Commissione è un altro aspetto: la procedura d’infrazione è un vero e proprio pilastro della storia delle istituzioni europee; assieme al rinvio pregiudiziale essa ha rappresentato (e continua a rappresentare) lo strumento principale di salvaguardia dell’integrazione, essendo efficacemente in grado di constatare le ritrosia degli Stati a rispettare gli obblighi europei da essi medesimi liberamente contratti, colpendoli con sanzioni economiche assai pesanti (l’Italia è un cliente affezionatissimo). Gli esempi che si potrebbero fare sono – davvero – nell’ordine delle migliaia.
Si tratta dunque di uno strumento ordinario, quotidiano, a tutti noto e da sempre irrinunciabile nei rapporti UE-Stati: il fatto che sia stata affidata (anche) ad esso la lotta contro le violazioni descritte pare un buon segnale, poiché sembra conferire alle preoccupazioni europee un tono di normalità, concependo così la necessità di tutelare lo Stato di diritto nei Paesi UE come una sorta dato di fatto scontato, inoppugnabile, attinente all’ordinaria e inevitabile amministrazione.
Il che non significa affatto che gli altri strumenti, più eccezionali, debbano essere abbandonati: anzi. Al momento la procedura d’infrazione si aggiunge all’attivazione dell’art. 7 TUE e al rinvio pregiudiziale sollevato da un giudice irlandese, quest’ultimo esattamente per gli stessi motivi sopra visti in tema di indipendenza della magistratura. Somiglia molto, almeno sulla carta, ad una manovra a tenaglia. C’è da sperare che sia così, e che in un modo o nell’altro funzioni.
Non di meno, sarebbe buona cosa che l’UE mostri sensibilità – e il medesimo attivismo – anche nei confronti degli altri valori ‘violati’ dagli Stati membri e scolpiti nell’art 2 TUE. Dopo tutto, solo una visione minimalista dello stesso ‘Stato di diritto’ può limitarsi a concepirlo come (certo, importantissima) garanzia d’indipendenza della magistratura, essendo il suo significato potenzialmente ben pregno dei valori fondamentali su cui si struttura un regime democratico nel suo complesso.