di Roberto Bin
L’ipotesi di un accordo politico tra PD e M5S, che a me sembra auspicabile, è una prospettiva da tenere ben distinta dall’ipotesi di un’alleanza politica. Un’alleanza l’ha stretta il PD con Lorenzin e Casini, nonché Bonino, per presentarsi alle elezioni con un unico programma. Un accordo politico di governo è invece un semplice patto tra forze che sono e restano diverse, per governare assieme il Paese. Il PD lo cercò con il M5S ai tempi di Bersani (con una risposta nefasta e semplicemente scandalosa da parte dei “grillini”), lo ha fatto con Forza Italia per sostenere i Governi Letta e Renzi, e poi con il Nuovo Centro-destra di Alfano e altri personaggi che vorrei non nominare. Come dire, nella storia recente il PD non è stato affatto schizzinoso, anzi tutt’altro: e persino l’ala sinistra, che poi ha fatto secessione, non ha avuto niente da obiettare.
Ora si prospetta l’ipotesi di un accordo di governo con il M5S e sembra che l’ipotesi sia indigesta, essendo corso il sangue della polemica tra i due partiti nella campagna elettorale. Non mi sembra però che questo sia ragionevole. Non è un matrimonio quello che si ipotizza, un’alleanza politica: ma un altro patto di governo. Si noti, un patto di governo con una forza politica che ha vinto con merito le elezioni catturando una larga fetta dell’elettorato PD (e su questo il PD pare intenzionato ad aprire una riflessione che si spera seria) e che non ha cadaveri nell’armadio, misfatti politici a suo carico, come aveva – e numerosi – il partito di Berlusconi. Insomma non c’è da “turarsi il naso” per giungere ad un accordo, come dovettero fare Letta e Renzi nel 2012 e dopo.
I tedeschi ci stanno mostrando che cosa sia un accordo di governo. L’accordo di Merkel con i Verdi e i Liberali (c.d. Jamaica) è fallito dopo che erano stati fissati per iscritto molti dei punti di programma, perché non si poté estenderlo a nodi cruciali come l’immigrazione e l’energia; ora quello con la SPD è venuto lentamente formandosi, attraverso la scrittura di pagine e pagine di programmi dettagliati sottoposte a referendum degli iscritti al partito socialdemocratico. Si è mai visto un accordo politico così pubblico, preciso e partecipato in Italia? No, e su questo bisogna riflettere.
È comprensibile che il PD voglia dedicarsi alla propria riorganizzazione e non farsi di nuovo risucchiare nella difesa dell’azione di governo, come ha fatto per cinque lunghi anni. Più che giusto, anzi assolutamente necessario. L’idea che la politica si faccia in televisione e partecipando ai summit di Confindustria è quella che ha portato al fallimento elettorale: i 5Stelle e la stessa Lega hanno mostrato – ma ce n’era bisogno? – che la politica si fa nei territori, e non semplicemente percorrendoli in treno o in pullman in vista delle elezioni. Il PD si è sradicato e lo si è visto anche al momento della scelta delle candidature: costringere un elettore PD a votare Casini o Lorenzin (per non parlare di una serie di esponenti candidati al Sud) è stata una brutalità che dimostra come il talk show abbia sostituito gli “attivi di sezione” nella prassi politica del partito. È comprensibile, dunque, che su ciò si rifletta con tutta l’attenzione. Ma ciò non significa potersi infischiare di cosa accade nel Paese.
Una cosa che spesso la sinistra – quella “vera”! – dimentica è che il Paese va governato: se non lo governa la politica, lo governa l’economia, cioè i “poteri forti”. Non è un caso che i lunghi mesi di non-governo in Spagna, Olanda e Germania siano stati segnati da ottimi risultati economici: i mercati sono felici di non avere interferenze politiche, ma questo è esattamente quello contro cui deve combattere la sinistra, che ai mercati deve imporre le esigenze di giustizia sociale (se no che sinistra sarebbe)?
Questi sono i contenuti che il PD dovrebbe comprendere nelle condizioni di un accordo di governo. Un accordo che dovrebbe contenere i punti essenziali, gli obiettivi i tempi e i mezzi per raggiungerli, le verifiche a cui il patto va sottoposto e i loro tempi. Pazienza se ci vorranno dei mesi, intanto governa Gentiloni e per la seconda volta in pochi anni (la volta precedente toccò a Monti) sarà un governo in proroga per l’ordinaria amministrazione a portare in Parlamento (10 aprile) e in Europa il DEF, primo atto del ciclo di bilancio: e forse persino presentare alle Camere il rendiconto e l’assestamento di bilancio (30 giugno). Il che significa che il patto di governo dovrà essere preceduto e avviato da un accordo preliminare che, oltre a fissarne le procedure, dovrà risolvere il problema urgentissimo della Presidenza delle Camere e garantire al Governo Gentiloni la non-belligeranza in Parlamento da parte del M5S.
Se tutto ciò accadesse, il M5S potrebbe davvero vantare il suo primo successo: aver portato la politica fuori dai palazzi, davanti allo sguardo degli italiani. E il PD ne condividerebbe il merito.
Vede, in questo decennio il Pd ha accettato diversi accordi e compromessi “per il bene del paese”. Paese che l’ha ringraziato con queste elezioni. La maggioranza di governo c’è, è m5s e Lega.
Farsi governare da M5S più Lega per cinque anni? Una bella prospettiva, davvero. Questa reazione mi ricorda quella del marito che si taglia i cosidetti per far dispetto alla moglie.
Ha Ha Ha. Sarei d’accordo con lei ma non entro nel merito. Potrebbero anche solo accordarsi per andare ad elezioni dopo 12 mesi. Ma è tempo che anche le altre forze parlamentari si prendano le loro responsabilità e che il PD cessi di essere l’agnus dei qui tollis pecata mundi (non so se mi spiego)
Di responsabilità se ne è prese anche troppe e questi sono i risultati che ha raccolto. La vedo così.
Volendo c’è anche una diversa maggioranza possibile: M5S+Forza Italia.
Non c’è alcuna ragione di ritenere che, ancora una volta, solo il Pd possa salvare l’Italia. Stavolta, anzi, tutto lascia pensare il contrario: il Pd non può.
Bravo Wilmer. FI è diventata così (apparentemente) insignificante che non ho ragionato su questa ipotesi. Sarebbe un bel O Rugido Do Leao. Glielo diciamo noi o ci arrivano da soli?
Sono personalmente convinto, magari a torto, che una maggioranza si formerà perché se c’è una cosa che spaventa un parlamentare (al netto dei giornalisti che, checché se ne dica, in italia fanno ancora il loro mestiere -caso DeLuca Jr. nella mia bella Salerno-) è il misurarsi con le urne. E poi data l’affluenza ed il grande numero di voti presi da alcuni contendenti sarebbe un errore madornale e rischierebbe di segnare davvero lo scollamento tra l’elettorato e i palazzi.
Le prime avvisaglie si avranno a fine mese quando si dovranno eleggere i rispettivi presidenti delle camere, come ha sapientemente ricordato il nostro Professor Bin, con una piu’ facile elezione almeno del Presidente del Senato che al quarto scrutinio prevede un ballottaggio. Queste sono figure di garanzia ed è qui che potremo da subito tastare il terreno dei possibili patti.
Ora il Movimento deve fare il salto e con queste percentuali, che in alcune regioni superano le aspettative, convincere non i suoi elettori ma l’intero paese; mi auguro mettendo la questione meridionale al centro dell’agenda di governo perché lo chiede a gran voce il paese.
Ha ragione il prof. Bin, un accordo di governo (eventualmente guidato e parzialmente composto da personaggi indipendenti) fra PD e M5S, a contenuto preciso e pubblico, è una cosa ben diversa di un patto sottobanco a contenuto occulto e parzialmente inconfessabile, di Nazarena memoria. Il problema è che nel frattempo il PD è un PdiRenzi in cui dirigenti e neo-eletti sono – per merito delle liste bloccate – quasi esclusivamente fedeli del capo. Come aspettarsi che questi uomini siano in grado di agire come lo chiede ora l’esigua base elettorale rimasta?
Alle opzioni “M5S+Lega” e “M5S+Forza Italia”, aggiungo un’ulteriore opzione: governo istituzionale, che si formi con il contributo di quasi tutti i partiti o anche di nessuno. In quanto partito di maggioranza relativa, il M5S ha il dovere di mostrare senso di responsabilità e considerare questa opzione.
Come vede, prof. Bin, le opzioni non mancano, anche senza precettare i parlamentari di una forza politica che, scesa al 18%, ha già dato tutta la responsabilità che aveva.
Tutto molto condivisibile, bisognerebbe riabituarsi a ragionare come se fossimo in una democrazia rappresentativa. E’ vero però anche che l’onere di un’iniziativa a partire dai contenuti non spetta al PD, ma a M5S o al Centrodestra. Verosimilmente il governo che si farà (se si farà) avrà vita breve perché a) le forze politiche vincenti avranno presto voglia di ampliare il risultato elettorale ottenuto (Lega, nei confronti del centrodestra; M5S, nei confronti del centrosinistra), nella logica del “battere il ferro finché è caldo” b) nel 2019 avremo l’avvicendamento ai vertici della BCE e questo probabilmente sarà un passaggio drammatico in vista del quale sarebbe opportuno prepararsi adeguatamente.
Il Pd ora copia l’atteggiamento dei 5stelle delle passate elezioni. Niente di buono. Chiaramente il M5S non potrà mai allearsi con Berlusconi e men che meno spero lo faccia con la Lega. Evidentemente un governo non s’ha da fare… ?