di Giovanni Di Cosimo
Cosa succede se uno Stato membro dell’Unione europea non rispetta i valori su cui si fonda l’Unione? Secondo la Commissione europea è quel che sta accadendo in Polonia dove il partito al potere, Diritto e giustizia, ha avviato una profonda riforma del potere giudiziario. Le nuove misure minano l’autonomia e l’indipendenza dei giudici che vengono in varie forme asserviti al potere politico. Ciò lede il principio di separazione dei poteri, che è uno dei caratteri dello stato di diritto, il cui rispetto costituisce un valore fondamentale dell’Unione (gli altri sono il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dei diritti umani).
Nel 2014, nella comunicazione Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto, la Commissione ha ricordato che il principio dello stato di diritto “garantisce che tutti i pubblici poteri agiscano entro i limiti fissati dalla legge, rispettando i valori della democrazia e i diritti fondamentali, e sotto il controllo di un giudice indipendente e imparziale”. Lo stato di diritto richiede dunque l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, e un “controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali”.
Nel caso delle riforme polacche, la Commissione è adesso intenzionata a promuovere la procedura che serve per constatare l’esistenza di “un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro” dei valori fondativi dell’Unione. La procedura, che finora non è mai stata applicata, è contemplata dall’art. 7 del Trattato. Sull’esistenza del rischio di violazione grave decide il Consiglio dei ministri a maggioranza qualificata (dei quattro quinti) “previa approvazione del Parlamento europeo”.
L’art. 7 descrive una seconda procedura relativa all’ipotesi ancora più preoccupante della violazione grave e persistente di uno dei valori fondativi.
Si direbbe che gli addebiti che la Commissione rivolge alla Polonia rientrino più coerentemente in questo secondo percorso. Infatti, la Commissione fa riferimento a ben 13 leggi approvate dall’attuale maggioranza che toccano vari aspetti dell’organizzazione giudiziaria. Per esempio, la legge sull’organizzazione dei tribunali ordinari, compromette l’indipendenza dei giudici perché assegna al Ministro di giustizia il potere discrezionale di “prolungare il mandato dei magistrati giunti all’età della pensione e di destituire o nominare i presidenti dei tribunali”. “Le nuove norme permettono al Ministro della Giustizia d’influire sull’operato dei singoli giudici, data soprattutto la vaghezza dei criteri che regolano il prolungamento del loro mandato e la mancanza di un termine per la decisione al riguardo: risulta così compromesso il principio dell’inamovibilità del giudice”. Da ultimo, nel dicembre scorso, il Parlamento polacco ha approvato una legge che modifica la composizione della Corte Suprema costringendo i due quinti dei giudici della corte a dimettersi, e introduce una commissione parlamentare con poteri di nomina dei giudici.
Insomma, le violazioni evocate dalla commissione sono attuali piuttosto che potenziali, sono ormai operative e non si più parlare di semplici rischi. La scelta della Commissione di attivare il primo percorso (rischio di violazione), piuttosto che il secondo (violazione grave e persistente), si spiega probabilmente con il fatto che nel secondo caso, che può anche condurre a sanzionare lo Stato membro con la sospensione del diritto di voto nell’ambito del Consiglio, occorre l’unanimità del Consiglio europeo, condizione che sarebbe impossibile ottenere visto che il governo ungherese ha già annunciato il suo veto. La questione è politicamente delicata, visto che si è formato un fronte di paesi dell’est che assieme alla Polonia comprende la Repubblica ceca, la Bulgaria, la Slovacchia, e l’Ungheria, che a sua volta ha adottato misure illiberali che fin qui l’Unione non ha saputo efficacemente contrastare. A questi probabilmente si unirà anche l’Austria dopo l’esito delle recenti elezioni politiche. Oltretutto, quest’anno alla presidenza dell’Unione si succederanno i governi bulgaro e austriaco.
Queste stesse ragioni politiche probabilmente spiegano perché le istituzioni europee abbiano finora proceduto con prudenza. Forse troppa, visto che il progetto di asservire la magistratura al potere politico in Polonia ha cominciato a prendere forma ben due anni fa. In questo arco di tempo la Commissione ha più volte messo in mora il Governo polacco, ma senza successo. Ha inviato quattro raccomandazioni che sono state sostanzialmente ignorate dal governo polacco. Adesso sembra che finalmente abbia intenzione di invocare l’intervento della Corte di giustizia, avviando una procedura di infrazione contro la legge sull’organizzazione dei tribunali ordinari. A sua volta, il Parlamento europeo ha detto una parola di chiarezza soltanto il 15 novembre scorso quando ha avviato il percorso che conduce all’attivazione della procedura dell’art. 7 del Trattato (sul presupposto “che l’attuale situazione in Polonia rappresenti un evidente rischio di violazione grave” dei valori fondativi, ha dato mandato a una propria commissione di elaborare una relazione allo scopo di sottoporre all’aula la proposta con cui si invita il Consiglio ad agire ai sensi dell’art. 7).
Al di là delle questioni procedurali, e delle eccessive prudenze istituzionali, resta la gravità delle accuse rivolte alle riforme polacche. Nella civile Europa si sta smantellando un pezzo importante dello stato di diritto e questo mette a rischio la qualità della democrazia. Come rileva la Commissione, “la violazione dello stato di diritto in uno Stato membro ha un effetto su tutti gli stati membri e sull’Unione nel suo complesso”.
Quando, nello scorso luglio, il Presidente Duda fu lodato per aver rinviato al Parlamento la legge lesiva dell’indipendenza della magistratura, scrissi che, se veramente avesse voluto opporsi, l’avrebbe dovuto sottoporre al controllo preventivo del Tribunale costituzionale, che l’avrebbe quasi certamente dichiarata incostituzionale.
Invece la legge è stata riapprovata con la maggioranza dei tre quinti richiesta dall’art. 122 Cost. E in tal caso, la stesso articolo della Costituzione prevede che il Presidente la debba promulgare, senza più poterla più sottoporre ai giudici costituzionali (art. 122 Cost. Polonia).
Insomma, un gioco delle parti, anche perché contemporaneamente il Presidente aveva promulgato la legge sulla nomina governativa dei Presidenti dei Tribunali.
E intanto l’U.E., a causa del veto dell’Ungheria di Orban, non potrà prendere alcuna sanzione ma solo elevare le sue vibranti proteste (cit. De Andrè)….