di Antonio Ramenghi
C’è un aggettivo che qualifica la campagna elettorale in corso. Ed è sgangherato/a che secondo l’enciclopedia Treccani significa: 1. a. Divelto dai gangheri; b. Per estens., sconquassato, sfasciato, che non sta più insieme; anche con riferimento a persone, trasandato, sgraziato. 2. fig. Mal connesso, vacillante, scomposto, sguaiato, sgradevole a sentirsi. Lo spettacolo offerto da partiti ed esponenti politici forse non è mai stato tanto sgangherato e certamente non aiuta a convincere gli elettori indecisi, che sono ancora tanti, a recarsi alle urne il 4 di marzo.
Sono sgangherati i programmi, divelti dai gangheri fissati con il deposito del programma elettorale (con tanto di firma autenticata dal notaio del capo della formazione politica), come previsto dalla legge del 3 novembre 2017, n. 165, dove si dice che: Contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14, i partiti o i gruppi politici organizzati depositano il programma elettorale, nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica.
Se si leggono i programmi depositati e li si confronta con le dichiarazioni di molti candidati ed esponenti politici, si scopre che parecchie promesse, oggi sbandierate ai quattro venti, non figurano in quei programmi. A cosa e a chi credere allora? E il non rispetto di quei programmi depositati che cosa comporta per gli inadempienti? Quell’atto ha qualche valore giuridico oltre che politico o si tratta di parole (pur nero su bianco) buttate al vento?
Sono sgangerate le candidature, non solo per la schiera di impresentabili, mai così folta, ma soprattutto per i provvedimenti che alcuni partiti hanno preso nel rispetto dei propri statuti: espulsione di candidati e successiva pretesa di rinuncia alla candidatura e, dopo il voto, alla eventuale elezione. Una operazione praticamente impossibile se l’espulso non è d’accordo e storicamente assai laboriosa e lunga nel caso l’espulso consenta alla propria estromissione dal Parlamento, come ha ben spiegato in queste pagine Giovanni Piccirilli.
Sono sgangherate le coalizioni, sia a destra come a sinistra. Che il centrodestra di Berlusconi, Salvini, Meloni sia un amalgama assai poco riuscito, ormai è cronaca quotidiana. Divisi come sono non solo per quel che riguarda la scelta del candidato premier ma anche per quanto prefigurato sull’eventuale formazione di un governo, tra chi ipotizza larghe intese e chi le nega. Anche nel centrosinistra oltre a una non velata discordanza sul futuro premier (Renzi o Gentiloni?), si registra sempre più forte la divisione tra chi non vuole larghe intese con il centrodestra e chi appare assai più propenso nell’eventualità che queste consentano un governo stabile.
Sono già sgangherati, prima di partire, i seggi in Parlamento. E questo grazie alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi che si è detto pronto ad accogliere, una volta eletti, tutti i transfughi di tutti i partiti, purchè accettino il programma del Centrodestra (ma quale, il suo o quello di Salvini?). Una operazione quella di Berlusconi che, come ha scritto Roberto Bin, configura una prevendita di voti in Parlamento capace forse di ribaltare il risultato delle consultazioni del 4 marzo. E non è detto che il mercato degli onorevoli non si estenda ad altre formazioni.
Sono sgangherati i talk show televisivi nei quali i leader sono costretti a rincorrersi a distanza, non avendo voluto affrontarsi faccia a faccia, tra una rete e l’altra, rispondendosi e attaccandosi l’un l’altro su canali diversi, con il risultato che spesso il telespettatore fatica a capire chi ha detto cosa, quando e dove. E i talk shaw sono sgangherati anche per le cose che vengono dette, a volte false, spesso imprecise, che danno l’impressione che si voglia veicolare delle bufale attraverso domande che contengono fatti non veri o risposte che similmente riportano fatti o cifre errati. Con i giornalisti sempre più spinti a uscire dai gangheri del proprio mestiere per infilarsi in quelli dell’avversario del politico.
Sono sgangherate molte delle risposte che si senteno pronunciare dai leader in questi giorni. Una in particolare che suona: “ah! questo lo vedremo, lo decideremo, dopo il 4 marzo”! Questa è una risposta fuori da gangheri del corretto rapporto con l’elettore che dovrebbe invece essere informato delle reali intenzioni di chi gli chiede il voto. Certo sono molte le incognite legate al risultato delle urne e probabilmente resteranno anche dopo il voto ma i leader per giocare scoperto dovrebbero indicare chiaramente la via principale e la subordinata e non lasciare chi ascolta nella incertezza del “può succedere di tutto” e nel dubbio che il proprio voto alla fin fine conti poco o nulla.