di Alessandro Morelli
Il “contratto di governo” è ormai quasi concluso. La bozza del 15 maggio consta di ben 29 punti, alcuni dei quali, come si legge nel testo, bisognosi di “un ulteriore vaglio in sede contrattuale”, altri di “un vaglio politico primario”, mentre altri ancora sarebbero “in corso di approfondimento”. Tra i punti più interessanti troviamo l’introduzione di un “vincolo di mandato popolare” (punto 19), che, com’è noto, è uno dei cavalli di battaglia del M5s. La parte di testo che prevede tale riforma non è evidenziata come quelle ancora in discussione, la qual cosa lascerebbe intendere che sul punto i contraenti abbiano raggiunto un accordo definitivo.
Si legge nella bozza, in un passaggio che tuttavia richiederebbe qualche revisione formale, se non altro per le ripetizioni presenti, che “è necessario introdurre espressamente il ‘vincolo di mandato popolare’ per i parlamentari, per rimediare al sempre più crescente fenomeno del trasformismo. Del resto, altri ordinamenti, anche europei, prevedono il vincolo di mandato per i parlamentari; è noto l’articolo 160 della Costituzione portoghese, il quale dispone che il deputato decade dal mandato semplicemente se si dimette dal gruppo parlamentare del suo partito e contemporaneamente si iscrive al gruppo di un’altra fazione politica”. E subito sotto: “occorre, poi, introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo. Del resto, altri ordinamenti, anche europei, contengono previsioni volte a impedire le defezioni e a far sì che i gruppi parlamentari siano sempre espressione di forze politiche presentatesi dinanzi agli elettori, come si può ricavare dall’articolo 160 della Costituzione portoghese o dalla disciplina dei gruppi parlamentari in Spagna”.
Sul punto appare opportuno fare un po’ di chiarezza.
Partiamo dal Portogallo, la cui Costituzione del 1976 prevede, in effetti, una anti-defection clause all’art. 160, comma 1, il quale stabilisce che i deputati perdono il seggio, tra le altre cause, qualora s’iscrivano a un partito diverso da quello per il quale si sono presentati alle elezioni. La medesima sanzione interviene qualora essi vengano a trovarsi in situazioni d’incapacità o incompatibilità previste dalla legge, se non frequentano l’Assemblea o superano il numero di assenze previste dal Regolamento e qualora siano condannati in giudizio per determinati delitti. Infine, il secondo comma dello stesso articolo prevede che i deputati possono rinunciare al mandato, mediante una dichiarazione scritta. La perdita del seggio è eventualmente dichiarata dall’Assembleia da República, contro la quale è possibile ricorrere al Tribunal Constitucional.
Tale istituto deve essere collocato nello specifico contesto istituzionale portoghese, il cui Parlamento ha una struttura monocamerale, è presente un sistema elettorale proporzionale e i partiti hanno un ruolo di primaria importanza. L’art. 10, comma 2, della Costituzione prevede, infatti, che essi sono chiamati a concorrere “all’organizzazione e all’espressione della volontà popolare, nel rispetto dei principi di indipendenza nazionale, di unità dello Stato e di democrazia politica”. Inoltre, l’art. 288, che prevede i limiti materiali alla revisione costituzionale, comprende tra gli stessi, alla lettera i), anche “il pluralismo di espressione e organizzazione politica, inclusi i partiti politici, e il diritto di opposizione democratica”.
Una prima questione da chiarire è che non è vero che in Portogallo è previsto un vincolo di mandato per i parlamentari. L’art. 152, comma 2, della Costituzione stabilisce che “i deputati rappresentano tutto il Paese e non le circoscrizioni nelle quali sono stati eletti”, mentre l’art. 155, comma 1, prevede che gli stessi deputati “esercitano liberamente il proprio mandato”.
E infatti se il parlamentare che abbandona il proprio partito evita d’iscriversi ad altra formazione politica, non perde il proprio seggio e può continuare a svolgere il mandato da parlamentare indipendente, senza essere sottoposto ad alcuna disciplina di partito. Da tale esperienza si evince, pertanto, che misure come quella portoghese sono compatibili con il divieto di mandato imperativo (previsto, com’è noto, anche dall’art. 67 della Costituzione italiana, secondo il quale “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, e dall’art. 67, comma 2, della Costituzione spagnola, a norma del quale “I membri delle Cortes Generali non saranno vincolati da mandato imperativo”).
Peraltro, la misura anti-defezione portoghese è facilmente eludibile essendo sufficiente che il parlamentare “ribelle”, lasciato il proprio partito, non si iscriva ad altri.
C’è poi un altro aspetto di cui occorre tenere conto.
In Portogallo la clausola anti-defezione trova compensazione in previsioni normative stringenti relative all’organizzazione interna dei partiti. In particolare, l’art. 51, comma 5, della Costituzione prevede che i partiti debbano strutturarsi “in base ai principi di trasparenza, di organizzazione e gestione democratiche e di partecipazione di tutti i loro membri”. Quest’ultimo aspetto è particolarmente interessante, poiché rivela la consapevolezza dei rischi che l’adozione di misure volte a rafforzare il vincolo tra parlamentari e partiti comporta per la stessa democraticità del sistema. Se, infatti, nell’organizzazione delle istituzioni rappresentative, i partiti diventano i primi e diretti “rappresentati”, è necessario che gli stessi si dotino di una struttura effettivamente democratica, tale da consentire una reale partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale.
Anche la nostra Costituzione, all’art. 49, prevede che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con “metodo democratico” a determinare la politica nazionale. E, tuttavia, finora tale disposizione è rimasta lettera morta, non essendo stata approvata una legge attuativa che assicuri la democraticità delle organizzazioni partitiche.
Quando una disciplina del genere è stata proposta, ad opporsi, tra gli altri, sono stati proprio gli esponenti del M5s, i quali hanno ripetutamente affermato che il loro non è un partito, ma appunto un movimento (come, del resto, si precisa anche nel loro Statuto).
Nella bozza del “contratto di governo” non sono ben definite le modalità di funzionamento di questo “vincolo di mandato popolare” ma se, come sembrerebbe, s’intende adottare una misura simile a quella portoghese, occorre precisare che essa non è affatto incompatibile con il principio del libero mandato parlamentare e appare anzi di dubbia efficacia. In ogni caso, più si limita il principio previsto dall’art. 67 della Costituzione, attribuendo peso al ruolo di rappresentanza dei partiti politici, più deve essere garantita la democraticità interna di questi ultimi. Anche di quelli che preferiscono chiamarsi “movimenti”.
Penso invece che la limitazione al libero mandato attraverso il vincolo di appartenenza allo stesso gruppo parlamentare, anche se compensata con obblighi di democraticità interna (del partito piuttosto che del gruppo parlamentare) sia in un’ultima analisi incompatibile con il principio fondante della democrazia rappresentativa; si tratta appunto di una restrizione dello schema della rappresentanza democratica a favore del gruppo, cioè del partito di appartenenza che ha formato la lista elettorale. Si confondono facilmente i tre piani formalmente distinti ma materialmente sovrapposti: Partito, lista e gruppo. L’incoerenza consiste nell’accettazione di una regressione all’infinito: non riesco a risolvere il problema della rappresentanza politica con categorie puramente individuali, introduco quindi delle categorie corporative che dichiaro compatibili con il mio principio base perché rispondono allo stesso obiettivo iniziale, la rappresentanza democratica. La perfezione ovviamente non è di questo mondo. – L’analisi comparativa del diritto portoghese proposta dal prof. Morelli è precisa e convincente. Quello che lo è meno è l’abitudine sempre più diffusa di voler dimostrare la coerenza o la legittimità delle soluzioni nazionali attraverso l’induzione da esempi esteri, siano essi singoli o numerosi. E se i modelli fossero sbagliati? Nella sentenza 1/2014 la Corte costituzionale dichiara conforme liste elettorali bloccate purché non riguardino tutti gli eletti o che siano corte, perché in Germania e in Spagna funziona così. Argomenti comparativi del genere valgono poco o quantomeno non sono autosufficienti.