di Roberto Bin
Il Sindaco di Imola, Daniele Manca, ha annunciato le sue dimissioni, per potersi candidare alle politiche. Ma la legge è precisa: lui, come tutti gli altri sindaci che non si sono dimessi per tempo, sono ineleggibili. Il TU 361/1957, n. 361 dispone infatti che non siano eleggibili, tra gli altri, «i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti» (art. 7.1, lett. c); poi aggiunge che «Le cause di ineleggibilità… non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate almeno centottanta giorni prima della data di scadenza del quinquennio di durata della Camera dei deputati» (art. 7.3 TU: quindi, se non sbaglio i conti, il 16 settembre 2017); ma, se ci sono elezioni anticipate (che renderebbe imprevedibile la data in cui le elezioni saranno indette), le dimissioni devono intervenire entro i 7 giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di scioglimento delle Camere (Art. 7 u.c.: quindi entro il 5 gennaio 2018): ma questa deroga si può applicare solo se lo scioglimento è avvenuto almeno 120 giorni prima della scadenza naturale della legislatura (il che significa che le Camere avrebbero dovuto essere sciolte prima del 15 novembre 2017).
La conclusione non può che essere una: il sindaco di Imola, come tutti gli altri sindaci che progettano di candidarsi alla Camera o al Senato e non hanno rassegnato le dimissioni entro metà settembre, sono ineleggibili.
Sono dei superficiali disinformati? No, e lo ha spiegato bene Daniele Manca in una intervista rilasciata a settembre (quando quindi era ancora in tempo utile): «Ma quella causa di ineleggibilità è sempre stata bypassata negli ultimi 20 anni – sottolinea Manca – e mai considerata rilevante. Ci sono stati anche sindaci ancora in carica al momento dell’elezione in Parlamento. Per quanto mi riguarda, un punto è irrinunciabile: prima di tutto vengono le istituzioni». Non certo le istituzioni parlamentari, però.
È vero che la norma sull’ineleggibilità è stata sistematicamente “bypassata” in questi anni. Questo perché si ritiene che l’art. 66 Cost., laddove dispone che «Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità», riservi alle Camere, e alla Giunta per le elezioni in ciascuna di esse, la giurisdizione esclusiva anche sulle cause di ineleggibilità: in effetti l’art. 87 del TU dispone che «Alla Camera dei deputati è riservata la convalida della elezione dei propri componenti» (norma analoga vale per il Senato). La Giunta per le elezioni è però solita chiudere entrambi gli occhi sulla sussistenza delle ipotesi di ineleggibilità (come su altre questioni: si veda il contributo di Buonomo).
Le istituzioni che vengono per prime saranno pure quelle locali – che giustamente stanno a cuore del Sindaco – ma non quelle costituzionali o parlamentari. I sindaci che si dimettono in questi giorni per candidarsi contano sulla sistematica violazione della legge da parte degli organi parlamentari: cioè sulla illegalità perpetrata dalla più alta sede costituzionale!
Però forse rischiano. La Corte costituzionale, nelle sue sentenze sulle leggi elettorali (oggetto di dibattito in questo giornale), ha riconosciuto a se stessa il potere di intervenire ben oltre alle regole processuali che la regolano per un fine assolutamente condivisibile: evitare che si formino «zone grigie» sottratte a controllo del giudice. E’ una novità (la prima decisione è del 2014). Ma ecco che forse questa novità potrebbe comportarne altre sul fronte del rispetto delle regole sulla eleggibilità, rompendo questo grave stato di omertà istituzionale: perché questa della verifica dei titoli di ammissione è una delle «zone grigie» più buie. Forse ci sarà qualcuno che si rivolgerà al giudice civile chiedendo sia accertata la violazione del suo diritto di elettorato passivo, perché al suo posto è stato eletto un soggetto che invece per legge era ineleggibile; e magari, nel corso del giudizio civile che ne seguirà, verrà sollevata alla Corte la questione di legittimità costituzionale della legge elettorale nella parte in cui non prevede che vi sia un giudice vero, e non un organo politico “camuffato” da giudice, a garantire il rispetto anche da parte dei politici della legalità. Ancora una volta la sentenza della Corte causerebbe un terremoto nella rappresentanza parlamentare. Ma i parlamentari non se ne potranno lamentare. Le leggi si applicano a tutti, e soprattutto a coloro, che sedendo in Parlamento, se le trovano sbagliate le possono cambiare.
Quel giorno il sindaco Manca scoprirà di non aver fatto il bene neppure della istituzione comunale a cui tanto tiene (e giustamente): perché le dimissioni imminenti del sindaco comportano lo scioglimento del consiglio comunale e nuove elezioni. Questo è un risultato sicuro e immediato: l’unica conseguenza giuridica perfettamente certa che discenderà da una grave e deliberata violazione della legge.