di Roberto Bin
Sarà pure, quello pubblicato dall’Huffington Post, un testo superato, in corso di perfezionamento (alcuni capitoli sono ancora completamente vuoti, altri hanno un doppio testo…), ma il “Contratto per il Governo di cambiamento” è una lettura piuttosto penosa. Davvero si può credere che il fior fiore dei due partiti abbia passato tanti giorni in conclave per partorire questo criceto?
Sia chiaro, ci sono anche cose interessanti: per esempio in materia di ambiente, l’impegno a «fermare il consumo di suolo (spreco di suolo) il quale va completamente eliminato attraverso un’adeguata politica di sostegno che promuova la rigenerazione urbana» è un ottimo proposito politico. Ma per lo più si tratta di programmi abbastanza vaghi, che prestano più attenzione ad abrogare le leggi approvate dai governi precedenti (a proposito della “buona scuola”, della riforma carceraria o della riduzione delle sanzioni penali, per esempio) che a spiegare che cosa si vuole davvero fare. Vi è sproporzione evidente, per esempio, tra l’attenzione dedicata allo sport (istituzione di un Ministero dello Sport, con una sua dotazione finanziaria già stabilita e, soprattutto, «l’inserimento del laureato in scienze motorie nell’organico stabile della scuola primaria») e quella dedicata alla ricerca e all’istruzione universitaria (l’impegno è essenzialmente, come ovunque, espresso in “più soldi”).
La Lega ha pesato nella definizione della parte relativa alle misure anti-immigrazione (con programmi lontani da essere operativi) e anti-islamiche (l’«istituzione di un registro dei ministri di culto. Lo svolgimento delle prediche in lingua italiana e la tracciabilità dei finanziamenti per la costruzione delle moschee e in generale dei luoghi di culto, anche se diversamente denominati… strumenti adeguati per consentire il controllo e la chiusura immediata di tutte le associazioni islamiche radicali nonché di moschee e di luoghi di culto, comunque denominati, che risultino irregolari… Legge quadro sulle moschee e luoghi di culto, che preveda anche la consultazione popolare preventiva tramite referendum comunale»), nonché sulle manette e il carcere e, ovviamente, la tassazione (però tutta da definire). Sviluppata (e bene) anche la parte sulle disabilità, mentre della istruzione professionale e il lavoro non c’è un granché.
Anche sull’Europa si dicono cose molto vaghe. Non c’è nessun impegno preoccupante, se non quello di aprire negoziati per cambiare i Trattati, i vincoli finanziari, l’accordo di Dublino; che si pensi di proporre una clausola che consenta agli Stati membri di uscire dall’euro di per sé non è un impegno preoccupante. Poi c’è il divertente proposito di chiedere alla Banca europea di cancellare 250 miliardi di titoli di Stato che essa avrà in pancia alla fine del quantitative easing («la loro cancellazione vale circa 10 punti percentuali del debito», e questo sembra un argomento insuperabile per sostenere con successo la richiesta!). Anche una politica morbida nei confronti di Putin è appena accennata.
Insomma, i contenuti non mi sembrano terrificanti. Il fatto che il documento esordisca con un’intestazione notarile relativa all’autenticazione delle firme dei due signori che lo sottoscrivono non può neppure suscitare stupore in un Paese che nel 2001 ha assistito senza troppo ridere alla sottoscrizione da parte di Berlusconi, Bruno Vespa in veste di notaio, del «Contratto con gli italiani»: anzi, visto l’esito delle elezioni di allora, può nascere l’impressione che agli italiani piacciano certe buffonate. È però un’altra la preoccupazione che mi sorge.
Se l’accordo non salta in aria, fra qualche giorno i due leader si presenteranno da Mattarella annunciando la costituzione di una maggioranza e proponendo il nome di un Presidente del Consiglio. Chi sarà? Qui nasce il problema.
Il Presidente della Repubblica vorrebbe una personalità autorevole, di alto profilo e conosciuta e apprezzata in campo internazionale. I due leader parlano invece di una persona cui affidare il compito di “eseguire” il Contratto; non dunque un politico serio e autorevole, ma una figura minore, che non pensi di «dirigere» la politica del paese. Da questo punto di vista, la clausola del Contratto che colpisce di più è quella che prevede un Comitato di conciliazione a cui è affidato il compito di interpretare e integrare il programma di governo e di risolvere i conflitti.
È chiaro che un contratto di governo deve avere una cabina di regia “bipartitica” per l’attuazione del programma; ma non si può dimenticare che questo organo non può essere posto fuori delle istituzioni costituzionali, in posizione di superiorità e con compiti di direzione nei confronti del Governo. Il Contratto prevede che lo componga il Presidente del Consiglio, i capigruppo delle due Camere, «il capo politico del MoVimento 5 Stelle e il Segretario federale della Lega», «il Ministro competente per materia» (mentre alle riunioni partecipa, solo come uditore, il membro del Governo responsabile dell’attuazione del programma). Ai tempi di Craxi ci si inventò il Consiglio di gabinetto per funzioni di coordinamento e controllo politico, ma questo era un organo interno al Governo, non esterno alle istituzioni. Quello che disegna il Contratto è più simile al Gran Consiglio del Fascismo: emanazione diretta delle forze politiche, in cui alcuni membri del Governo partecipano ma sono minoranza, essendo l’organo in mano ai politici (merita sottolineare che l’organo di conciliazione dovrebbe decidere a maggioranza dei due terzi!). Abbiamo un organo politico che tiene al guinzaglio l’organo costituzionale e lo stesso Presidente del Consiglio, cui l’art. 95.1 Cost. affida esattamente i compiti che dovrebbe esercitare il Comitato di conciliazione: «Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri».
Siamo dunque del tutto fuori al quadro costituzionale: come potrà Mattarella accettare la proposta di conferire l’incarico a formare il Governo ad una figura di secondo piano che è disposta a fungere da esecutore delle direttive impartitegli da un organo extra-istituzionale che assume la guida politica del Governo e della maggioranza? Non potrà farlo, ma qui si profila il pericolo di una grave crisi costituzionale.
Non è mai accaduto che una crisi di governo culmini con una decisione con cui il capo dello Stato rifiuta di nominare il Presidente del Consiglio designato dal gruppi parlamentari che assicurano la maggioranza in Parlamento. Se Mattarella, usando poteri mai prima impiegati ma rientranti nelle sue prerogative, lo facesse, i casi sono due: o i due signori sottoscrittori del Contratto se lo dimenticano, e propongono un leader vero, che guiderà il “suo” Governo infischiandosi del Comitato di conciliazione, oppure dovranno dichiarare forfait. Ma lo faranno semplicemente rinunciando a formare il Governo, o aizzeranno le piazze contro Mattarella, accusandolo di grave violazione della Costituzione avendo tradito la volontà degli elettori? Se ciò dovesse accadere, allora sarà opportuno che tutti noi ci si mobiliti a difesa delle istituzioni costituzionali e del loro primo difensore.
La vera domanda sarebb in cosa consiste questo Comitato della Conciliazione, non si compende se sia un alterego del Consiglio dei Ministri o un ufficio per mantene buoni rapporti tra M5S o Lega. Perché per quest’ultima ipotesi, a mio avviso basta già il parlamento.
Onestamente prof.re Bin, questo Comitato mi lascia perplesso.
Grazie
se i Governi degli ultimi cinque anni avessero governato nel rispetto di quella che sapavano essere la volontà popolare, i risultati elettorali del 4 marzo sarebbero stati molto diversi. Oggi la volontà popolare è questa e va rispettata anche da coloro che hanno governato con una percentuale pari al 40% dei votanti r del 25% degli aventi diritto al voto,